Pacifisti non solo in piazza
Non ci sono le luminarie delle feste a Cesara, sul lago d'Orta. I lumini alle finestre fanno una luce meno appariscente, ma più calda. Quelle fiammelle tremolanti riusciranno ad accendere un generatore di corrente elettrica in Burundi. Parrocchia e Comune, da ormai quindici anni, portano avanti la campagna Contro la fame cambia la vita e spegni le luci. La gente sa che con i soldi risparmiati dagli addobbi natalizi si finanzierà un progetto di solidarietà , e la vendita dei lumini, decorati dai bambini e dagli anziani del paese, darà un ulteriore contributo.
La bandiera al balcone è ormai scolorita. Carlo e Rosa, d'accordo con la piccola Francesca, hanno voluto lasciarla lì, come segno di un impegno che continua. È stata proprio la bambina a spiegare ai parenti, durante le feste, come quello straccio alla finestra fosse segno di solidarietà con i poveri del mondo, al pari del budino vaniglia e guaranà servito a fine pasto, acquistato alla bottega del commercio equo e solidale in parrocchia.
Il cartello all'ingresso del paese dice che Agrate Brianze è un Comune per la pace. I quattordicimila abitanti quasi non ci fanno più caso. Ma alcuni parteciperanno ai prossimi consigli comunali, aperti al pubblico, in cui si discuterà di pace e organismiinternazionali. Mentre tra i bambini delle scuole elementari c'è grande fermento: si preparano ad accogliere i colleghi brasiliani con i quali sono gemellati. Il tutto finanziato dal fondo di educazione alla pace messo a bilancio dal Comune nel piano del diritto allo studio.
Questi tre spaccati di vita dicono con semplicità che esiste un quotidiano lavoro per la pace, dalle parrocchie agli enti locali alle famiglie, che poi si manifesta anche nei grandi appuntamenti pubblici. Già , i pacifisti non cadono in letargo tra una manifestazione e l'altra, come alcuni credono,dicedonTonio Dell'Olio,coordinatore di Pax Christi, l'organizzazione nata nel 1945 sulle ceneri della seconda guerra mondiale.
È una delle sigle storiche delle battaglie pacifiste in tutto il mondo. E in Italia, in area cattolica, una delle voci più forti su questi temi. Le origini sono nel vangelo di Gesù Cristo, nella non violenza che viene esaltata nella beatitudine della mitezza, ricorda don Tonio. Una specificità che rivendica con orgoglio: Il pacifismo cattolico non ha nulla da chiedere a nessuno, ha caratteristiche proprie senza le quali sarebbe più povero il patrimonio del pacifismo in senso più ampio: i valori fondanti della non violenza, della riconciliazione, del perdono non ci sarebbero nel pacifismo italiano se non ci fosse stato l'apporto dei movimenti cattolici. Un contributo che va vissuto nella logica del sale che si scioglie: Ogni componente del movimento ha un'identità e delle caratteristiche che gli sono proprie anche sul piano del metodo. Ma non credo che il nostro apporto valoriale debba tramutarsi in un coordinamentocattolicoin quanto tale, sarebbe un obiettivo sterile, sia sul piano del metodo, dell'efficacia, che della scelta evangelica, di quell'essere sale che Gesù ha annunziato e chiesto.
Un network all'insegna della pace
È proprio questa logica che mette in luce la prima caratteristica del pacifismo italiano: la capacità di lavorare insieme, laici e cattolici, di creare network tra le realtà più diverse. Dalla rete Lilliput - nata per ispirazione del comboniano Alex Zanotelli per collegare le principali associazioni e campagne nazionali di stampo sociale - alla Tavola della Pace, che, sempre sui temi della solidarietà e dei diritti umani, coordina centinaia di associazioni, organismi laici e religiosi, sindacati compresi, e organizza la marcia annuale Perugia-Assisi. Chi vuole cambiare il mondo oggi assume la cultura della pace e dei diritti umani come punto di riferimento, dice Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della Pace. Prima dell'11 settembre chi lavorava per la pace veniva considerato un'anima bella. Oggi invece non è pensabile che resti un affare retorico: sulla pace ci si divide ma ci si unisce anche, perché è diventato un oggetto di scontro politico.
Una realtà in rete, ma policentrica, molto diversificata al suo interno. Un distinguo, però, va fatto - dice Lotti -: ci sono alcuni che si considerano per la pace, ma in certi momenti sono disposti a fare anche la guerra. O altri che in alcune occasioni sono pronti a usare forme di protesta anche violenta. Su questo bisognaesserechiari:chi vuole la pace deve dire un no netto tanto alla guerra quanto alla violenza in tutte le sue espressioni.
Dell'Olio lo dice con altre parole: Colui che opera per la pace deve porre lo stesso impegno a riconciliarsi con se stesso, con Dio, con il creato e con il prossimo. Quanto alla differenza tra il movimento pacifista e quello new global, Dell'Olio precisa: Stanno all'interno dello stesso percorso, ma credo che il pacifismo sia cresciuto in termini di capacità di riflessione e proposta, mentre il movimento new global rallenta sulla soglia della protesta. Don Tonino Bello parlava di annuncio e denuncia, quest'ultima da sola diventa sterile. Di recente, anche il segretario del Pontificio Consiglio giustizia e pace, monsignor Giampaolo Crepaldi, ha precisato che un pacifismo senza costruttori di pace corre il rischio di tradire gli obiettivi della pace, di diventare un'ideologia, manichea nei suoi giudizi e persino intollerante.
Radicamento nel territorio
La rete pacifista italiana ha mille diramazioni, in tutt'Italia. È questa la seconda caratteristica del movimento, il radicamento territoriale, la diffusione capillare di gruppi e organizzazioni a più livelli, a partire dal coordinamento degli enti locali per la pace che oggi raggruppa oltre 510 realtà . La pace è un mestiere per gli enti locali, esattamente come rifare un marciapiede o far funzionare l'illuminazione, dice Adriano Poletti, sindaco di Agrate Brianza. In concreto, la sua giunta stanzia fondi per l'educazione alla pace nelle scuole, finanzia progetti di cooperazione internazionale sponsorizzando Ong locali, promuove iniziative di sensibilizzazione tra i cittadini, gemellaggi con realtà municipali europee più svantaggiate, e partecipa alla rete di città europee per la pace.
Dialogo interreligioso
Infine, l'ultima caratteristica del movimento pacifista italiano è l'impegno ad alimentare il dialogo delle religioni per la pace. In questo ambito i cattolici stanno giocando un ruolo molto importante perché anche come contingenza storica si ritrovano a porre in dialogo ebrei e musulmani da una posizione insospettabile, spiega Dell'Olio.
Non si tratta soltanto di organizzare incontri di conoscenza o momenti di preghiera comune. Spesso si tratta di andare a portare la propria solidarietà anche a realtà in cui i cristiani sono piccola minoranza e di costruire ponti con comunità di altre fedi. È questa l'esperienza di don Renato Sacco, parroco di alcune piccole parrocchie sul lago D'Orta e consigliere nazionale di Pax Christi. Don Renato ogni tanto abbandona la sua parrocchia per recarsi in situazioni di conflitto: America latina, Sarajevo, Palestina, Burundi, Iraq. Le scelte che faccio nascono dal confronto con la gente. Alcuni parrocchiani sono venuti con me, a Sarajevo, quando abbiamo partecipato alla marcia dei 500 con don Tonino Bello. Gli altri ci hanno seguito da lontano. Ed è così in ogni occasione.
La gente ha incontrato il vescovo di Bagdad, ha conosciuto l'ausiliare di Sarajevo, ha stabilito dei rapporti personali con alcune comunità in guerra. Il rischio dei preti è che talvolta i problemi della loro parrocchia diventino un assoluto.Invece,occorre uscire dai confini, incontrare concretamente alcune realtà . Insomma, credo che l'impegno per la pace non sia un mio pallino ma la conseguenza dell'incarnazione. Da qui, tra le altre cose, un processo nel '91, con assoluzione, per aver invitato dal pulpito a fare obiezione fiscale alle spese militari; una lettera denuncia, nel '99, per violazione dell'articolo 11 della Costituzione contro il governo D'Alema e replica con Berlusconi per la partecipazione alla guerra in Iraq.
Sentinelle per la Chiesa
Un impegno militante, non scontato nella Chiesa italiana. Lo conferma anche don Tonio: Emerge molta ricchezza a livello di Chiese locali, qualche difficoltà in più si ha, invece, con il corpus episcopale preso nel suo insieme. In questo senso, le organizzazioni pacifiste cattoliche hanno anche il compito di fare un po' da sentinella alla coscienza ecclesiale. È quanto ha fatto, per esempio, di recente, don Albino Bizzotto, responsabile di Beati i costruttori di pace, in occasione del drammatico attacco finale a Falluja. In una lettera aperta alla Conferenza episcopale italiana supplica di dire da pastori una parola di pietà per i morti, di consolazione per i sopravvissuti e di condanna per il peccato di chi continua a uccidere, generando odio e vendetta di cui si nutre il terrorismo senza fine. Ribadite la scelta responsabile della non violenza, del dialogo e del diritto per raggiungere la riconciliazione e la pace tanto desiderate. Don Albino chiede alla Cei di non tacere e di dare un segno semplice ed eloquente: ritirare i cappellani militari, che in questo momento, assieme ai soldati italiani, fanno parte della coalizione responsabile di quanto sta avvenendo.
Obiettivi comuni.
Riforma delle istituzioni
Lavorare in rete, a livello territoriale, con i fedeli di altre confessioni. Ma è possibile definire in concreto degli obiettivi comuni? Oggi, infatti, la ricchezza dell'impegno pacifista è enorme: dalla questione palestinese alle azioni umanitarie nel Sud est asiatico o in America latina, dall'impegno per il commercio equo e solidale alla lotta per la difesa del creato, dalle campagne informative alle operazioni di emergenza. Intercettare degli obiettivi comuni e perseguirli congiuntamente è il passaggio più delicato che il movimento deve compiere, dice Dell'Olio. E suggerisce due piste di lavoro che, al di là delle manifestazioni pubbliche contro la guerra, dovrebbero unire trasversalmente il movimento: la prima è la riforma delle istituzioni internazionali, a partire dalle Nazioni Unite fino alla Banca mondiale e al Fondo monetariointernazionale. Una riforma in senso democratico, che tenga conto del cammino storico, dell'esclusione della guerra. Insomma, è importante che la nostra protesta non finisca per essere funzionale al sistema che queste istituzioni favoriscono e generano.
Su questi temi, proprio lo scorso novembre, organizzato dalla Tavola della pace, si è tenuto a Padova un seminario con esperti di diritto internazionale intitolato Riprendiamoci l'Onu. L'altra questione, che interessa trasversalmente i movimenti pacifisti, è la produzione e il commercio delle armi. Molti soccorrono le vittime dei conflitti, monitorano guerre generate da povertà e povertà generate da guerre. Ma le guerre si fanno con le armi, in zone in cui spesso manca di tutto. Un controllo più severo e attento del commercio delle armi è essenziale per chiunque lavori per la pace.
Su questi temi il lavoro dei pacifisti nel quotidiano è fatto di cose molto concrete: sensibilizzazione dell'opinione pubblica attraverso l'informazione; educazione alla pace, in scuole, parrocchie e nei luoghi di incontro informali dei giovani; pressione e accompagnamento della legislazione italiana ed europea. Non è un di più nella vita del cristiano. È parte del suo Dna. Lo ricordava bene don Tonino Bello: La pace non è un merletto che si aggiunge all'impegno della Chiesa, bensì il filo che intesse l'intero ordito della sua pastorale. La pace non è una delle mille cose che la Chiesa evangelizza. Non è uno scampolo del suo vasto assortimento. Non è un pezzo, tra i tanti, del suo repertorio. Ma è l'unico suo annuncio. È il solo brano che essa è abilitata a interpretare.