Marocco, stampa scritta ko
La recente chiusura del grande quotidiano «El Tajdid» (per mancanza di risorse finanziarie) è l’ennesima riprova: la situazione della stampa scritta in Marocco è critica. Oltre al ritiro degli inserzionisti, un altro fattore minaccia i giornali marocchini: il crollo delle vendite che ha registrato un aumento fino al 30 per cento. I dirigenti dei giornali indipendenti lamentano l’accrescersi del potere acquistato dai gruppi finanziari che decidono della sopravvivenza di un titolo e della morte di un altro. A questo si aggiunge la diffusione di internet tra la popolazione, soprattutto tra i giovani, chiamati «generazione M6 (Mohamed VI)». Anche se i cinesi hanno scelto il Marocco per il loro più grande investimento in Africa (una zona industriale a Tangeri, capace di creare fino a 100 mila posti di lavoro), le riforme promesse dall’attuale sovrano non hanno ancora ridotto in modo significativo la grave disoccupazione.
Il tasso di partecipazione al voto dei giovani tra i 18 e i 35 anni, che costituiscono un terzo della popolazione, è sceso. Questi non si sentono rappresentati e denunciano, sui forum in Rete, la corruzione e il nepotismo. Se il Partito islamista per la Giustizia e lo Sviluppo (PJD) ha vinto per la seconda volta le elezioni è perché, agli occhi dei giovani, rappresenta l’unica formazione politica limpida dotata di un’etica e di una morale. Ma il suo capo carismatico, Abdelillah Benkirane, è stato allontanato dal re Mohamed VI, che ha incaricato un altro esponente del partito vincente, Saad Eddine El-Othmani, di formare il nuovo governo, costringendolo a delle alleanze con partiti che hanno ottenuto un pugno di seggi parlamentari alle votazioni dell’autunno 2016.
El-Othmani è dovuto scendere a patti con cinque partiti, tra cui quello socialista. Gli islamisti «moderati» hanno vinto nonostante il potere centrale abbia messo dei paletti a questo movimento popolare, autorizzandolo a presentare candidati solo nella metà delle circoscrizioni elettorali. Così i marocchini si sono ritrovati con un governo diverso rispetto al risultato uscito dalle urne (che avevano favorito gli islamisti). Esattamente il contrario dello scenario tunisino, dove gli islamisti che avevano perso le elezioni si sono imposti nel nuovo governo formato nel 2015.