Padre Placido Cortese "olocausto del silenzio"
Amo i martiri, soprattutto cristiani. Il loro sacrificio mi entusiasma fino alla commozione. Lo ritengo una testimonianza superiore alle mie forze. Parlando di loro mi sembra di far qualcosa che meritano. In un contesto di indifferenza religiosa o di debole pratica cristiana, il martire per la fede, ma soprattutto per amore al prossimo, sveglia la coscienza dei tiepidi e li richiama alla propria responsabilità . Dopo la rivisitazione della figura di san Massimiliano Kolbe, martire ad Auschwitz, per salvare dalla morte per fame un padre di famiglia (1941), ho accolto la provocazione di Placido Cortese, francescano conventuale dei frati del Santo, di cui è stata recentemente introdotta la causa di beatificazione. Per lui ho scritto il testo Olocausto del silenzio. Placido Cortese, vittima del nazismo, dramma in due tempi per attori, coro e orchestra, musica di Gianandrea Pauletta, regia di Filippo Crispo.
Il mio è un percorso che si limita all'epilogo tragico, ma glorioso per un cristiano. Il titolo si spiega pensando alle migliaia di vittime umane salvate dalla deportazione nei Lager del Nord Europa e dalla morte, soprattutto ebrei.
A buon diritto padre Placido, per il suo silenzio, per non avere, cioè, voluto fornire il nome dei suoi collaboratori, è considerato lo Schindler italiano o anche il Padre Kolbe patavino, partigiano di Dio, perché aveva fatto di Padova e dintorni il teatro della sua attività di soccorso a ebrei, profughi, famiglie colpite dale tragedie della guerra e dalla fame.
Alla voce ucciso, normalmente segue data e luogo. Di Cortese si sa con certezza che fu assassinato dalla Gestapo a Trieste: a Piazza Oberdan o alla Risiera di San Sabba. Il tenente colonnello Vauhnik, capo della rete informativa pro-alleati, testimonia, per iscritto, che a frate Placido la Gestapo cavò gli occhi, tagliò la lingua e lo seppellì vivo.
La scelta di padre Placido, direttore del Messaggero di sant'Antonio quando venne imprigionato dalla Gestapo, non è ideologica e in contrasto con il Vangelo. È piuttosto un segno di contraddizione di fronte alla crudeltà del nazismo. Non gli bastava la preghiera recitata con i confratelli tra le mura del convento, la sua stessa vita era diventata un continuo colloquio con il Cristo crocifisso, visibile sul volto di centinaia di poveri cristi, che gli ispiravano comportamenti di resistenza a volte inverosimili. Soleva dire: Non si può essere spettatori in una guerra.
I personaggi del dramma
I personaggi sono cinque nel primo tempo: uno sconosciuto, padre Placido, Johann, un uffciale delle SS e Marco; quattro, invece, nel secondo: un ufficiale delle SS, Johann, padre Placido e la madre. C'è, inoltre, una voce narrante. Coro e orchestra precedono o fanno eco ai diversi sentimenti dei protagonisti. La musica - afferma Gianandrea Pauletta autore, appunto, delle musiche - si assume il compito di ritrarre gli stati d'animo, non è mai descrittiva di una situazione reale. È il riflesso dell'intimo, delle angosce di padre Placido (gli interrogatori, le torture, la consapevolezza della fine), della speranza assicurata dalla fede (rappresentata musicalmente dal coro). Il dramma lo consuma Placido, mite e umile, francescano, coraggioso e fedele al silenzio, fino a donare la vita. Regista della sua resistenza è Dio.
L'ufficiale delle SS è un personaggio senza nome.
Impersona clima, ideologia e comportamentinazisti. FedelissimoalRegime, ironico,seduttore, crudele,dissacrante, torturatore raffinato,sanguinario. Di umano non ha nulla. Quandominaccia padre Placido accusandolo di essere un bandito (partigiano)elo condanna a morte, è contento che sia un prete: Uno in meno !.
Johann è l'unico che obbedisce a due padroni: prima, al tenente colonnello (SS) per ragioni di sopravvivenza (è il signor son qui!) e, alla fine, alla sua coscienza, che lo spinge ad aggrapparsi alla veste bianca del martire.
Marco è l'uomo, nella sua fragilità . Resiste, dubita, si riprende, immagina il futuro della sua giovane famiglia senza di lui. Lui e padre Placido hanno qualcosa in comune, che li ha condotti in carcere. Conforta il frate sulla via del calvario.
La madre è l'unica figura femminile del dramma. Non parla. Potrebbe rappresentare anche la sorella Nina, molto efficace nella memoria di padre Placido. Presiede come una Madonna la deposizione del martire. Ad aiutarla ad avvolgere il morto nel sudario è Johann (Giovanni) convertito, come il buon ladrone.
Lo sconosciuto è un povero, amico di padre Placido. Per denaro tradisce. Non merita il nome.
L'azione si svolge nel breve tempo di un mese: dall'8 ottobre al 15 di novembre circa, del 1944.
Negli incontri con il regista, Filippo Crispo - sottolinea Pauletta- ha preso forma il termine teatro strumentale, proprio per indicare che l' Olocausto del silenzio è un'opera nella quale l'azione degli attori è libera e svincolata dalla musica, introdotta per sottolineare gli aspetti emozionali e intrinseci. Anche il Coro (tre voci femminili), tipico della tragedia greca, interviene nel dramma con un ruolo esortativo e critico, rimanendo, a differenza della forma greca, esterno.
Il regista amalgama personaggi, orchestra e coro in una scenografia scarna, minimalista, perciò densa di significati profondi che rimandano a immagini del recente passato bellico (ma è veramente passato?) e il tutto ci sospinge a riflessioni quotidiane.