Nel cantiere dell’amore
Ci si sposa sempre meno. Le unioni di fatto sono circa 290 mila l’anno nel biennio 2010-2011. Lo dice una recentissima ricerca dell’Istat, secondo la quale è anche in continuo aumento l’incidenza di bambini nati fuori dal matrimonio: in Italia, nel 2011, un nato su 4 ha genitori non coniugati. Insomma, se un tempo ci si voleva bene e questo era un buon motivo per sposarsi, oggi, proprio perché ci si vuole bene, si ritiene inutile farlo. Il matrimonio viene, se non evitato, ritardato e in genere assoggettato al verificarsi di precise condizioni: lavoro, casa, l’arrivo di figli e altre variabili anche molto soggettive. Cos’è cambiato? Innanzitutto il modo di intendere la propria identità e di giocarla nella relazione, in particolare la relazione affettiva stabile tra uomo e donna. Intervistato sul tema dell’identità, uno dei cartografi del mondo sociale e psicologico dei nostri giorni, Zygmunt Bauman, sostiene che le nostre vite individuali sono frammentate in una successione di episodi mal collegati fra loro. Si volta pagina sempre più spesso, in cerca di nuove emozioni e avventure, per cui l’eroe popolare è diventato colui che si permette di fluttuare senza intralci, senza mai impegnarsi definitivamente, senza legarsi a niente e a nessuno. Colui che, con bagaglio leggero, passa da un’esperienza all’altra in cerca di gratificazione istantanea.
Fin da piccoli veniamo addestrati, secondo Bauman, a essere non più, come un tempo, produttori, ma consumatori, e le relazioni non fanno eccezione. Anch’esse sono da consumare e da abbandonare quando non più soddisfacenti, per cercare altrove. Eppure il vincolo tra affetti e legami è strettissimo, fino a essere indissolubile. Tutti gli uomini e le donne vogliono amore duraturo, profondo, totale, e i giovani, contrariamente a una certa cattiva pubblicità che li dipinge disimpegnati e qualunquisti, sono perfino intransigenti quando intervistati sulla fedeltà di coppia. Ma, chiediamoci, è possibile preservare gli affetti dalla corruzione – si tratta infatti di beni tanto preziosi quanto deperibili – senza attivare legami stabili e quindi pubblici (ma anche sacri) che ne garantiscano la continuità? Il legame è indubbiamente ciò che maggiormente garantisce la durata degli affetti, il superamento degli inevitabili momenti di logoramento e crisi che ne provocano la dissoluzione. Insomma, l’uomo contemporaneo, soggiogato dal mito dell’estemporaneità, cerca la genuinità degli affetti destrutturando e allentando i legami, e così facendo si lancia in un azzardo che non restituisce mai quanto sembra promettere.
Di questi tempi, la sua parte la fa anche la crisi economica, per non esporsi alla quale molti giovani vivono più a lungo nella famiglia di origine (il 50 per cento dei maschi e il 34 per cento delle femmine tra i 25 e i 34 anni). Da una parte si è allungato il periodo di scolarizzazione e formazione e dall’altra è cresciuto in modo esponenziale il senso di insicurezza, con ricaduta negativa sui comportamenti nuziali. Inoltre, viene sempre più veicolata dal mondo dei media, e non solo, quella mentalità che riduce la libertà alla libertà di scelta: mentre il legame sarebbe un vincolo e un laccio considerato limitante, la libertà dei sentimenti condurrebbe all’unica e vera realizzazione, per cui l’uomo contemporaneo pone se stesso, forzatamente, di fronte all’alternativa «affetti o legami», i primi pensati come apportatori di autenticità e i secondi di obblighi. Il legame familiare, quando autentico, porta con sé la ricchezza degli affetti e una responsabilità costruttiva verso l’altro, che viene amato, certo, ma del quale anche ci si prende cura senza se e senza ma, perché accomunati da un medesimo e inscindibile destino. Entrare in questa lunghezza d’onda è salvaguardare la verità, oltre che la bellezza, di ogni relazione tra uomo e donna.