Marcinelle, 50 anni per ricordare
MARCINELLE
L’8 agosto 2006 ricorre il cinquantesimo anniversario della più grande catastrofe mineraria del Belgio. Furono ben 262 i minatori che, a livello meno 975, per un banale incidente, persero la vita. Di questi, 136 erano italiani. Non a caso questo disastro è passato alla storia come la «catastrofe degli italiani».
A causa di una serie di incomprensioni, di malintesi e di fatalità, scoppiò un terribile incendio. Un carrello, non si sa perché, aveva una spranga di ferro che era fuori dei limiti del carrello stesso. Nel salire, la spranga sezionò contemporaneamente il tubo dell’olio sotto pressione, e il vicino cavo elettrico a 3.000 volt. Si formò un arcovoltaico e scoppiò l’incendio. In testa al carrello c’era un italiano, Antonio Iannetta, che non capiva bene il francese e non lo parlava. Successivamente non fu neanche condannato dal tribunale. I soccorsi scattarono immediatamente. Ancora una volta la solidarietà tra i minatori fu all’altezza della loro reputazione. Ma tutto fu inutile, poiché, fin dall’inizio, non si riusciva a capire cosa fosse successo, e a che livello fosse l’incendio. Più tardi, si scoprì che sarebbe stato necessario invertire i ventilatori e inviare l’aria compressa da dove, ordinariamente, doveva uscire. I minatori intrappolati nella miniera morirono asfissiati per mancanza d’ossigeno. Ci furono fino a tre inchieste che finirono in tribunale. Fu condannato solo l’ingegnere direttore Califice, quasi simbolicamente dato che, a detta di tutti, era l’unico che non lo meritava.
Quello che accadde costituì una scossa per tutti i belgi, e per gli italiani in Belgio. In molti parteciparono sia ai funerali che alla solidarietà verso le vittime, ma più ancora verso le vedove e gli orfani. I doni della solidarietà furono affidati a un fondo denominato Fonds Crnet. A questo scopo furono distribuiti più di 350 milioni di franchi belgi: somma ragguardevole a quei tempi. L’ultimo orfano assistito nacque nell’aprile del 1957.
La tragedia generò anche conseguenze positive. Non solo furono migliorati i regolamenti sul lavoro delle miniere, e adeguatamente attrezzate le infrastrutture; Marcinelle rivelò anche lo status del minatore. I belgi non scendevano più in miniera e lasciavano questo incarico ad altri, cioè agli stranieri. Marcinelle smascherò la cecità, finta o reale, di fronte all’avvenire dell’industria carbonifera. Rivelò la mancanza di una politica dell’emigrazione da parte dell’Italia e di una politica dell’immigrazione da parte del Belgio. Quello che il Bois du Cazier dimostrò, fu la mancanza di fantasia di cui soffriva il Belgio tra la fine della ricostruzione e l’inizio dei Golden Sixties.
Comunque si guardi alla catastrofe di Marcinelle, questa merita di essere studiata ancora sotto molti aspetti. Da lì in avanti, i minatori italiani presero coscienza della loro esistenza, del loro sacrificio, della loro dignità, del loro contributo alla ricostruzione del Belgio. Cominciarono a sentirsi di più esseri umani, ad esigere rispetto e diritti in tutti i campi. L’emigrazione italiana in Belgio avrà un nuovo volto; un volto glorioso che i minatori italiani hanno saputo conquistarsi e meritarsi.
Marcinelle segnò anche un punto di separazione. Si cominciò a parlare di ristrutturazione delle miniere. Altre fonti di energia entravano nel mercato in concorrenza con il carbone: elettricità, energia nucleare e petrolio. La produzione di carbone diminuiva e i minatori lavoravano due o tre giorni alla settimana. Gli italiani erano venuti per lavorare, e ora erano disoccupati. Erano previsti dei raggruppamenti delle società minerarie, la chiusura di vari pozzi e il licenziamento di 27 mila minatori nello spazio di tre anni. I minatori italiani erano in prima linea. Ormai la strada del declino delle miniere era imboccata, e in Vallonia l’ultima miniera chiuse definitivamente i battenti a Farciennes. Era il 28 settembre 1984. L’ultima miniera a chiudere in Belgio fu quella del Limburgo, nel 1992.
Eppure il ricordo di un così terribile avvenimento rimane indelebilmente scolpito nella memoria della gente di Marcinelle, del Belgio e, in particolare, nella memoria della collettività italiana. Questa memoria è continuamente ravvivata dalle inchieste che si sono succedute per far luce sullo svolgimento dei fatti, e per individuare le responsabilità.
I missionari italiani, in particolare gli scalabriniani di Marchienne-au-Pont, sul cui territorio di Missione si trova la miniera del Bois du Cazier di Marcinelle, sono sempre stati in prima linea durante quelle terribili giornate della tragedia. Non hanno mai mancato di essere a fianco delle famiglie provate da questa dolorosa catastrofe. Hanno sempre cercato di tenere vivo il ricordo con tutti i mezzi a loro disposizione. Il più efficace fu quello di iniziare a raggruppare i minatori che avevano vissuto gli avvenimenti per poterli ricordare e tramandare. Sorse così, per merito del padre scalabriniano Gianni Bordignon, l’Associazione Ex-Minatori. Quando ebbero sentore che la miniera sarebbe stata rasa al suolo per dare la possibilità di costruire una grande area commerciale, si misero a difendere la memoria dei morti in quel luogo. Ci volle molta pazienza e coraggio, ma alla fine il sito è stato salvato. Oggi il Bois du Cazier resta un monumento alla sofferenza, al ricordo del lavoro e della vita sacrificata dei minatori, di tutti i minatori e di tutti gli operai. Anche la politica in questo caso ha portato il suo prezioso e positivo contributo. Non è poi mancato anche un sostegno dell’Unione Europea.
Ci è voluta la determinazione testarda e astuta di un italiano, Silvano Coltro, per poter salvare questo luogo. Decisiva si è rivelata pure la circostanza d’aver acquistato una parte, sia pure piccola, del territorio della miniera: l’entrata e il cancello della miniera, cui è seguito il restauro di alcuni locali, la sistemazione di un’aiuola, la riparazione del cancello di ferro e, soprattutto, la costruzione di un monumento: un blocco di marmo bianco di Carrara, offerto dalla Regione Toscana. Sul blocco sono stati scolpiti, da Dominique Strombant, con l’aiuto di Philippe Toussaint, i nomi delle vittime del Bois du Cazier.
Oggi, chiunque può conoscere e visitare questa miniera, raccogliersi in preghiera per ricordare tanti minatori. L’insieme architettonico è scandito da tre grandi costruzioni di mattone rosso che rappresentano i tre spazi in cui la vecchia miniera era divisa: il museo dell’industria; lo spazio culturale e quello dedicato alla catastrofe. Sullo sfondo le due torri in ferro. Il cinquantesimo anniversario serve anche a ricordare tutti questi avvenimenti passati, ma ancora vivi nel ricordo degli italiani, sia in Belgio che in Italia.