Puntare sulla famiglia, contro la crisi
È cosa nota a tutti che la famiglia non se la passa bene. Quello che con buone ragioni va considerato il fondamento della società – non secondo i cattolici, ma sulla base della Costituzione italiana – non è sempre coerentemente pensato come sua parte determinante, e si foraggia in proposito un immaginario che vede ormai la famiglia come istituzione obsoleta, decrepita, superabile. Naturalmente stiamo parlando della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna e aperta alla vita, perché altre forme di unione a geometria variabile stanno sgomitando per ottenere la griffe di famiglia con relativo pacchetto di diritti. In ogni caso, il fatto che l’Italia sia il Paese al mondo con il tasso più basso di natalità (e lo dico senza alcun moralismo, senza predicare al vento: «Fate figli!», espressione più irritante che motivante) sta squilibrando l’assetto sociale un tempo basato su pochi anziani al vertice della piramide sostenuti da molti giovani alla sua base, forze fresche per il lavoro e storie pronte a sbocciare all’amore e all’avventura del matrimonio. Non voglio qui cantare le lodi del bel mondo passato, ma solo dire che la sfida di un futuro socialmente sostenibile è aspra e incalzante, e non può che passare dalla famiglia, dal suo assetto, dalla sua salute relazionale ed economica.
Se questo è vero, l’imminente Settimana sociale dei cattolici italiani che si svolgerà a Torino dal 12 al 15 settembre, dal titolo La famiglia, speranza e futuro per la società italiana, è un vero e proprio sasso lanciato nello stagno di una rassegnazione che, almeno in Italia, mette la famiglia nell’angolo, ultimo tra i problemi da affrontare, anche e soprattutto in questo tempo di crisi. C’è una mentalità da smuovere e un dinamismo nuovo da attivare, perché se la famiglia sta bene, anche il Paese sta bene, per cui chiedere attenzione alla famiglia non significa domandare privilegi per qualche parte politica e tantomeno per la parte cattolica, ma fare gli interessi di tutti. Insomma, come ha affermato il sottosegretario della Conferenza episcopale italiana alla presentazione del documento preparatorio, «il tema della famiglia non può essere ridotto a una questione interna alla Chiesa o a un tema eticamente sensibile ma nel perimetro della confessione cristiana. È in gioco molto di più». Ecco la nuova mentalità, il punto sul quale vale la pena di insistere e che lancia un dibattito il quale è sì sociale e politico ma ancor prima antropologico e culturale. Verrebbe da dire: famiglia, per quale società? In radice sono da ricentrare le grandi categorie di persona, relazione uomo e donna, generazione, genitorialità, per arrivare a comunità, welfare, giovani, immigrati.
La scelta di Torino come sede del convegno non è stata casuale, poiché il capoluogo piemontese è una grande città industriale anch’essa nella morsa della crisi e del conseguente disagio sociale, non solo giovanile. Se da questo luogo paradigmatico si riuscirà a far risuonare in modo credibile parole apparentemente logore come speranza e futuro, potrà innescarsi un effetto a cascata anche per altri contesti non meno problematici, in molti dei quali la famiglia svolge praticamente il ruolo di ammortizzatore sociale. Da qui la richiesta non direttamente di risorse, che probabilmente scarseggiano, ma almeno di un alleggerimento del peso fiscale, come avviene in molte nazioni europee che si dimostrano apertamente family friendly, con politiche attente ai ritmi e ai problemi familiari.
Alla settimana di settembre parteciperanno circa 1.250 persone in rappresentanza delle diocesi italiane e delle realtà associative, vescovi e sacerdoti, laici e religiosi insieme, per una profezia che dovrà esprimersi con parole autorevoli e in grado di produrre fatti concreti.