SULLA VIA DELL'INTEGRAZIONE

La questione del federalismo stimola il dibattito politico non solo in Italia; ma si parla poco di alcuni aspetti e presupposti essenziali, mentre aumentano la confusione e l’incertezza.
09 Dicembre 1996 | di

E' significativo che il termine stesso «federalismo», cioè il concorso a una più vasta unità  di strutture preesistenti, venga usato a sproposito per richiedere maggiori riconoscimenti delle autonomie regionali. L";autentico federalismo possibile e auspicabile, quello cioè sul quale si basa la costruzione di un";Europa dei popoli e non solo delle economie, non ha infatti nessuna parentela con la contrapposizione tra governi centrali e realtà  periferiche dei singoli stati. La stessa sovranità  dello stato: un concetto che, in parte, mostra pure i suoi limiti sia a livello politico che giuridico, non può essere certo sminuita o frammentata, ma semmai deve legarsi a strutture più ampie, come appunto l";Unione Europea, con buona pace di chi cerca di ancorare i diritti di cittadinanza a fazzoletti di territorio o, peggio, ad apparenze etniche. Per costruire davvero l";Europa, i capisaldi della sovranità  statale, cioè la politica estera, il diritto di battere moneta, la difesa e il controllo del territorio, sono infatti destinati a essere sempre più attribuiti al parlamento e a un futuro governo europeo. Per contro, appare inevitabile un rafforzamento delle autonomie locali sul piano amministrativo e fiscale.

Inoltre, non si possono certo confondere le differenze economiche tra regioni di uno stesso paese, su cui si fondano, per esempio, sia la «questione meridionale» in Italia "; stato centralizzato ";, sia l";ancora non risolta integrazione dei lander orientali ex comunisti della Germania "; stato federale ";, con i rapporti, questi sì autenticamente federali, tra popolazioni diverse, sui quali si basa, per esempio, la convivenza tra fiamminghi e valloni nella struttura politica del Belgio. Diverso appare, invece, sia il caso della Gran Bretagna, di fatto uno stato centralizzato, sebbene a formare il Regno Unito concorrano Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord; che della Spagna, dove gli ampi riconoscimenti all";autonomia della Catalogna "; ulteriormente accresciuti negli ultimi mesi "; pur sancendo la specificità  etnica e culturale della regione, non significano in nessun modo rinuncia da parte di Madrid all";unità  statale.

L'Europa, per un cinquantennio al riparo da guerre, ha nella sua storia recente la dimostrazione che la pace si costruisce soprattutto ricercando i motivi dell";unità , le politiche di sviluppo comune. Eppure, il continente nel quale più forte si è sempre mostrata la ricerca di tutela dei diritti di tutti, sembra da qualche tempo percorso da egoismi sempre più evidenti, da contrapposizioni sempre più manifeste, da demagogie sempre più diffuse. A quarant";anni dalla nascita del primo embrione di unità  europea, e a oltre venti dalla conferenza di Helsinki, in occasione della quale venne sancito il principio dell"; autodeterminazione dei popoli e del rispetto delle minoranze, le solenni dichiarazioni sottoscritte sembrano rimaste lettera morta, e rischia di venir meno il patto per la protezione della pace, il rispetto e l";amore per il futuro dell";uomo, la capacità  di mettersi al servizio di un";autentica speranza di civiltà  per consegnare alle nuove generazioni un mondo meno egoista e, di conseguenza, meno feroce.

La prospettiva dell";unità  europea viene troppo spesso presentata come una serie di obblighi commerciali e finanziari, e non per quello che realmente è chiamata a essere, cioè un";immensa possibilità  di crescita sociale per tutti i popoli del continente. In questa confusione si fanno largo atteggiamenti inquietanti, e la stessa ricchezza delle tradizioni delle singole regioni, lungi dal concorrere all";organico sviluppo di un";autentica civiltà  europea, incomincia ad alimentare contrasti sempre più aspri, anche se spesso artificiosi e utili solo alla causa di improvvisati demagoghi. Gli esempi sono molteplici: dai più drammatici, come la questione basca in Spagna, quella nordirlandese in Gran Bretagna, quella corsa in Francia; a quelli più strettamente economici, com";è il caso della perdurante «forbice» in Germania, tra Est e Ovest del paese, a quelli per ora sostanzialmente basati su malesseri di tipo economico e rivestiti da atteggiamenti soprattutto folkloristici, ma non immuni da inquietanti prospettive, com";è il caso italiano.

In Italia, ma anche in altre parti dell";Unione Europea, sembra in questi mesi completamente ignorata la tragica lezione che viene dall";ex Jugoslavia, dove l";esplodere dei nazionalismi e l";incapacità  di contemperarli, magari mantenendo l";unità  sotto forma confederale, hanno ricondotto in Europa la guerra, un fenomeno che per cinquant";anni aveva risparmiato il pur storicamente litigioso vecchio continente. Con qualche eccezione, come, per esempio, la recente separazione consensuale della repubblica Ceca e della Slovacchia, le secessioni hanno sempre portato con sé lutti e devastazioni. Inoltre, qualunque analista serio non può ignorare che le tendenze separatiste di singole regioni, se pure dovessero riuscire a concretarsi in modo incruento, sarebbero accompagnate comunque da una sostanziale emarginazione di aree più deboli dal processo di integrazione europea, e dalla condanna a una subordinazione a paesi più forti.

Di tale «provincialismo», per non dire di peggio, quelli italiani di questi mesi non sono peraltro i soli esempi. In quasi tutti i paesi europei, infatti, regionalismi, tendenze separatiste, in alcuni casi nuove, ma spesso annose quando non addirittura secolari, mostrano inquietanti rigurgiti di violenza, oltre che di miopia. Incertezza politica, economica e soprattutto sociale accompagnano da tempo, e in qualche caso minacciano di far deviare il cammino di consolidamento dell";Europa e la stessa tenuta istituzionale dei singoli paesi. Crescenti particolarismi si traducono spesso in regionalismi gretti e in una inquietante deviazione da quei valori che costituiscono la via maestra della civiltà  europea, e non solo, in questa seconda metà  del secolo.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017