SU E GIÙ PER IL FRIULI
Di origine pre-romana, il territorio acquistò importanza strategica da quando Aquileia (181 a.C.) divenne colonia romana, con la conseguente costruzione di un grande castrum (postazione che garantiva il controllo dei confini fino a Roma) sul Monte Quarin. Ai piedi del monte sorge Cormòns, il centro commerciale, economico e culturale del Collio, che nella sua parte più antica si arrocca attorno alle chiese e alle torri, mentre nella parte moderna si protende verso la pianura. Dal 628 al 717, l'antica e caratteristica cittadina fu sede dei Patriarchi di Aquileia, amici dei Longobardi, che si rifugiavano al sicuro con i loro bottini ottenuti dai saccheggi della vicina Grado.
Nel 980 Cormòns venne donata da Ottone II al Patriarca Rodoaldo, e in seguito fu oggetto di contese tra i Patriarchi e i Conti di Gorizia, che ne divennero i signori fino al 1497, quando venne ceduta a Massimiliano d'Austria. Seguì la guerra con la Repubblica Serenissima e un breve periodo legato alla dominazione francese. Dopo le battaglie napoleoniche, la storia di Cormòns rimase legata a quella di Gorizia, anche successivamente al 1866, quando il resto del Friuli venne annesso al regno d'Italia: il centro collinare rimase dominio austriaco, tanto che il confine dell'Impero correva proprio lungo il corso del torrente Judrio. L'attuale frazione di Brazzano, situata sulle sponde del corso d'acqua, e che fino a tutto il 1928 fu comune autonomo, segnava di fatto i limiti della competenza amministrativa imperiale. L'annessione definitiva all'Italia si ebbe solo alla fine del primo conflitto mondiale, ma il territorio di Cormòns subì un'ulteriore modifica dopo la seconda guerra mondiale, con la suddivisione del Collio tra Italia e Jugoslavia. Se i resti dell'antico castrum di Cormontium rappresentano un'importante testimonianza della storia lontana, non mancano tuttavia altre vestigia dei tempi passati: i palazzi Locatelli e Del Mestri, la torre di Neuhaus e il monumento a Massimiliano I d'Asburgo. Di notevole interesse anche la presenza religiosa, evidenziata da un grande numero di chiese e cappelle che, con la loro architettura a volte semplice, punteggiano l'intero paesaggio del Collio.
Il Duomo, dedicato a Sant'Alberto, è la principale chiesa ed edificio-simbolo della città , imponente per la sua maestosità , per la sua posizione e per il suo campanile. Non è dato sapere come e quando, la venerazione per Sant'Alberto, vescovo di Praga, sia giunta attraverso la Polonia, la Boemia e l'Ungheria fino a Cormòns. Di sicuro si sa, invece, che la dedicazione del Duomo al Sanctus et christianissimus Martyr Christi Adalbertus è antichissima, come confermano molti documenti storici. La prima notizia di una chiesa dedicata al santo si ha nel 1289, in un contratto stipulato nella 'villa di Cormòns davanti alla chiesa di Sant'Adalberto', mentre in un documento del 1365 si cita un 'sedime posto in centa di Sant'Adalberto'. L'attuale Duomo fu ricostruito nel 1700 su un'altura nel cuore medioevale della città , ed è accessibile attraverso una spettacolare scalinata che accentua la verticalità della facciata.
Posta quasi sulla cima del Quarin, la chiesa della Beata Vergine del Soccorso (popolarmente conosciuta come chiesa di Sant'Anna) è un altro simbolo di Cormòns. Dall alto del monte, domina non solo la città sottostante ma l'intera pianura fino alla laguna di Grado. La chiesa, costruita nel 1600 per le numerose famiglie contadine del luogo, ha al suo interno un altare di pregio, riccamente decorato secondo il gusto barocco italo-germanico allora imperante. Tra alte acacie, lungo la strada che porta a Medana, si trova la chiesa della Subida, un piccolo gioiello cinquecentesco che secondo la tradizione popolare deve la sua origine a un fatto miracoloso. Anche la chiesa del piccolo centro di San Floriano è degna di nota: caratterizzata da un alto campanile che domina la piazza del paese, ha al suo interno tre preziosi altari. Situato a ridosso del confine con la Slovenia, il territorio di questo piccolo comune era circondato, nel Medioevo, da una possente cinta muraria, successivamente integrata da due castelli: il castello dei conti Coronini e quello degli Ungrispach, passato poi ai conti Formentini di Cividale.
Attraverso una bella strada panoramica che corre lungo le pendici del colle di San Giorgio si raggiunge Dolegna, anch'essa inserita nella cultura e nella storia del Collio. Il simbolo della cittadina è costituito da cinque stelle, ciascuna corrispondente a ogni frazione, e da una penna, in onore di Pietro Zorutti, lo scrittore nato a Lonzano nel 1792, e considerato a lungo il massimo cantore friulano della natura. Dei numerosi castelli disseminati nell'area, oggi rimangono quello di Trussio, in parte ricostruito, e quello di Ruttars, con la Torre di Marquardo. Quest'ultima è una costruzione quadrata con la struttura originaria quasi intatta, che in passato doveva avere la funzione di porta. Il continuo susseguirsi di pendii e terrazzamenti coltivati a vite rende il paesaggio unico, di una bellezza quasi struggente nella stagione autunnale, quando le uve pregiate sono pronte per essere raccolte. L'attività principale del Collio è ovviamente la viticoltura, essendo l'area particolarmente adatta a questo scopo: la presenza alle spalle delle Prealpi Giulie, crea una barriera protettiva dai venti freddi settentrionali, mentre la vicinanza dell'Adriatico influisce positivamente sul clima, evitando rapide escursioni termiche. Queste condizioni ambientali favorevoli per la viticoltura erano conosciute anche nel passato, come si può notare nelle antiche rappresentazioni dei castelli, disegnati insieme a grandi distese di vitigni. Già nei primi secoli dopo Cristo, la zona era conosciuta per le sue qualità vinicole, tanto che i romani le diedero ancor maggior impulso introducendo nuove tecniche e rare uve. Le complesse vicende storiche del Collio si manifestano anche nella gastronomia locale, con l'apporto di numerose ricette predilette dai popoli slavi e austriaci, come la gubana e gli zlikrofi.
Dalla tradizione contadina viene invece la polenta, piatto povero ma non per questo meno appetitoso per chi ama le cose semplici, genuine e rustiche. Era il piatto quotidiano dei contadini: i più poveri dovevano accontentarsi di questa sola, e fare a meno del companatico, mentre i più fortunati la intingevano in qualche sugo. Oggi, la polenta ha raggiunto una propria dignità gastronomica e la possiamo trovare nei menù di modeste trattorie, come in quelli di rinomati ristoranti. Calda e fumante viene servita assieme a piatti di selvaggina o di carne di maiale: bianca o gialla, 'd'oro come il sole', come la immortalò nei suoi versi il poeta cormonese Ermete Zardini.
La madre del Friuli
I CELTI IN PALMO DI MANO
di Lucio Zanier
La Carnia, il cui nome pare derivi dalla radice pre-latina 'Kar', cioè roccia, è la parte più consistente della montagna del Friuli-Venezia Giulia: una vera e propria regione nella regione, sia dal punto di vista strettamente geografico, sia sotto il profilo più ampiamente storico-culturale; anzi, a questo proposito, giustamente le si attribuisce il titolo di 'Madre del Friuli', dal momento che molti secoli orsono, proprio tra le pieghe di queste montagne, s'insediò la stirpe celtica dei carni - dedita all'agricoltura e all'artigianato del ferro e del legno - che diede il nome a tutta la regione, la Carnorum Regio, appunto. È dunque con questo pacifico popolo che, espandendosi nell'Italia settentrionale, viene a contatto la grande Roma di cui i carni accettano gradatamente non solo il dominio politico, ma anche quello culturale, finendo con l'assimilarne, la religione, i costumi e la lingua: lo stesso friulano di oggi, anche nella variante del carnico, è infatti una lingua dalla base celto-latina.
Iulium Carnicum, l'odierna Zuglio dove ancora sono visibili resti romani, fu un importante colonia militare a presidio dell'antica via Iulia Augusta che tutt'oggi conduce in Austria e, più tardi, con San Pietro di Zuglio - la Pieve considerata 'matrice' in quanto primo centro di diffusione del cristianesimo in Carnia - divenne la sede del più antico vescovado che si ricordi in Friuli. Nel corso dei secoli poi su questa terra e sul suo piccolo e laborioso popolo si sono avvicendate diverse dominazioni: i Longobardi, i Franchi, i Patriarchi, la Serenissima Repubblica di Venezia, l'Impero Austriaco, Napoleone..., e ciascuna di esse naturalmente ha lasciato tracce importanti.
Quello che da tutti gli studiosi viene acclamato come il 'Secolo d'oro' della Carnia è il Settecento, periodo in cui la floridezza economica di questa regione fu veramente notevole, specie grazie all'intuito e alle capacità di Jacopo Linussio, carnico di Paularo, il quale creò un'industria tessile a tal punto fiorente da garantire non solo l'occupazione per molti carnici, ma anche la presenza dei propri prodotti sui principali mercati europei. Ciò nonostante, spesso i carnici hanno dovuto ricorrere alla temporanea emigrazione. A questo proposito non possiamo dimenticare le ormai mitiche figure dei 'cramà¢rs', i merciai ambulanti che con la loro 'crassigne' - una sorta di zaino di legno, spesso a cassetti - percorrevano a piedi le vie dell'Europa, soprattutto verso la Germania, e portavano in giro le stoffe o le spezie di Venezia.
Oggi la Carnia può vantare un'illustre passato che ne fa uno scrigno prezioso da svelare in tutta la sua ricchezza di storia, arte e tradizioni. Con i suoi 28 comuni, vista a volo d'aereo la Carnia è un palmo di mano aperto: ogni dito una valle, ognuna con il proprio fiume che porta le proprie acque e la propria gente al centro, Tolmezzo, cuore e centro economico commerciale di tutta la zona. È ancora una terra a misura d uomo, dove, a dispetto di omologazione e ritmi di vita frenetici, il tempo sembra scorrere più lento, dove la natura si è conservata quasi del tutto intatta e con essa anche lo stile di vita e le tradizioni. In Carnia si può andare per boschi e sentieri, a piedi o in mountain-bike, ma anche per musei e botteghe; si possono seguire suggestivi percorsi attraverso i paesini di montagna o le malghe, ma anche interessanti itinerari d'arte. D'inverno gli amanti della neve possono optare per la discesa, lo sci da fondo o quello escursionistico, e gli amanti della buona cucina, tutto l'anno, possono assaggiare da questi parti il 'frico', i 'cjarsons' - agnolotti ripieni degli ingredienti più vari, ma spesso a base di erbe e tante altre leccornie. Le manifestazioni folkloristiche sono numerose e quelle più significative sono raccolte in un unico contenitore che significativamente è denominato 'Carnia Cuore Antico', un cuore che pulsa ancora molto forte perché la gente di qui difende le proprie radici e la propria identità con grande tenacia: dall'antico carnevale di Sauris, al Bacio delle Croci di Zuglio, dalla 'Fiesta tas Corz' di Ravascletto, alla 'Stele di Nadà¡l' di Arta Terme.
Tra tutte le usanze che ancora oggi si perpetuano, vogliamo citarne una che è carnica per eccellenza, in quanto accomuna quasi tutti i paesi della Carnia: il 'Tir des cidules', rito di origine molto remota che alcuni storici fanno risalire al culto del fuoco, di derivazione celtica, in onore del dio Beleno, re del sole. Con il cerimoniale di sempre, questa caratteristica usanza si svolge sul far della sera, di solito su un'altura che sovrasta il paese: rotelle di legno, 'les cidules', vengono arroventate sul fuoco e poi lanciate dall'altura stessa con messaggi di rito che segnalano le varie coppie di giovani del posto, futuri sposi dell'anno. L'allegria e il divertimento sono poi assicurati da scherzi improvvisati e da ironiche filastrocche recitate dal gruppo organizzatore: tutto rigorosamente nel dialetto locale!
Lucio Zanier