«Mi ha lasciato una vita piena di coraggio»
I tatuaggi sono la sua passione. Ne ha moltissimi. Impossibile, dinanzi a questa fioritura di nomi, simboli, numeri e frasi, non chiedersi quale significato abbiano. E così, quando incontro Federica, decido di partire da quei tatuaggi per conoscere lei e la sua storia. Che cosa significano quel piccolo sole sul polso e la «V» all’interno? E il numero 16? E quei cinque grandi cuori sul braccio? E le due farfalle, una piccola e una molto più grande, e quella frase: «Il più grande spettacolo siamo noi. Io e te per sempre», sull’altro? Il mistero in parte si svela: i cuori stanno per ciascuno dei suoi cinque figli. Le due farfalle rappresentano lei e l’amore della sua vita, Vigor. La «V», appunto.
«Mi chiamo Federica Lisi Bovolenta. Ho 37 anni e cinque figli. Sono la moglie di Vigor Bovolenta. Quindici anni insieme. Poi lui se n’è andato. Se n’è andato senza lasciarmi. Per questo dico “sono”: lui è presente, per me e per i suoi figli, sempre. Se n’è andato senza lasciarmi istruzioni. Se n’è andato restando dentro la mia vita. Di più: restando la mia vita».
Il gigante del Polesine
Vigor – un nome che già la dice lunga – era soprannominato Gigante del Polesine, per via dei 2 metri e 3 centimetri di altezza. Ma anche perché, in campo, era un gigante buono, generoso, allegro. Vigor Bovolenta, originario di Taglio di Po (Rovigo), Bovo per gli amici, per i tifosi, ma anche per i suoi figli e per Fede, era un campione di volley. Aveva 37 anni e una bella, grande famiglia che era tutta la sua vita, la sua ragione di vita. Aveva avuto tutto, Vigor. A suon di rinunce, sia ben chiaro, di fatica, di trasferte, lontano da casa sin da ragazzo. Sempre il primo ad arrivare agli allenamenti e l’ultimo ad andarsene. «Bovo diceva che Taglio di Po era un posto perfetto per nascere – racconta Fede –. C’erano pochi stimoli e poche distrazioni. Se un ragazzo che nasce in un posto del genere ha la fortuna di appassionarsi a uno sport o a un’idea, non ha altro da fare che dedicarcisi totalmente. Com’è capitato a lui con la pallavolo».
Bovolenta era un campione con la «C» maiuscola: ex centrale della plurimedagliata nazionale guidata da Julio Velasco, argento alle Olimpiadi del ’96, World Cup, Europei, World League, quarto posto alle Olimpiadi di Pechino 2008 e tanto altro. Dopo medaglie e successi decide di lasciare la serie A. Il motivo? Lo dice lui stesso a stampa e social network: «Ho iniziato a 15 anni. allontanandomi da mio papà Gino, mamma Luciana e mia sorella Ambra. Oggi scelgo di rimanere vicino a Federica e ai miei quattro bambini. Dopo che loro sono stati al mio fianco, credo sia arrivato il momento che io cammini al loro fianco. Dedico la mia carriera a mio fratello Antonio, che mi guarda da lassù».
Dopo 21 anni di serie A, Bovo sceglie di giocare a Forlì, a due passi da Ravenna dove lui e Fede – romana verace e pure lei promettente pallavolista che lascia i campi «perché se vuoi fare una famiglia e crescerla ti ci devi dedicare» – mettono su casa. E fanno quattro figli: Alessandro, Arianna, le gemelle Aurora e Angelica. Andrea arriverà dopo. Inaspettato. Come la morte del suo papà. Il 24 marzo 2012 è un sabato. La squadra di Vigor gioca in trasferta. Il campo è quello della Lube Macerata. Vigor Bovolenta va alla battuta. Ma non ce la fa. Gli gira la testa, barcolla, si accascia a terra. Muore in campo stroncato da un malore.
Bovo per sempre
«Bovo e io avevamo un rapporto speciale, unico proprio nella sua normalità e semplicità. È stato amore a prima vista. Così come naturale è stato il desiderio di sposarci e di avere dei figli. C’è un “per sempre” che sta inciso nella mia anima, e sta lì anche quando il vento cambia, anche quando fa paura. Quel vento che a volte arriva e si porta via tutto quello che hai, la parte più importante di te, senza la quale ti sembra di non riuscire più a respirare. È da due anni che mi sforzo ogni giorno di non aver paura, di essere forte. Non è facile: sono una madre con cinque figli da crescere. Ci sono momenti in cui sbotto, penso che cederò e manderò tutto all’aria, ma poi ogni volta succede qualcosa di inspiegabile. Mi trovo sempre tra le due cose più estreme: la migliore e la peggiore. E alla fine quello che sento dentro mi riporta a lui, a Bovo, sempre e solo a lui».
Federica ha deciso di narrare la sua storia in un libro. Il racconto è stato scritto insieme con Anna Cherubini, sorella di Jovanotti, artista adorato da Bovo e Fede. Ma perché un libro? «Da quando è successo mi sento sdoppiata, è come se fossi due persone. È questo uno dei motivi per cui ho voluto “dire” questa storia: voglio raccontarla per rimettere insieme le mie due metà, la Federica di prima e quella di adesso. E voglio farlo perché i miei bimbi mi abbiano tutta intera. Vorrei che dal mio parlare di lui, i miei figli capissero chi era il loro papà, le cose che facevamo insieme, quelle in cui credevamo».
Famiglia e sport
«Bovo era il classico trascinatore. In campo e fuori, in famiglia e con gli amici. Ai figli trasmetteva quegli stessi valori che l’avevano reso solido, forte, altruista. Valori semplici, coltivati attraverso un allenamento quotidiano: la lealtà, il sentirsi sempre squadra, l’essere amici nei momenti belli, ma, soprattutto, in quelli difficili, non avere nemici e darsi sempre una mano, accontentarsi di poco per essere felici.
Era innamorato della vita, della sua famiglia, dello sport, delle persone. È morto in campo, proprio in uno dei posti in cui avvertiva di più la bellezza della vita». Era un tipo preciso, Bovo. «“Hai pagato l’idraulico?”. “No, lo faccio nei prossimi giorni” gli rispondevo. “Si deve fare subito. Cavolo, Fede, non aspettare”. Era pignolo. Negli ultimi tempi la sua preoccupazione era quella del “dopo”. Il mondo della pallavolo non è quello del calcio. Finita la carriera agonistica, voleva riuscire a mantenere al meglio la sua famiglia».
Una famiglia e una casa devono essere piene di vita e straripanti di legami positivi. Così la pensavano sia Bovo che Fede. «Quando un matrimonio è colmo d’amore, molto spesso le famiglie dell’uno e dell’altra si fondono. Tra le nostre due famiglie è successo questo, ancor prima della morte di Bovo». E così, quando i genitori di Vigor stanno andando a Macerata per l’ultimo abbraccio al figlio, mamma Luciana chiama la consuocera Anna: «L’importante ora è che pensiamo ai bambini e che facciamo stare tranquilla Federica» le dice. E aggiunge, lei che ha già perso un altro figlio: «Se il Signore ha voluto così, dobbiamo accettarlo».
Il dono inaspettato
L’amore non finisce mai. Magari smette di battere in un modo per riprendere a battere in un altro. L’amore, insomma, crea miracoli inattesi e insperati. Come i tanti amici di Bovo, i colleghi del mondo dello sport, i fan che si sono stretti attorno a Fede, la stessa Federazione che le ha dato un lavoro. Ma il miracolo più grande è stato il piccolo Andrea. «La mia storia è tutta fatta di doni, di eventi straordinari. Bovo, la famiglia, gli amici, lo sport. Lui muore il 24 marzo. Due settimane più tardi mi sottopongo a un’ecografia. A febbraio avevo avuto un problema. “C’è qualcosa sul monitor” dice la dottoressa. “Che cos’è?” chiedo preoccupata. Mi guarda, in silenzio. Poi sorride, e poi ancora piange. “Lei è incinta”. Sono colta dal panico. Non penso al miracolo. Mi chiedo solo: “Come farò ora, da sola?”».
Non si chiamerà Vigor il bambino che stava dentro la pancia della mamma quando il suo papà è morto. L’unico concepito naturalmente. «L’ho chiamato Andrea, un nome che piaceva a Bovo. Significa “uomo coraggioso”. Ed è proprio il coraggio ciò di cui abbiamo tanto bisogno in questa casa. Penso che Vigor mi abbia lasciato Andrea per aiutarmi a non pensare troppo, a non piangere a lungo. Mi ha lasciato una vita piena di coraggio, insieme a cinque figli».
Già, cinque figli. Una famiglia grande. Così come la casa in cui vivono tutti insieme, costruita attorno alla cucina capiente, per poterci stare al gran completo, per poter accogliere i nonni, gli amici di mamma e papà, gli amici dei bambini con le loro mamme e i loro papà. Una cucina con, al centro, un camino, anch’esso grande. L’avevano voluta così, la loro casa, Fede e Bovo. Aperta, accogliente, calda.
Dopo la morte del marito, Federica è andata a vivere a Roma, dai suoi genitori. «Dentro quella casa sentivo gli odori di Bovo in ogni angolo e avevo paura. Era diventata un niente, senza musica, voci, calore». Ma, pochi mesi fa, ha deciso di rientrare a Ravenna. «L’ho fatto per i miei figli, certo. Ma prima ancora per me. Perché io sto bene solo qui. Ho deciso di stare in quello che è il mio, il nostro posto. L’unico al mondo in cui voglio essere». E dove, «quando abbiamo un problema, un dubbio o una cosa importante da fare – conclude Fede – dico ai miei bimbi che ne dobbiamo parlare un attimo con il Boss. E indico il cielo».