Rondine, profezia di pace
«Solo nella pace ci può essere il progresso»: sono queste le parole che accolgono il visitatore di Rondine, minuscolo borgo toscano immerso nel verde delle rive dell’Arno. Lo sventolio di bandiere di tanti Paesi del mondo e le targhe dedicate a pensieri di pace identificano subito il paesello, laboratorio sociale e culturale ribattezzato «Cittadella della Pace». Nulla di new age o di banalmente pacifista: in questo angolo quieto di Toscana, a dieci chilometri da Arezzo, dal 1997 esiste uno studentato internazionale dove si insegna la pace attraverso lo studio. L’associazione Rondine nasce attorno a un’idea forte e originale: far convivere, in un luogo e in un contesto neutrali, ragazzi provenienti da Paesi in conflitto che nelle loro terre sarebbero potenziali nemici. «Dare un volto al nemico, umanizzarlo per umanizzarci, è una strada per cambiare, un processo senza fine» spiega con sguardo illuminato Franco Vaccari, presidente e fondatore dell’associazione. «Il pregiudizio abbrutisce, si radica in modo talmente sottile che chi lo pratica non ne è più consapevole. Il metodo Rondine consiste proprio nell’insegnare a coltivare l’umano che è in ciascuno di noi, perché porti frutto».
Questo borgo così riparato e mite è un luogo d’avanguardia. Mettere insieme il cammino di giovani provenienti da varie parti del mondo può sembrare semplice, eppure non è così.
La pace, come spiega Mauro D’Andrea, responsabile delle relazioni internazionali, si costruisce con la fatica e la perseveranza: «Scegliamo giovani che hanno rifiutato la guerra per sostenerli nel diventare i leader di domani. Il percorso che questi ragazzi devono sostenere è impegnativo. Tutto alimenta in loro sospetto, diffidenza, rancore, vendetta e odio. A Rondine devono spogliarsi di alcune certezze, imparare a guardare negli occhi il loro nemico, viverci insieme non per il tempo di un’emozione, ma per quello dilatato della quotidianità. Il cambiamento di prospettiva, con la pratica e l’impegno, arriva. Qualcosa si muove nella vita interiore di ciascuno studente: mutano le relazioni, la coscienza del proprio compito personale e storico, le prospettive di vita. È una crescita che rovescia il modo di vedere l’altro e gli altri. L’uscita dal circuito dell’odio diventa patrimonio da spendere poi anche una volta tornati a casa, diventando contagiosi pacificatori».
Da antagonisti a protagonisti
All’arrivo a Rondine lo studente frequenta per circa tre mesi un corso di lingua italiana, per poi iniziare il percorso di studi accademici seguendo corsi universitari o master alle università di Siena, Firenze, Roma o Bologna. Per sostenersi nelle spese, i ragazzi usufruiscono di borse di studio messe a disposizione da istituzioni e privati. «La maggior parte degli studenti ha conseguito buoni risultati – spiega Sara Bindi, responsabile della comunicazione –. Una volta terminato l’iter di studi, tornano nel loro Paese di origine per inserirsi in percorsi di carriera nel mondo accademico, istituzionale e industriale in posizioni di alta visibilità, facendosi così portatori di un messaggio che promuove il dialogo».
Il soggiorno a Rondine può variare da uno a tre anni, a seconda del percorso universitario scelto. Durante la permanenza in Toscana, gli studenti sono coinvolti in diverse attività, esterne e interne, come ad esempio dinamiche di team building, che favoriscono la costruzione di un gruppo. Le giornate dei ragazzi, quando non sono impegnate dallo studio, sono scandite da una fitta rete di incontri culturali presso scuole, enti e associazioni, oltre che da incontri sul dialogo ecumenico e interreligioso, visto che nello studentato vivono giovani di cultura e credi religiosi differenti, di varie confessioni cristiane, ma anche aderenti alle altre grandi religioni monoteiste. Il tema dell’ecumenismo e del dialogo religioso, a partire dalla radice cattolica dell’associazione Rondine, è molto presente, secondo il genuino stile dello «Spirito di Assisi».
Una volta concluso il percorso di studi e dopo aver fatto proprio il carattere del dialogo, le «rondini» prendono il volo dal nido toscano per tornare nel contesto culturale d’origine. Il nome che viene dato agli ex studenti messaggeri di pace è «rondini d’oro».
«A tavola con la nemica»
Gli studenti di cui abbiamo parlato finora hanno un volto e una voce. Alcuni di loro ci avvicinano in sala caffè. Il primo a prendere l’iniziativa è un corpulento ragazzo caucasico, sguardo franco e sicuro: «Mi chiamo Irakli, sono georgiano, laureato in giurisprudenza. Qui sto studiando diplomazia e relazioni internazionali. Lui invece – spiega abbracciandolo – è Temur, viene dall’Abkhazia, mio Paese nemico. Quando rientrerò a Tbilisi darò vita a progetti di cooperazione e sviluppo sull’asse dei due Paesi. È tempo di costruire qualcosa insieme».
L’atmosfera all’interno dello studentato è densa: «Come in ogni famiglia, anche qui si litiga, è inevitabile. Ma poi si fa la pace, sempre, e questo rafforza l’amicizia» spiega Kameliah, studentessa palestinese laureata in economia alla Bethlehem University.
Gli occhi di Kameliah si fanno lucidi quando con orgoglio rivela: «Non è stato facile per me sedere a tavola con una ragazza israeliana che per quattro anni ha fatto parte dell’esercito del suo Paese. L’impatto è stato duro, ma poi capisci che dietro le etichette ci sono le persone e impari ad avere fiducia in te stesso e nell’altro». Il lavoro che gli studenti di Rondine portano avanti, in effetti, è soprattutto su se stessi.
«Il rischio dell’abbruttimento – insegna ancora Franco Vaccari – è sempre presente nell’uomo: spesso costruiamo un nemico fuori di noi per cancellarlo dentro di noi. Per tornare all’amicizia, alla pace, dobbiamo passare dall’astratto al concreto, dall’inimicizia al nemico, da un’etichetta al volto, dall’amicizia all’amico. È come parlare del principio di Archimede o fare il bagno in mare, parlare d’amore o farlo».
Dal 1997 a oggi lo studentato internazionale ha accolto giovani provenienti da Medio Oriente, Balcani, Federazione Russa, Caucaso, Africa, India e Pakistan. I numerosi compleanni che qui si festeggiano – in media gli studenti residenti sono una trentina – sono momenti speciali nel corso dei quali dare libero sfogo alla cucina internazionale.
«La convivenza forzata, ma volontaria, a Rondine – rivela Sara Bindi – dimostra che i contrasti e le reciproche diffidenze tendono a dissolversi se vissuti al di fuori del contesto d’origine e che il dialogo è di fatto possibile». Per spiegarsi meglio, Sara ci racconta «l’aneddoto della lavatrice». «Nel 1997, quando aprimmo lo studentato, i primi a essere accolti furono russi e ceceni. Dopo poco tempo si verificò un problema inaspettato. I ragazzi delle due differenti nazionalità non volevano lavare i loro panni nella stessa lavatrice. Ma poi hanno compreso che la pace partiva proprio da lì. Ecco perché quando vengono a trovarci degli ospiti, li portiamo sempre a vedere questo nostro vecchio elettrodomestico».
A pranzo veniamo accolti in mensa. Vicino a noi siede Veronica, ha quasi trent’anni e una laurea in Scienze dell’educazione conseguita a Freetown, in Sierra Leone: «Nella mia patria c’è stata una sanguinosa guerra civile. Si è conclusa solo nel 2002, e oggi gli assassini dei nostri parenti vivono tra noi. In chiesa la domenica incontravo sempre l’uomo che anni prima aveva ucciso mio cugino proprio sotto ai miei occhi». Veronica si commuove, ma con lo stesso spirito con cui uno scalatore guadagna una cima, riprende a parlare: «Quando quest’uomo mi vede fa finta di niente e abbassa la testa. Vivendo a Rondine ho maturato una decisione: al mio ritorno in Sierra Leone andrò a parlargli. Cercherò la via della riconciliazione e della mitezza».
Sono ragazzi forti quelli di Rondine. Stanno affrontando le proprie paure, i pregiudizi, i risentimenti. L’esperienza reale e diretta che vivono nel piccolo borgo toscano non potrà essere cancellata da nessuna propaganda.
La nostra giornata alla Cittadella volge al termine. Andandocene, avvertiamo in noi una nuova convinzione: la primavera dell’umanità è possibile. Le rondini ce l’hanno annunciato.
Nuovi scenari per la semina di pace