Pellegrini al Santo. Il nuovo volto del devoto

Sorpresa: il fedele antoniano non è per forza anziano, di modesto livello culturale, oppresso dalle vicende della vita. L’immagine stereotipata della religiosità popolare esce rivoluzionata dalla ricerca realizzata in esclusiva per il nostro giornale.
27 Gennaio 2011 | di

È passato giusto un anno dai giorni memorabili dell’Ostensione del corpo del Santo. Si stima che nelle sei giornate intercorse tra la mattina di lunedì 15 e la sera di sabato 20 febbraio 2010, durante le quali le spoglie di sant’Antonio sono state esposte alla vista e all’affetto dei fedeli, circa 200 mila persone siano venute a rendere omaggio al Santo. Già all’alba del 15 la fila si prolungava fino al non vicinissimo Prato della Valle. Gran parte dei pellegrini ha dunque atteso diverse ore per poter entrare. Vi è stato chi, in particolare nel pomeriggio di sabato, quando il corteo si era allungato di molto, ha consapevolmente fatto un tratto del percorso sapendo di non avere speranza di completarlo.
Sorgono inevitabilmente molte domande.

Chi erano queste persone? Da dove venivano? Quale religiosità esprimevano? Che rapporto avevano con Antonio? Che immagine si sono fatta di lui? Per quali ragioni erano lì? Perché, infine, così tanti a onorare i poveri resti di un uomo vissuto otto secoli fa, in un mondo così diverso e lontano? Tentativi di spiegazione tirano in ballo la psicologia delle folle, l’attrazione per i grandi eventi, la voglia di esserci; o anche l’ingenuità, la sopravvivenza del magico, le credenze miracolistiche, tutti fattori che opererebbero in settori della popolazione piuttosto anziani, ormai non più attivi, di modesto livello culturale, oppressi dalle vicende della vita. Sappiamo che molti, posti di fronte alla difficoltà di comprendere comportamenti come questo – che coinvolgono larghe masse e dunque non possono passare inosservati – reagiscono utilizzando un’immagine stereotipata della religiosità popolare, allo scopo di non inquietare chi esprime altre forme di religiosità o ne è privo.
Alcune prime risposte alle domande che l’evento ha posto è possibile oggi darle sulla base di una ricerca condotta in quei giorni. In occasione dell’Ostensione del corpo del Santo, il «Messaggero di sant’Antonio», infatti, ha promosso una ricerca sui pellegrini affidandone la dire­zione scientifica e la conduzione all’Osservatorio socio-religioso Triveneto, un centro di ricerca promosso dalle diocesi del Nordest, operante dagli anni ’70, che conduce attività di documentazione e ricerca sulle trasformazioni religiose e sull’evoluzione delle Chiese.
L’indagine è stata condotta nelle due giornate conclusive di venerdì 19 e sabato 20 febbraio. In quei giorni, una rete di intervistatori ha somministrato un breve questionario a un campione di pellegrini, avvicinati all’interno della Basilica. La scelta delle persone è avvenuta in modo casuale, seguendo l’ordine dell’afflusso, in base a un «passo» determinato che ha consentito di avvicinare circa un pellegrino ogni 26, per un totale di circa 3.600. Dalla somministrazione sono stati esclusi i minori di 16 anni e gli stranieri, che però sono stati contati. I questionari utilizzati, tenuto conto dei rifiuti – motivati soprattutto dalla stanchezza nel pomeriggio del sabato – e dell’esclusione degli stranieri, sono stati 2.707.
 
Il pellegrino: chi è e da dove viene
 
Innanzitutto è stato possibile rispondere a questa domanda: chi sono e da dove vengono le persone sfilate di fronte alle spoglie mortali di Antonio? Come si capisce dal primo grafico (sotto), la gran maggioranza – sette su dieci – risiede in Veneto. Per il resto, la metà dei pellegrini viene dalle altre regioni del Nord, mentre la seconda metà si ripartisce in parti quasi uguali tra chi proviene dal Centro Sud e dall’estero. Le percentuali possono portare a sottostimare questi ultimi gruppi: il 7 per cento di stranieri corrisponde a oltre 13 mila persone, mentre dal Centro Sud – affrontando un viaggio spesso organizzato all’ultimo, visto lo scarso preavviso dell’evento – sono venuti in più di 16 mila, le dimensioni di una cittadina.
I pellegrini sono in prevalenza di età intermedia, di scolarizzazione piuttosto elevata, appartenenti alla popolazione attiva. In maggioranza sono donne, ma un po’ meno di quante non siano tra i praticanti. Già questi pochi dati parlano di provenienze sociali ben diverse da quelle che lo stereotipo prevalente della religiosità popolare immagina. Ma se approfondiamo i dati, la distanza appare ancora maggiore.

Prendiamo l’età. La fatica che la partecipazione comportava ha ridotto la presenza dei più anziani, ringiovanendo la composizione dei pellegrini. Si può stimare che i giovani siano stati circa 29 mila, di per sé un bel numero. La loro incidenza sul complesso è un po’ minore di quella che si registra nella popolazione, ma è maggiore di quella che si può osservare la domenica nelle chiese. La stessa cosa si potrebbe dire della prima età adulta (20-44), mentre la seconda età adulta (45-59) ha partecipato in quote assai elevate, sia rispetto alla popolazione che ai praticanti.
Ancora più sorprendente il dato della scolarizzazione. Quasi uno su quattro è laureato e due su cinque hanno un diploma di scuola secondaria superiore. Ciò significa che circa due su tre hanno una scolarizzazione superiore. I livelli di istruzione rilevati sono maggiori di quelli che si riscontrano nella popolazione e decisamente più alti di quelli che troviamo tra i praticanti.

A conclusioni non diverse arriviamo se osserviamo l’occupazione. Quelli che lavorano sono più o meno tanti quanti nella popolazione. Mentre tra i praticanti regolari (anche escludendo i più anziani) sono una minoranza che non di rado sfiora il 40 per cento, tra i pellegrini sono in maggioranza (circa 60 per cento).
Nel complesso, dunque, se si esclude la distinzione uomini/donne, il profilo sociale del popolo che ha fatto la fila per incontrarsi con Antonio è molto più vicino a quello della popolazione nel suo insieme che a quello di chi frequenta assiduamente la messa festiva. Tra i pellegrini sono cioè ben rappresentati quei settori della popolazione che invece in chiesa tendono a scarseggiare, segno che l’occasione è stata capace di attrarre persone non necessariamente «di chiesa». La metà di loro infatti ha dichiarato di non avere una pratica assidua.
 
Familiarità con Antonio
 
Dobbiamo concludere che molti sono venuti perché attratti dall’evento? Dal fatto cioè che si prevedeva una vasta partecipazione, che sarebbero stati presenti giornalisti e televisioni e che in questi casi molti vogliono poter dire «io c’ero»? Dobbiamo pensare che molti erano curiosi accodatisi per vedere che effetto faceva? Naturalmente questa componente può aver esercitato una certa influenza su alcuni. Se fosse stata davvero rilevante, però, avremmo dovuto trovare tra i pellegrini molte persone che non avevano in precedenza alcun rapporto con Antonio. Ma non pare sia così. Solo una ristretta minoranza, inferiore al 3 per cento, ammette di non conoscerlo molto. La grande maggioranza (quattro su cinque) sostiene di essere almeno alla terza visita al Santo. Anche tra i giovani la maggioranza si è recata in Basilica non meno di tre volte. E ancora: solo uno su dieci non lo prega mai. Gli altri si sono rivolti al Santo almeno qualche volta nelle loro preghiere, un terzo lo fa spesso. Anche tra i giovani sono moltissimi quelli cui accade di rivolgersi ad Antonio (77 per cento). I pellegrini, dunque, in grande maggioranza hanno una qualche relazione con il Santo; non pochi hanno un rapporto di fidelizzazione con lui. Difficile pensare che siano lì per caso.
Si presentano in Basilica allora per chiedere qualcosa di determinato, una grazia particolare, forse addirittura un «miracolo»? Tornano in mente di nuovo certi pregiudizi. Che però la composizione sociale dei pellegrini ha già in sostanza liquidato. Noi non abbiamo qui un popolo di anziani, malati, poveri, soli, piegati dalle disgrazie della vita; abbiamo uno spaccato della popolazione attuale, fatta in prevalenza di persone attive, istruite, nelle classi centrali di età, occupate e quindi presumibilmente non povere, anche se certamente i poveri non erano assenti. Difficile pensare che esse siano particolarmente gravate da disgrazie e avversità, difficile pensare che esse vadano dal Santo come se fosse l’ultima spiaggia.
 
Perché dal Santo
 
Diamo allora uno sguardo alle motivazioni addotte dai pellegrini stessi per spiegare la loro partecipazione, sintetizzate nel grafico 2. Ovviamente nei grandi eventi pubblici c’è sempre qualcuno che partecipa per ragioni estrinseche all’evento stesso, per motivi cioè che non implicano un grande coinvolgimento personale. A Padova, nel febbraio 2010, c’erano alcuni che erano lì perché venuti in un viaggio organizzato, perché accompagnatori di altri, perché trascinati dal proprio gruppo. Ma si trattava di una esigua minoranza.
Tolti costoro, la metà dei pellegrini sostiene di essere venuta a trovare il Santo non per chiedere qualcosa, ma per riconoscere una relazione, per rinnovare un rapporto con lui, qualcosa che si traduce in una devozione e nel bisogno di ringraziare per quanto si è ricevuto (sia questo una maggiore serenità, un sentimento di maggior fiducia, la percezione di sentirsi in qualche modo protetti o, infine, la convinzione di aver ricevuto un aiuto particolare).

L’altra metà si presenta al cospetto del Santo di Padova con delle attese, spera che il pellegrinaggio possa comportare un qualche sostegno, aiutare a risolvere un problema, essere un sollievo, dare un po’ di pace. Qui c’è dunque un’aspettativa, una speranza, una domanda, in alcuni casi una richiesta. Ma la natura di questo chiedere assume solo in una minoranza un carattere determinato, come quando si ha un problema specifico, di carattere materiale o spirituale, ben noto a chi lo soffre, e si spera che l’incontro con il Santo aiuti a risolverlo. Un pellegrino su tre, che pure si attende qualcosa, non chiede un aiuto specifico, non ha una faccenda particolare che lo angustia da mettere in evidenza; spera piuttosto in un qualche sostegno nel vivere i problemi che ha, la propria condizione umana in generale si potrebbe dire.
Sul significato e i modi con cui questa attesa si manifesta non siamo in grado di dire di più. Non sappiamo cioè se si desidera chiedere ad Antonio che si prenda cura della propria intera vita. Non sappiamo se invece, e più semplicemente, si tratti dell’esile e umana speranza che il fatto stesso di essere lì, a vivere insieme con altri la fatica del lungo incedere verso la Basilica, pregando o restando in silenzio, nell’attesa di un incontro con chi si ritiene essere stata persona ammirevole e santa, possa essere di per sé di giovamento, consentendo per un po’ almeno di pensare con più tranquillità alla vita e al futuro. Non occorre essere ancorati alle culture del passato per vivere questa segreta speranza, non occorre avere una mentalità magica, né occorre patire particolari avversità. Basta condurre una vita normale nella consueta «società del rischio», in un mondo cioè che, se ci ha salvato da molti dei guai che un tempo incombevano sulla nostra vita, ci espone in modo altrettanto imprevedibile a incognite di natura diversa e in primo luogo a quello di perdere noi stessi o di non riuscire a determinare chi siamo.
 
Antonio chi è
 
Chi è, infine, il Santo per i pellegrini che abbiamo incontrato? Innanzitutto un protettore e un esempio di devozione a Dio (vedi grafico 3). Poi, in proporzioni non molto lontane, è il Santo dei miracoli e un guaritore, ma anche un intercessore. Vengono infine, più distanziate, le altre definizioni: grande uomo, guida spirituale, predicatore-annunciatore. Si tratta di immagini che riflettono solo in parte quelle, probabilmente meno note, che la tradizione ci ha consegnato (la figura del dotto predicatore ed evangelizzatore, ad esempio, appare un po’ defilata) e che riflettono rielaborazioni e appropriazioni popolari dell’immagine del Santo.
Potremmo dire che nell’immagine di Antonio convivono innanzitutto due dimensioni fondamentali: per la prima egli è un esempio, una guida, un uomo grande e nobile che suscita atteggiamenti di stima e ammirazione; per la seconda egli è un soggetto che agisce, si dà da fare, che è «presente» e attivo.

Queste due dimensioni possono essere richiamate entrambe dal singolo pellegrino, oppure può essere solamente una di esse a venire in primo piano nella mente. È possibile, da questo punto di vista, suddividere le persone intervistate in tre gruppi: un primo (formato da 3 persone su 10) sottolinea soprattutto le sue doti degne di ammirazione; un secondo gruppo (4 su 10) la sua presenza attiva; un terzo infine (3 su 10) le richiama entrambe. E ciò suggerisce che per la maggioranza dei pellegrini (7 su 10), Antonio non è semplicemente quello che è stato, tanti secoli fa, e di cui ancora oggi serbiamo memoria riconoscente. Antonio è presente, oggi, qui, e agisce; Antonio non è solamente «quelle povere ossa». Egli è vivo. In altre parole, certamente suscita interesse per la sua statura morale e spirituale, ma innanzitutto per la sua azione considerata come reale, potenziale, sperata, che protegge (soprattutto che protegge), e poi intercede e guarisce.
I modi con cui viene descritto il suo essere attivo non sono tutti uguali. Le differenze sono anzi rilevanti e veicolano rappresentazioni abbastanza diverse del Santo. Una cosa è che Antonio operi in prima persona, come appare implicito in chi allude alla sua ben nota caratterizzazione di guaritore; diverso è che egli operi attraverso il ruolo meno esigente di persona che protegge; infine, diverso ancora è che egli agisca indirettamente, in qualità di intercessore. Lo si vede se si pongono in relazione questi modi con le caratteristiche sociologiche dei pellegrini. L’idea di guaritore e di Santo dei miracoli, ad esempio, è molto presente tra le casalinghe, tra i pensionati e in chi ha bassi livelli di istruzione; lo è assai di meno tra chi è giovane, studente o occupato, con livelli di istruzione più elevati. L’immagine del Santo in parte si sta riorientando verso dimensioni meno contrassegnate in senso miracolistico, e nella direzione di una presenza che rimane viva, ma più caratterizzata in senso protettivo e come esempio di vita cristiana.
 
Un popolo credente
 
Ciò che qualifica il popolo di sant’Antonio, per come si è manifestato nel corso dell’evento del febbraio 2010, non è infine una particolare connotazione sociologica. Si tratta di uno spaccato della popolazione attuale con qualche presenza femminile in più.
Quello che lo caratterizza è il suo essere un popolo credente: ben l’83 per cento dei pellegrini crede senza incertezze nella risurrezione, una percentuale senza paragone con quella che si riscontra nella popolazione e maggiore di quella che troviamo tra i praticanti. L’evento ha richiamato in piazza quella componente minoritaria, ma esistente, della popolazione, che può anche avere preso una certa distanza dalla Chiesa in quanto istituzione, come la frequenza non generalizzata alla messa indica, ma che è ancora capace di credere in modo «ingenuo».

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017