Progetto «Acquaviva»
Anche i denti possono essere lavati in modo ecologico. Con due brevi getti d’acqua: il primo quando si inumidisce lo spazzolino e il secondo, dopo due minuti circa – tempo medio calcolato per l’intera operazione –, quando lo si ripulisce e ci si dà una sciacquata alla bocca. Regole elementari che circolano da tempo e che i media ribadiscono in continuazione. Buone pratiche che alla lunga mettono radici e diventano stili di vita, con possibilità di incidere anche sul portafogli, ma ancor più di abituarci a considerare gli elementi che ci circondano con una mentalità meno superficiale e consumistica. Mi ha stupito, ad esempio, venire a conoscenza del fatto che un comportamento distratto e acritico porta a sprecare circa 281 litri d’acqua per ogni tubetto di dentifricio. E in molte case succede. Vuol dire che, al di là di ogni buona intenzione, qualcosa di importante ci sfugge, e conoscere non significa automaticamente cambiare. Il mio ricordo va spontaneamente alla legge ferrea che, quando ero piccolo, vigeva in casa: era impensabile lasciare la luce accesa in una stanza quando non serviva, e così pure sprecare acqua per motivi futili. Si era dignitosamente poveri e non ci si poteva permettere di «far andare su il contatore».
Sembrano cose d’altri tempi, che però hanno lasciato in alcune generazioni un’impronta benefica, determinando una sorta di soglia d’attenzione verso l’utilizzo delle cose e dei beni. Oggi, presi nella girandola degli acquisti facili, magari a piccole implacabili rate, e catechizzati dalla mentalità dell’usa e getta, per cui consumare è diventato più un modo di affermare se stessi che di soddisfare effettivi bisogni personali, non è facile mantenere alta e desta questa soglia. Senza parlare di molti giovani che ne sono del tutto sprovvisti, eccezione fatta per quella minoranza che ha maturato una sua consapevolezza, trasformando le proprie convinzioni in militanza ecologica orientata alla giustizia globale. Sì, perché non si tratta più soltanto di autolimitarsi in vista di far quadrare il bilancio familiare – cosa, tra l’altro, fondamentale – ma di guardare oltre il perimetro della propria famiglia o gruppo di appartenenza per abitare il mondo globalizzato e segnato, trasversalmente, da problemi che richiedono sensibilizzazione e coinvolgimento da parte di tutti. «Crisi idrica mondiale», «guerra per l’oro blu», «impronta idrica», «privatizzazione dell’acqua», stanno diventando temi caldi, destinati a surriscaldarsi più entreremo nel vivo del XXI secolo.
Senza trascurare questa prospettiva planetaria, il compito primario di un cristiano – e non solo – è concretamente quello di «dar da bere agli assetati». Cominciando da un punto, da un luogo, che quest’anno la Caritas Antoniana ha individuato nella diocesi di Nkayi in Congo-Brazzaville. In Congo, direte voi? Ma lì di acqua ce n’è in abbondanza: fiumi, vegetazione rigogliosa, foreste maestose, tanto che il Paese stesso prende il nome da un fiume, il Congo appunto, che è il secondo al mondo per portata d’acqua. Eppure il nostro Speciale Caritas 13 giugno 2010 prende spunto dalla storia di Cecile, una bambina la cui vita è messa a rischio dalla malaria. Migliaia di bambini si ammalano di questa e altre malattie (colera, diarrea, infezioni…) che in un contesto di tracollo delle strutture sanitarie sono letali. Tre quarti delle preziose acque presenti in Congo non sono potabili e nelle zone rurali uno stesso specchio d’acqua viene utilizzato per cucinare, lavare i panni, abbeverare gli animali e per la pulizia personale. Il tutto dopo una lunga guerra che ha lasciato dietro di sé miseria e disperazione. Il progetto – chiamato «Acquaviva» – di attivare ottanta pozzi che garantiscano un sano rifornimento idrico per la diocesi di Nkayi significherà vita per bambini e famiglie oggi senza prospettive di futuro.