Pellegrini con una meta
Varcando la soglia di un nuovo millennio, così carico di sfide e di attese, siamo consapevoli di aver lasciato dietro di noi un secolo complesso e sofferto. Se, infatti, tramanderà ai posteri alcune significative vittorie, conseguite in campo politico e sociale, per dare all'uomo e soprattutto alla donna delle garanzie sui loro diritti inalienabili e universali, rimarrà caratterizzato dalle due guerre mondiali, dalle forzate migrazioni che hanno mutato il volto di interi Paesi, da odi e conflitti che hanno lasciato profonde lacerazioni nelle coscienze e nella memoria collettiva di popoli e nazioni. C'è un interrogativo costante nella mente di tanti: come sarà il futuro del mondo? Quali sono le attese delle società in via di sviluppo e quali le risposte dei Paesi ricchi che gestiscono oggi la politica mondiale?
Le nostre speranze sono espresse con un certo pragmatismo: si basano su cambiamenti e progetti che richiedono tempi lunghi, convergenze politiche, istituzionali e culturali condivise sia da coloro che hanno il potere, sia da coloro che hanno in mano gli strumenti dell'opinione pubblica. Nel corso del recente vertice di Firenze dei sei leader progressisti del mondo, è maturata una significativa convergenza su alcuni valori comuni, ma sono anche emerse strade diverse e difficoltà per conciliare i valori della solidarietà - sottolineati soprattutto dai presidenti degli Stati Uniti e del Brasile - con le regole del mercato e dello sviluppo economico.
Il 2000, che per i cristiani è un Anno Santo, richiama tutti ad affrontare con serietà impegni gravi e indilazionabili. È iniziato lo scorso Natale con l'apertura della Porta Santa della basilica di San Pietro, a Roma: un segno che evoca il cammino che il cristiano è chiamato a compiere per la sua conversione personale. Anche nel contesto di una società tecnologica e globalizzata, l'uomo si riscopre come un pellegrino che non può camminare senza una meta. E neppure rimanere sospeso tra una New Age e una Next Age senza radici storiche e senza una forte identità spirituale.
Come nella basilica di San Pietro, analoghe celebrazioni giubilari sono avvenute nelle altre basiliche di Roma, della Terra Santa, nelle cattedrali e nei santuari più significativi di ogni Paese del mondo. Anche nella basilica antoniana di Padova, proclamata da Giovanni Paolo II «Santuario internazionale», il Giubileo è stato solennemente aperto con una concelebrazione presieduta da monsignor Marcello Costalunga, delegato pontificio, e con la partecipazione della comunità dei frati e di una folla di fedeli. È seguita la «Veglia di preghiera di fine millennio» e la celebrazione della Giornata mondiale della pace.
Le comunità cristiane di ogni continente sono invitate a rivolgere la loro attenzione innanzitutto ai contenuti spirituali del Giubileo. È un tempo di grazia in cui gli uomini di buona volontà possono realizzare davvero le profezie e le speranze ancora eluse: la salvezza delle persone vittime della fame, della guerra e della violenza; la liberazione di popoli oppressi da debiti insostenibili e da situazioni di povertà ed emarginazione. «Il genere umano si trova di fronte a forme di schiavitù nuove e più sottili di quelle conosciute in passato: la libertà continua ad essere per troppe persone una parola priva di contenuto», sottolinea Giovanni Paolo II nella bolla d'indizione del Giubileo.
Tante speranze del nuovo millennio si fondano su una nuova cultura della solidarietà e della cooperazione internazionale. Un impegno che sta coinvolgendo la Chiesa e che può trovare attuazione in uomini di buona volontà capaci di rendersi operatori di riconciliazione e di giustizia sociale. Anche se per i membri di altre religioni e per tanti cristiani, l'Anno Santo non ha rilevanza, la sfida che Giovanni Paolo II lancia al mondo è di recuperare le radici dell'utopia sacra del giubileo che, dalla esperienza di Israele alla tradizione cristiana, è un messaggio di riconciliazione, di giustizia e di liberazione da ogni schiavitù che ancora condiziona la vita umana.