Malati e medici alleati
Il dottor Renzo Marcolongo, immunologo e dirigente medico al reparto di Immunologia clinica dell'università e dell'azienda ospedaliera di Padova, assieme ad alcuni colleghi ha avuto l'idea di avviare gruppi di formazione per pazienti ammalati cronici.
Msa. Dottor Marcolongo, può spiegarci come funzionano queste iniziative di 'formazione', e cos'è il 'Gruppo di comunicazione clinica' a Padova?
Marcolongo. Sono veri e propri corsi di insegnamento terapeutico, istituiti presso il dipartimento di Medicina clinica e sperimentale dell'università e presso l'azienda ospedaliera di Padova, rivolti a malati cronici affetti da lupus eritematoso sistematico (Les) e diabete mellito, e ai pazienti sottoposti a terapia anticoagulante orale. È una esperienza iniziata nel 1996 e condotta dal 'Gruppo di comunicazione clinica' (Gcc), un'équipe formata da personale medico e paramedico strutturato in seno allo stesso dipartimento. Ne fanno parte la Clinica medica II, l'Immunologia clinica, il reparto Malattie del ricambio, la Cardiologia e la Scienza dell'alimentazione dell'azienda ospedaliera di Padova e di altri ospedali della regione. Siamo vari specialisti: il cardiologo Rosario Russo, la diabetologa Daniela Bruttomesso, l'internista Angela Rigoli, io stesso come immunologo e altri ancora. Ci riuniamo nei locali dell'ospedale ogni venerdì e una volta al mese incontriamo le associazioni dei pazienti e del volontariato da cui accogliamo proposte. Il Gcc è aperto al contributo di medici, paramedici, infermieri, docenti e specializzandi delle facoltà di Medicina, Scienze infermieristiche, Psicologia, Scienze dell'educazione e della comunicazione.
Perché avete scelto di 'formare' per primi i pazienti con Les?
Come immunologo ho a che fare quasi esclusivamente con malati cronici, portatori di affezioni più o meno invalidanti, per cui è essenziale sviluppare una vera e propria 'alleanza terapeutica' con il malato, con il quale formare un 'team' per vincere insieme la partita contro la malattia. Avevo già l'abitudine di confrontarmi sui casi clinici più difficili con la collega internista Angela Rigoli, considerando l'importanza dell'aspetto umano nella malattia. Per capire meglio, due anni fa mi sono iscritto al master di Educazione del paziente presso l'università di Parigi Nord, aperto agli operatori medici e non, condotto dal professor Jean Franà§ois d'Ivernois, direttore del dipartimento di Pedagogia di scienze della salute di quell'università e docente alla Sorbona.
Volevo imparare come trasferire al paziente le mie competenze per aiutarlo a gestire in modo autonomo e responsabile la malattia. In questa sede universitaria, unica in Europa insieme alla sede Oms di Ginevra, si studia proprio 'Pedagogia terapeutica' e le materie sono: Psicologia del malato cronico, Metodiche di valutazione e Scienza dell'educazione del malato. Fino a due anni fa ero l'unico italiano, ora ci sono altri due medici padovani iscritti: la dottoressa Lucia Lago e la diabetologa Daniela Bruttomesso.
Le esperienze di insegnamento terapeutico sono cresciute soprattutto sui pazienti diabetici, che devono imparare ad autocontrollarsi e autogestirsi, o sugli asmatici, che devono gestire lo spruzzo e far ginnastica respiratoria. Noi internisti ci occupiamo di varie patologie: il sistema immunitario può funzionare poco (e nascono immunodeficienze come l'Aids), o troppo (ed ecco allergie e malattie autoimmuni); può ammalarsi di tumore (linfomi), o costituire un problema per i pazienti sottoposti al trapianto (con il rischio di rigetto). Abbiamo scelto di affrontare per primi i pazienti con Les perché questa patologia è un buon modello per affrontare tutta una serie di problematiche per le quali non esiste risposta organizzata, salvo le iniziative di informazione curate dalle associazioni di categoria (come quella di Piacenza, nata nel 1987) o dagli stessi medici. Lì però si fa informazione, non educazione, che è diverso.
Quali obiettivi si prefiggono questi corsi?
I più semplici: fare dell'educazione dei malati cronici, tutti, uno strumento abituale di cura. Per avere malati curati meglio e minori spese per il sistema sanitario nazionale. Il rischio per noi medici è di far tutto da soli e trattare i malati come bambini. Nell''alleanza terapeutica', invece, il medico rinuncia a parte del proprio potere in favore di una maggiore corresponsabilizzazione del malato e dei suoi familiari. Insomma, vogliamo favorire una maggiore qualità di vita, migliorando il controllo delle condizioni cliniche dei malati, riducendo le complicanze della malattia attraverso una maggiore adesione al trattamento terapeutico e riabilitativo, con una progressiva diminuzione degli effetti indesiderati dei farmaci.
Non è un servizio di volontariato basato sul buon senso, ma altamente professionale e centrato sulla persona, sia del paziente che del medico. L'intento è di portare la professionalità e l'umanità del medico al medesimo alto livello e creare relazioni umane e professionali più armoniche anche tra operatori della salute. Le ricadute positive vanno indubbiamente anche sulla spesa sanitaria nazionale, perché stimoliamo un uso più razionale dei servizi da parte degli utenti.
Il primo corso di formazione si è concluso a giugno di quest'anno. Qual è stata la risposta dei pazienti?
Straordinaria: hanno seguito il nostro corso, il primo in Europa, circa 80 pazienti Les del Triveneto su circa 50 mila presumibili malati in Italia, ora in aumento per le diagnosi precoci. (Non ci sono stime ufficiali in Italia; ma negli Stati Uniti sono ufficialmente censiti 1 milione e mezzo di malati Les su 250 milioni di abitanti: una malattia diffusissima). I malati e le loro famiglie si sono detti entusiasti del corso e ci hanno fornito ottimi consigli per il seguente, che partirà nel prossimo autunno.
E le istituzioni come hanno reagito?
All inizio siamo stati circondati da diffidenza, soprattutto da parte dei colleghi. Ora però cominciano ad aiutarci: il dottor Giampaolo Braga, direttore dell'azienda ospedaliera di Padova, ci incoraggia fornendoci i locali per gli incontri; il presidente dell'ordine dei medici di Padova, dottor Maurizio Benato, ci ha offerto la collaborazione dell'ordine stesso. Infine, il professor Paolo Benciolini, presidente del corso di laurea in Medicina dell'università di Padova, ha proposto l'inserimento a partire dal prossimo anno accademico, nel corso di laurea in Medicina, di una serie di lezioni obbligatorie sulla 'comunicazione clinica' medico-paziente. In via sperimentale abbiamo già tenuto una lezione simile quest'anno, con la dottoressa Rigoli: 150 studenti in aula, non volava una mosca. I futuri medici hanno capito l'importanza di 'professionalizzare' l'umanità in medicina. Altrimenti il rischio è, per noi, di isolarci ancora di più diventando automi specializzati. l
Dal terrore alla speranza
È accaduto all'improvviso una mattina di due anni fa, al mare. Mi alzo con le mani gonfie e doloranti: colpa del temporale della notte, penso. Il giorno dopo però mi fanno male polsi, collo e ginocchia, che succede? Un'amica mi tranquillizza: soffriamo tutti per l'umidità . Ma i giorni seguenti i dolori aumentano e si spargono in tutto il corpo: ho male a vestirmi, a sedermi, a camminare, perfino a respirare. Misuro la febbre, è sopra i 38. Il medico di base mi consiglia il ricovero urgente in ospedale.
Dopo gli esami clinici, la diagnosi è: Les, lupus eritematoso sistemico. Una malattia cosiddetta 'autoimmune', cronica, dovuta a una improvvisa disfunzione del sistema immunitario. Il quale, anziché difendermi, si è messo ad aggredire le cellule del mio sangue come se fossero corpi estranei. In pratica, spiegano i medici, nel mio corpo, è cominciato un permanente autogol, non si sa perché.
In futuro può anche regredire fino a quasi a scomparire, ma può anche tornare più forte e minaccioso che mai, compromettendo organi vitali come fegato, cervello, cuore, reni.
La cura?
Dosi massicce di cortisone, il solo medicinale che riesca a interrompere questa guerra in casa. Ma è come una bomba, e provoca anche qualche guaio: ritenzione idrica, bruciori di stomaco, ipertensione, decalcificazione ossea, agitazione persistente...
Mi ritrovo a gestire giornate divenute difficili, fra medicinali e paure. Resterò paralizzata in un letto?
Sono ogni giorno più gonfia, mi pare di scoppiare, fortuna che i dolori sono scomparsi. In famiglia mi guardano preoccupati: ti senti bene? sei stanca? riposati, stai a letto! I medici mi raccomandano di non affaticarmi. Neppure loro sanno dirmi come si svilupperà il male. L'incertezza mi sfibra; mi accorgo che in famiglia, all'improvviso, la tensione è continua.
Per fortuna, dallo scorso anno la mia vita è cambiata, dopo che sono stata invitata a partecipare al gruppo di formazione per pazienti con Les dell'ospedale di Padova. Al sabato mattina mi incontro con altri malati come me, soprattutto donne e tanti giovani, e con esperti che ci insegnano a gestire la malattia.
Ci guida un giovane immunologo, che ascolta pazientemente ogni nostro dubbio, tranquillizzandoci: la malattia è controllabile, le cure sono efficaci, si può fare una vita normale e continuare a curarsi, ripete. Una dietologa ci spiega cosa e come mangiare, rispettando la dieta iposodica e contrastando la ritenzione idrica, il rischio di decalcificazione e trombosi venosa. E ci raccomanda come 'non' ingrassare. Anche un dermatologo ci insegna come affrontare il sole d'estate, difendendoci dal rischio dell'eritema. I corsi di psicologia, prima fanno emergere e poi contengono le nostre paure, tutte simili.
Ora so che ci sono altri malati come me, che studiano e lavorano mentre si curano.
Continuo a insegnare, leggere, viaggiare con la mia famiglia, guidare l'auto. Se mi stanco prima, pazienza: mi riposerò di più. Chi ha detto che una vita al rallentatore sia peggio di una vita di corsa? Osservo la magia dei tramonti la sera e apprezzo la nuova vicinanza degli amici, silenziosi e fedeli. Prego più a lungo e mi sento fortunata a non avere dolori.
F. M.