Padre Placido Cortese: il coraggio del silenzio
Un libro e un dvd, Il coraggio del silenzio, curati dal regista torinese Paolo Damosso, rievocano la vicenda di padre Placido Cortese. Il libro è impreziosito dalle illustrazioni – lievi nel tratto ma intense – del noto pittore Vico Calabrò. È una proposta del «Messaggero di sant’Antonio», in collaborazione con la Nova-T, centro di produzione dei frati cappuccini di Torino. Quali i motivi dell’iniziativa? Lo abbiamo chiesto a padre Danilo Salezze, direttore generale del «Messaggero».
«Ci hanno suggerito l’iniziativa – ha risposto – due anniversari che ricorrono nel 2007: i cent’anni dalla fondazione della Provincia patavina dei frati minori conventuali, alla quale apparteniamo, e quelli dalla nascita di padre Placido Cortese, al quale sono dedicati, appunto, libro e dvd. Significativo il loro titolo, Il coraggio del silenzio, che evidenzia come neppure sotto le più atroci torture, cui lo hanno sottoposto le SS, padre Placido ha rivelato i nomi dei collaboratori della rete che lui stesso aveva avviato per soccorrere e mettere in salvo persone ricercate dai nazifascisti. Con questa iniziativa abbiamo ridato la parola a un uomo che di parole era stato parco. A esse aveva sempre preferito l’azione. Anche al “Messaggero di sant’Antonio” – che ha diretto per sette anni sino al giorno della sua scomparsa – è stato uomo operoso e fedele al suo ideale».
Msa. Al Convegno ecclesiale nazionale di Verona si è parlato del valore della testimonianza cristiana e del martirio, che in padre Placido Cortese sono state esperienza di vita: come trasmettere oggi il suo esempio?
Salezze. Nel corso del Novecento momenti terribili hanno sconvolto la vita di milioni di persone. I martiri di quel secolo furono uomini e donne che si sono trovati catapultati in una tragica e irrazionale sospensione della vita normale, in vicende drammatiche che loro stessi hanno patito sulla propria pelle riuscendo a trasformarle in forti esperienze e salvando ad altri la vita.
Oggi non viviamo situazioni così gravi, ma la normalità nella quale ci troviamo ci fa incontrare comunque tanti fratelli che hanno bisogno di solidarietà e di silenzio riconciliatore che lasci spazio alle opere. La lezione per l’uomo d’oggi è imparare la carità che sa tacere, che sa andare incontro agli altri senza rumore. Padre Placido è morto per non aver voluto pronunciare parole che avrebbero potuto compromettere la vita degli altri. Sarebbe bello usare solo parole che fanno bene.
Msa. La vicenda decisiva della storia di padre Placido inizia dal superamento di alcuni pregiudizi. Incaricato di prestare soccorso ad alcuni prigionieri, comunisti ed ebrei, di un campo di concentramento alla periferia di Padova, non misurò gli altri dal credo politico o religioso: per lui erano solo fratelli che avevano bisogno di aiuto. Oggi c’è difficoltà di dialogo tra le religioni, ci può essere utile la lezione di padre Cortese?
Salezze. Mi viene in mente un’altra lezione del passato che può essere utile. San Francesco fu «convertito» dal lebbroso – un emarginato – che egli aveva abbracciato. In ogni tempo è possibile superare barriere che sembrano invalicabili, solo allargando le braccia, donando cioè un «di più» di se stessi, quando e dove tutto spinge a rinchiudersi, a rafforzare la propria identità contro l’altro. San Francesco, padre Cortese, san Massimiliano Kolbe, così come i martiri dei nostri giorni – Annalena Tonelli, don Andrea Santoro, suor Leonella Sgorbati... – hanno saputo «aprire le braccia». Chi si espone in termini non violenti, ponendo sempre al centro Gesù Cristo e il Vangelo, apre sempre cammini di speranza e di riconciliazione.
Msa. Lei come direttore generale del «Messaggero di sant’Antonio» ha in qualche modo raccolto l’eredità di padre Placido: ne sente il peso?
Salezze. Essere al suo posto mi carica anche di grande responsabilità, perché padre Cortese, come direttore, ha dato grande impulso all’azienda «Messaggero di sant’Antonio». Alcuni edifici nei quali ancora oggi si lavora sono stati realizzati da lui, e qui, fino a non molto tempo fa, funzionavano alcune delle rotative che lui aveva acquistato. Durante la sua direzione la rivista raggiunse le 800 mila copie, un miracolo per quegli anni. Egli era mosso dalla stessa ispirazione che aveva spinto san Massimiliano Kolbe a fondare cittadelle dell’informazione religiosa in Polonia e in Giappone. Entrambi furono grandi innamorati di un ideale di evangelizzazione attraverso la carta stampata, che esprimeva insieme il coraggio dell’azione e della Parola. Per me oggi non si tratta di erigere nuove costruzioni o di acquistare altre rotative. Oggi il mio compito è di avere il coraggio di rilanciare ogni giorno, assieme ai confratelli religiosi e ai collaboratori laici, l’annuncio convinto, sereno, pacifico del Vangelo.
Msa. Quindi, non il coraggio del silenzio, ma della parola scritta e parlata?
Salezze. Sì, il coraggio della parola che consente anche il coraggio del silenzio. Guardiamo ancora una volta alla grande lezione del nostro fratello, padre Placido, che ha pagato il suo silenzio con la vita.
Martire della Carità.
Padre Placido Cortese nasce nell’isola istriana di Cherso nel 1907. Religioso dei frati minori conventuali, dirige il «Messaggero di sant’Antonio» dal 1937 al 1944. Durante la guerra viene incaricato dai superiori di assistere prigionieri ebrei e slavi rinchiusi nel campo di concentramento allestito dalle SS nella periferia di Padova. Compito che svolge con coraggio e generosità, soprattutto dopo la caduta del regime fascista, riuscendo a salvare molti ricercati dai nazifascisti attraverso una rete di collaboratori da lui stesso attivata e diretta. Ma tra questi ultimi si annidano anche i traditori che, l’8 ottobre 1944, si presentano alla porta del convento del Santo e lo portano via con l’inganno. Da allora di padre Placido si perde ogni traccia. Solo anni dopo, grazie a preziose testimonianze di alcuni sopravvissuti all’Olocausto, si è potuto sapere che era stato trasferito a Trieste, dove la Gestapo aveva infierito su di lui con feroci torture perché rivelasse i nomi dei suoi collaboratori. Cosa che egli non fece. Dalla dichiarazione dei testimoni oculari della sua morte eroica avvenuta, a causa delle torture, nei primi giorni del novembre successivo alla cattura, emergono gli elementi che hanno reso possibile l’introduzione della causa di beatificazione per «martirio» (gennaio 2002): è stato ucciso per la sua attività a favore dei prigionieri e perseguitati, alla quale si era prestato con totale dedizione salvando molte vite, nonostante l’alto rischio per la sua stessa incolumità.