Potere vegetariano
È ora di pranzo in corso Vittorio Emanuele. A due passi dalla «Madunina» più famosa d’Italia, la Milano dell’Expo è tutta un brulichio di turisti affamati di negozi, cultura e piatti tipici. Tra un bar con vista sulle guglie del Duomo e l’altro, una famigliola di biondissimi tedeschi si raduna intorno a un menù che vanta «la miglior cotoletta della città». «Scusi, avete piatti vegetariani?» chiede il padre in un italiano stentato al cameriere. «L’insalata alla milanese è un tipico vegetarian dish» risponde sornione il ragazzo incravattato, che ha già fiutato l’affare. Gli stranieri annuiscono e si accomodano al primo tavolino disponibile. Evidentemente non sanno che – a poche centinaia di metri – ha appena aperto un fast food vegano, che a una sola fermata di metro si possono gustare le migliori polpette di seitan della città e che, camminando una ventina di minuti in direzione Porta Romana, un futuristico «green bar» dispensa snack di frutta e verdura a tutte le ore del giorno. Ebbene sì, il «ciclone vegetariano» ha fatto breccia anche nella patria dell’ossobuco e della cassoeula. E, non contento, continua a espandersi in Italia, in Europa, in tutto il mondo.
Secondo il Rapporto Italia Eurispes 2015, negli ultimi anni l’incidenza dei vegetariani sulla popolazione è passata dal 4,9 per cento del 2013 al 6,5 dello scorso anno, salvo attestarsi al 5,7 nei primi mesi del 2015. Se poi teniamo conto anche dei vegani che – oltre alla carne e al pesce – hanno escluso dalla loro dieta l’intera gamma delle proteine animali (comprese quelle contenute nei latticini e nelle uova), i numeri salgono ancora: 6 per cento nel 2013; 7,1 nel 2014; 5,9 da gennaio a oggi. Cresce il consumo di frutta e verdura, cala quello di carne, soprattutto bovina, che – conferma l’Istat – è passato dai 25 chili pro capite all’anno del 2000 ai 19,3 del 2014.
Oltre i confini di casa nostra, le proporzioni si fanno ancora più impressionanti. Secondo il Meat atlas 2014 (l’Atlante della carne stilato dall’associazione Friends of the earth e dalla Fondazione Heinrich Böll), i vegetariani nel mondo sarebbero 375 milioni, concentrati soprattutto in India (dove un terzo della popolazione non mangia carne), Etiopia, Giamaica, Singapore (l’isola ospita almeno 286 ristoranti vegetariani) e Germania, il Paese più veggie d’Europa, con 7 milioni di seguaci di tale dieta. Rinnegano braciole, hamburger e insaccati sulla base di un credo religioso (ad esempio, l’induismo prevede l’astensione dalle carni), ma anche per motivi etici e ambientalisti. Chi sceglie una dieta vegetariana sa bene che per produrre un chilo di carne occorrono circa 15 mila litri di acqua (contro il migliaio richiesto dalla coltivazione dei cereali), che ogni animale trasforma in bistecche solo il 10 per cento del cibo mangiato (producendo nel contempo 500 litri di metano) e che se consumassimo direttamente i raccolti, anziché trasformarli in mangime, avremmo già saziato la fame del Sud del mondo.
Di recente, poi, si è aggiunto un altro buon motivo per rinunciare alla carne: la prova che la salute viaggia di pari passo al consumo di frutta e verdura e alla riduzione dei grassi saturi di origine animale. Sull’argomento gli studi e le pubblicazioni si sprecano: nel ’97 il World cancer research fund raccomanda di limitare il consumo di burro, strutto, panna e carne rossa, precisando che «un terzo di tutti i tumori si può prevenire con una corretta alimentazione». Qualche anno dopo The China Study, il bestseller di Colin Campbell, ripercorre 27 anni di ricerche sul rapporto tra alimentazione e salute. L’obiettivo del biochimico statunitense è dimostrare che i cibi vegetali non hanno nulla da invidiare a quelli di origine animale. «Se parliamo di una dieta scelta in condizioni di disponibilità alimentare, quella vegetariana è più ricca di sostanze protettive (come i fitcomposti, la vitamina C, il betacarotene, il potassio, il magnesio, la fibra) e, in questo senso, ha un miglior profilo nutrizionale di quella onnivora – spiega Luciana Baroni, neurologa a capo della Società scientifica di nutrizione vegetariana –. L’integrazione a cui possono dover ricorrere i vegetariani si limita alla vitamina D, non presente in alcuna dieta, e alla vitamina B12, presente in misura inferiore nelle diete vegetariane, che non includono la carne di animali nutriti con integratori di vitamina B12».
In linea con la posizione della dottoressa, vegana dal 2001, è quella di un altro pioniere del vegetarianismo, Umberto Veronesi. Nel suo libro Verso la scelta vegetariana (Giunti), scritto a quattro mani col giornalista Mario Pappagallo, il direttore scientifico emerito dell’Istituto europeo di oncologia spiega come l’eccessiva assunzione di grassi animali provochi una sorta di «infiammazione cronica» nell’organismo, aprendo la strada alla «diffusione delle malattie legate alla sovralimentazione, ormai endemiche in Occidente e in forte espansione nei Paesi emergenti: malattie cardiocircolatorie, cancro, diabete». Ben venga dunque «la scelta vegetariana», purché intesa come scelta moderata, un percorso in divenire affiancato dal parere di medici e nutrizionisti, sulla scia delle linee guida fornite dalla Società italiana di nutrizione umana (il fabbisogno energetico – che varia a seconda di età, sesso e attività fisica – deve essere soddisfatto per il 50-65 per cento dai carboidrati; per il 12-15 dalle proteine; per il 25-30 dai grassi; senza dimenticare i micronutrienti fondamentali come sali minerali e vitamine). Bandite le posizioni totalizzanti alla Hungry hearts (il film di Saverio Costanzo, la cui protagonista è una mamma vegana integralista che mette a rischio la vita del figlio), vegetarianismo non è necessariamente sinonimo di buona salute.
«Mangiare sano significa avere un regime alimentare equilibrato, nel rispetto della salute, per cui anche nel vegetarianismo possiamo imbatterci in errori – avverte Elena Dogliotti, biologa nutrizionista della Fondazione Umberto Veronesi –. In particolare, il vegetariano “classico”, che non consuma né carne né pesce, potrebbe esagerare coi latticini oppure sbilanciare la propria dieta a favore dei carboidrati. Se la si segue in modo corretto, però, la dieta vegetariana non ha punti deboli».
E allora via libera a cereali (una o due porzioni al giorno), frutta e verdura (cinque razioni ogni 24 ore) e ai grassi «buoni» contenuti nell’olio extravergine di oliva e nella frutta secca. Il tutto ricordandosi di alternare i cibi: «La varietà è molto importante, perché non esiste un alimento che da solo è in grado di soddisfare i nostri fabbisogni – continua la biologa –. La carne non è indispensabile, lo sono però le proteine e gli aminoacidi di cui è composta. Perciò è importante ricavarli dalle diverse fonti vegetali». E se la missione risultasse più difficile del previsto? «L’importante è il giusto equilibrio – risponde ancora Elena Dogliotti –. Il maggior rischio cardiovascolare o di sviluppare tumori legati al consumo di carni è sempre riferito a una situazione di eccesso, per cui anche in questo caso l’ideale è basarsi sulle linee guida, che prevedono un consumo di carni bianche pari a una o due porzioni settimanali e uno sporadico di carni rosse».
Una scelta per la vita
Filosofi e matematici, artisti, letterati e sportivi. La storia è piena di personaggi che hanno adottato la dieta vegetariana. Se già nel sesto secolo a.C. Pitagora evitava persino di accostarsi a macellai e cacciatori, oltre settecento anni dopo Porfirio dedicò all’argomento un trattato intero. «La carne non giova alla salute, ma piuttosto la ostacola – scriveva in Sull’astinenza dalle carni degli animali –. Infatti i mezzi con cui la salute si riacquista sono gli stessi con cui la si conserva. E siccome la salute si riacquista grazie a un regime alimentare leggerissimo, da cui è esclusa la carne, la si dovrebbe potere conservare nello stesso modo». Molti lustri dopo, ad avvalorare la tesi del filosofo fenicio sono Leonardo Da Vinci (che nell’Ultima cena non a caso dipinge un banchetto a base di pane e frutta), gli scrittori Lev Tolstoj (sua la frase: «Dall’assassinio degli animali all’assassinio degli uomini il passo è piccolo») e Marguerite Yourcenar («Mangiare carne è digerire le agonie di altri esseri viventi»), fino al fautore della «rivoluzione non violenta» il Mahatma Gandhi.
Con alti e bassi il vegetarianismo da sempre accompagna l’uomo in un percorso di crescita: talvolta è una zavorra, altre pura ispirazione. La stessa che nel XX secolo ha permesso a sportivi come Carl Lewis (campione olimpico di salto in lungo e velocità) e Edwin Moses (medaglia d’oro nei 400 metri a ostacoli) di sfatare il mito dell’atleta tutto muscoli che fagocita chili di carne rossa e uova sode. Al di là degli stereotipi e delle mode, oggi quella vegetariana è una scelta di vita radicata nei più disparati ambienti. Da quello della musica (vedere l’esempio di Paul McCartney) a quello del cinema (i premi Oscar Jared Leto e Natalie Portman sono entrambi vegani) fino al mondo reale, popolato da «persone normali» alle prese coi problemi di tutti i giorni. Di quest’ultima realtà Paolo è un perfetto rappresentante: 41 anni a luglio, padre di tre figli, receptionist d’azienda, sposato a una nutrizionista, ha alle spalle un recente passato da vegetariano (sei anni) seguito da un ritorno alla dieta onnivora (cinque anni). Poi, dodici mesi fa, la scelta radicale: diventare vegano crudista. A motivarlo, l’insorgere di una malattia, i chili in eccesso e la lettura di libri e blog sull’argomento. Senza contare l’appoggio della famiglia, «indispensabile quando, preso dall’insicurezza, cominci a chiederti se stai sbagliando tutto». Ora Paolo conosce bene la risposta a questa domanda. Gliel’ha data il suo corpo: «Il mio fisico ora è molto più flessibile e in forza, la pelle è più liscia. In poche parole mi sento bene» ammette soddisfatto. Merito di un menù a base di frutta, verdura e cereali rigorosamente crudi: ogni giorno, per cinque volte a settimana, circa tre chili tra banane, mele, polpelmi, kiwi e frutta secca. Più due terrine di insalata, avocado e tarassaco condite con un etto e mezzo di cereali (riso, quinoa…) messi in ammollo la sera prima. «Non mischio mai frutta e verdura, lascio passare poco tempo tra un pasto e l’altro, e scelgo sempre prodotti di stagione, meglio se a chilometro zero – precisa Paolo –. Obbligatorio variare le pietanze e anche sgarrare di tanto in tanto».
Regole sacrosante per una dieta forse un po’ estrema, forse non adatta a tutti, ma che – a detta di chi la segue – permette di «ascoltare il corpo fornendogli ciò di cui ha bisogno». Fino a prova contraria, comunque, l’elisir di lunga vita non è ancora stato scoperto. Tanto meno una dieta infallibile, che valga per tutti allo stesso modo. E Paolo lo sa bene. «Per questo – conclude – ho lasciato i miei figli liberi di scegliere e di mangiare ciò che preferiscono». Liberi, insomma, di ascoltare se stessi e di andare dove li porta il cuore, ma soprattutto… il loro palato.
FOCUS
Vegetarianismo nella fede
C’era una volta un Dio buono e misericordioso che dopo aver creato l’uomo e la donna li sistemò in un giardino florido e verdeggiante, dove essi non avrebbero mai patito la fame. «E Dio disse: “Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo”» (Gen 1,29). È legato a questo brano della Genesi un quesito che ancora oggi non ha trovato piena soluzione in ambito cattolico: può il cristiano cibarsi degli animali o forse il suo credo gli impone a priori una dieta vegetariana?
Se guardiamo indietro nei secoli, gli esempi di santi che rinunciarono alla carne sono un’infinità. Pensiamo a san Pietro che – stando a quanto riporta Clemente Romano nei suoi Ricognitionum libros – si cibava di pane e olive. O a san Gregorio Nazianzeno che mangiava solo lupini; o, ancora, a santa Caterina da Siena, che fin da piccola rinunciò alla carne nutrendosi di pane, erbe crude e acqua. Che dire poi di Benedetto da Norcia che, nella sua Regola, stabilì il divieto della carne per tutti i monaci suoi discepoli? Oggi i tempi sono cambiati. E ancora pochi ordini religiosi – i certosini, i minimi, il ramo coronita dei camaldolesi e i monaci trappisti – praticano con costanza il vegetarianismo. «Al momento, la posizione della Chiesa è di neutralità – precisa Guidalberto Bormolini, coautore e curatore del libro Collaboratori del creato. La scelta vegetariana nella vita del cristiano (Libreria Editrice Fiorentina) –. Anche se l’interpretazione biblica che vede la dieta carnivora come una conseguenza del peccato originale non è molto diffusa, nella tradizione monastica il tema etico del ritorno all’Eden, cioè a una dimensione di armonia e non violenza presente nel piano divino, ricorre spesso».
Secondo san Girolamo (nella foto, in un dipinto attribuito a Joachim Patinir, ndr) – che nel suo Adversus Jovinianum definisce la dieta vegetariana uno strumento di perfezione – evitando il consumo delle carni, e riprendendo la dieta delle origini, è possibile tornare a quello stesso stato di armonia tra Dio, uomo e creato che il peccato originale ha mandato in frantumi. Si tratta però di un percorso a tappe, che non ha nulla a che vedere col fanatismo. «La dieta vegetariana non dev’essere un obbligo, ma uno sviluppo dell’amore assoluto che il Vangelo ci insegna – continua Bormolini –. Procedendo per gradi e secondo una “gerarchia d’amore” si arriva a un sentimento cosmico. Del resto, come san Francesco ci ha insegnato, se siamo capaci di amare i nostri simili, possiamo imparare ad amare anche gli animali, le piante, l’acqua, persino le rocce». Parafrasando un altro grande santo, Gregorio di Nissa, potremmo dire che «siamo proiettati a un amore infinito – conclude Bormolini –. C’è sempre spazio per diventare più grandi e non ci annoieremo mai. La vita cristiana qui e dopo la morte è così: si va di inizio in inizio, e gli inizi non avranno mai fine».