Stati Uniti. Fede nella famiglia,in Dio e nella legge
Il carcere di Rikers Island, sito al confine tra il Queens e il Bronx nella città di New York, è la prigione più grande degli Stati Uniti. Ospita quasi ventimila detenuti sorvegliati e assistiti da tremila funzionari statali. Uno di loro è Marco Sorisio, una guardia carceraria, che vi lavora fin dal 1987.
Figlio di genitori oriundi da Vignale nel Piemonte, è nato nel Bronx, ha studiato scienze commerciali presso il Manhattan College di New York, dove si è laureato, ed è un felice marito e padre di una bella famiglia. È convinto che la grande maggioranza dei detenuti nei dieci palazzi che formano la prigione si trovino lì a causa di problemi familiari con i quali hanno fatto i conti fin dalla più tenera età. «Tutto quello che io ho appreso di importante per la vita, l’ho appreso in famiglia dai miei genitori», dice Marco e aggiunge: «Tutto quello che ho imparato qui in prigione l’ho imparato da gente la cui casa è stata al centro di tanti drammi: emarginazione, silenzio tra le generazioni, svalutazione della famiglia e dell’amore, e ricerca di felicità fasulla nella droga, nell’alcolismo, nelle gang, nella violenza e nel disprezzo per il dono della vita».
Marco assiste diversi tipi di carcerati: persone che hanno commesso omicidi e che poi hanno tentato di suicidarsi; ragazze minorenni (che oltretutto spesso hanno avuto esperienze di aborto) che hanno assunto e spacciato droghe; ragazzi (talora vittime di abusi) che hanno svaligiato case; prostitute che hanno derubato e ferito anziani; rapinatori (molti di questi divorziati anche a causa della prigione); giovani pericolosi (e soli) che s’erano aggregati a gang. Molti di questi sono anche ammalati di AIDS. «È difficile – dice Marco– insegnare l’importanza della famiglia a persone così segnate da storie difficili, nate in famiglie nelle quali dominano l’individualismo e l’egocentrismo. E ancora più difficile è spiegare loro che la famiglia non è una faccenda meramente privata, ma ha un carattere pubblico, sociale. È la famiglia e non lo Stato la cellula della società civile che ha il compito di educare i futuri cittadini ai valori morali». Marco non vuole fare lo psicologo: il suo compito è quello di sorvegliare i detenuti e ostacolare ogni sregolatezza; e ci riesce, al punto tale che i carcerati sovente gli confidano i loro problemi.
«Il mio metodo – rivela Marco – è sempre lo stesso: valorizzare la loro personalità, non chiudere mai le porte in faccia a nessuno, credere che in ogni detenuto c’è una parte buona. Io non sono un missionario, ma uno che ama la sua famiglia, che ogni mattina bacia sua moglie e i suoi figli e che poi si reca al lavoro. Questo l’ho imparato dai miei genitori e questi valori cerco di portarli ogni giorno qui». A Rikers Island vi sono carcerati d’ogni lingua, cultura e religione. Ognuno ha un concetto differente di Dio, e vi sono anche non credenti. «Come tantissimi carcerati sono il prodotto di una famiglia “sfocata”, tanti altri sono il prodotto di un Dio “sfocato”» sottolinea Marco. Ma, paradossalmente, la prigione è il luogo dove essi possono riappropriarsi della fede. «Il carcere – conclude Marco – è un luogo dove i detenuti possono sgombrare il loro passato dai crimini commessi, essere presso la fonte della propria coscienza, far tacere il male che alberga in loro e riscuotere sentimenti di onestà, rettitudine e perdono per il male compiuto. Il silenzio della prigione e l’ascolto della propria coscienza possono essere le terapie migliori per chi vuol uscirne migliore e ritornare cambiato nella società».