Tante anime, una bandiera

01 Gennaio 2001 | di

       
  Nel mondo globale va sfruttata la risorsa dell'italianità  e la simpatia verso il nostro Paese. 
    Le comunità  italiane sono punti di riferimento culturali, economici e politici.

S

ulle attese e sulle problematiche emerse negli incontri preparatori alla Prima Conferenza degli italiani nel mondo, abbiamo intervistato il ministro plenipotenziario Giuseppe Panocchia, segretario generale della Conferenza di Roma.
Msa. Ministro, che cosa rappresenta per la società  italiana e per le nostre comunità  all'estero la Conferenza di Roma? Ci sono elementi di novità  rispetto al passato?
Panocchia.
È la prima volta che non si parla di «Conferenza dell'emigrazione italiana», ma della «Conferenza degli italiani nel mondo». Non è un accorgimento «cosmetico», ma un prendere atto di una realtà  che cambia velocemente. Dico questo senza dimenticare che ci sono comunità  italiane con ancora grossi problemi per alcune fasce, ma anche per prendere atto che nel mondo, oggi, abbiamo presenze italiane d'altro tipo. Sull'onda di ritorno delle prime ondate migratorie, operano nel mondo personaggi d'origine italiana di primo rilievo, e di tutto questo noi vorremmo fare tesoro alla Conferenza di Roma, affinché l'opinione pubblica italiana sia cosciente della ricchezza che abbiamo fuori d'Italia, ma anche per inserire maggiormente le nostre comunità  presenti nei cinque continenti nella società  italiana. All'estero ci sono due Italie: la prima è rappresentata dal nostro patrimonio di istituzioni e associazioni; l'altra dagli italiani che per libera scelta e per interesse economico, artistico o imprenditoriale sono andati a vivere in altri Paesi. Sono due mondi che vivono fianco a fianco, ma che non dialogano mentre, in un mondo sempre più globalizzato, il fatto di contare su milioni d'italiani e su decine di milioni di oriundi, è una ricchezza che ci deve coinvolgere tutti, perché tutti siamo beneficiati. Il messaggio della Conferenza non è quindi rivolto solo ai connazionali all'estero, ma anche agli italiani residenti nella madrepatria.
Noi cerchiamo di coinvolgere anche l'altra Italia che non si riconosce nella vita delle istituzioni, dei Comites, del Cgie, delle associazioni e che sta per ora alla finestra: a Roma avrà  un suo spazio. Infatti sono invitati gli esponenti di istituzioni, associazioni e di quell'«altra Italia», rappresentata da oriundi e da connazionali che all'estero hanno saputo acquistare posizioni autonome. Li vogliamo mettere insieme e immaginare con tutti loro un nuovo percorso che aiuti le nostre comunità  a crescere e ad essere, anche per la madrepatria, un punto di riferimento sempre più importante.
Quali sono le più significative istanze emerse nelle pre-conferenze?
Sia pure con diversità  di toni e di accenti, credo che sulla sostanza delle problematiche ci sia un comune sentire. Il primo problema che ci è stato sottolineato a Montevideo e a Melbourne è quello dell'assistenza agli anziani.
Gli altri temi dibattuti sono stati: la lingua, la cultura, il radicamento con la Patria d'origine. Sono state richieste maggiori garanzie per l'insegnamento dell'italiano, per una migliore informazione sull'Italia e informazione di ritorno che dovrebbe trovare spazio nel nostro Paese. Su queste richieste ho constatato un comune sentire e penso che nella Conferenza di Roma emergeranno con grande forza.
Poi c'è il problema del voto in loco sentito come una discriminante: per i nostri connazionali all'estero esso rappresenta il riconoscimento di quella pari dignità  che essi ancora non hanno ottenuto malgrado decenni di sacrifici. La definitiva approvazione, da parte della Camera, della legge costituzionale che con la Circoscrizione estero consentirà  agli italiani nel mondo di eleggere complessivamente 18 parlamentari, è certamente un traguardo, anche se ora dovrà  essere approvata la legge elettorale d'attuazione. Speriamo che l'appuntamento della Conferenza di dicembre stimoli tutte le forze politiche a raggiungere quest'obiettivo presto e bene.
Uno dei rischi maggiori di questi incontri internazionali, è la mancanza di continuità  e progettualità . Che impegno è richiesto alle Istituzioni italiane e alle nostre comunità  all'estero perché quest'occasione non vada perduta?
Ripercorrendo il secolo scorso, ritroviamo il primo Congresso degli italiani all'estero nel 1908, il secondo nel 1912; seguirono le due Conferenze nazionali dell'emigrazione del 1976 e del 1988. Nel nuovo millennio partiamo con un piede diverso, cioè dalla presenza italiana nel mondo. Io credo che non è l'analisi dei problemi che ci fa difetto, ma la possibilità  di risolverli e di ridurne l'impatto. Il problema oggi si pone in dimensioni diverse che in passato. Nella Conferenza di Roma, bisogna avere il coraggio di dare segnali concreti e positivi che qualche cosa si sta muovendo per venire incontro alle esigenze dei connazionali sparsi nel mondo. Questo lo dobbiamo non solo a loro, che ci onorano nel mondo, ma lo dobbiamo anche a noi stessi. Non sfruttare, nel mondo globale, la grande risorsa dell'italianità  e la simpatia verso il nostro Paese, sarebbe un gravissimo errore. Queste comunità  italiane sono infatti punti di riferimento culturali, economici e politici, e non per nulla nei giorni 20 e 21 novembre, per la prima volta si sono riuniti i parlamentari d'origine italiana. Per limitare il numero sono stati invitati solo i membri dei Parlamenti nazionali: sono oltre 325 e, di questi, oltre 200 si sono incontrati con i parlamentari italiani per discutere su tematiche che oggi sono d'impatto mondiale, come il mantenimento dell'identità  italiana, che non è più un problema di passaporto. Essendo rappresentanti di milioni di cittadini d'altri Paesi, ma attaccati e orgogliosi di quelle che sono le radici, la loro identità  è legata alla cultura e alla civiltà  italiana. Nel mondo c'è tanta gente che non ha le nostre radici, eppure guarda con simpatia all'Italia: perché non valorizzare queste risorse-prospettive? Il motto della Conferenza: «Gli italiani che vivono il mondo, colorano il mondo» dà  l'idea di quello che significa la nostra presenza in tutte le parti del globo.
Scuola italiana all'estero, assistenza e previdenza che zoppicano, mancata riforma dei Comites e dei Patronati, blocco dei finanziamenti all'editoria in lingua italiana per l'estero: da una parte lo Stato italiano dimostra i propri limiti e una scarsa attenzione per i nostri connazionali; dall'altra sta per concedere loro il voto in loco e indice questa Conferenza. C'è davvero un progetto politico oppure il Ministero naviga «a vista»?
Navigare a vista non è possibile quando ci si mette per mari che si chiamano Atlantico o Pacifico. Il sottobordo si può fare in Adriatico, non nei grandi mari del mondo. Parlando fuori metafora, è chiaro che su alcune cose bisogna fare dei ripensamenti. La scuola italiana all'estero non può essere concepita come una volta: scuola statale o sussidiata solo per i figli di italiani. Proprio per quello spirito d'identità  per cui ci stiamo battendo, l'obiettivo è di offrire l'insegnamento dell'italiano a tutti, in scuole locali di stampo italiano, competitive e con doppia uscita, con titoli cioè che siano accettati in Italia e nei Paesi in cui sorgono.
Se l'assistenza e la previdenza danno ancora problemi, noi dobbiamo fare il possibile per sostenere le fasce più deboli delle nostre collettività , ma al tempo stesso approfittare delle possibili sinergie tra le comunità  italiane per acquistare maggior peso localmente nei Paesi di insediamento e far sì che anche loro facciano la loro parte. Così in Europa: non è pensabile che parlando di problemi che riguardano la cittadinanza o i diritti europei, che toccano alcune fasce di connazionali, tutte le responsabilità  ricadano sull'Italia: tutti i Paesi dell'Unione devono fare la loro parte. Questo non significa «navigare a vista» o essere alla ricerca di un progetto politico.
Anche riguardo alle riforme dei Comites e dei Patronati: la prima riforma è in Parlamento ma, nell'attesa, si dovrebbe riflettere su quelle che potranno essere le nuove funzioni di organi rappresentativi, come il Cgie e i Comites, nel momento in cui, con l'esercizio del voto in loco, avremo la rappresentanza diretta dei nostri connazionali all'estero. Di carne al fuoco ce n'è abbastanza. Credo che un progetto politico ci sia: dobbiamo solo costruirlo insieme. E gli italiani residenti all'estero, che spesso non hanno contribuito a dettare questo progetto, troveranno nella Conferenza di Roma un'ottima occasione per farlo.
Che ruolo possono avere le nuove generazioni italofone all'estero nel rilancio dei rapporti tra le comunità  italiane nel mondo e il Paese dei loro padri?
Nelle pre-conferenze mi hanno particolarmente colpito i giovani. Tra loro c'erano tanti oriundi i quali, anche se non parlano bene l'italiano, hanno un grande desiderio di allacciare rapporti con la terra dei loro padri. Ci chiedono cultura, informazione sull'Italia, ma anche corsi di formazione che li aiutino a inserirsi con maggiore professionalità  nei Paesi in cui vivono. Sono quindi interessati a stage in Italia, anche per conoscere le esperienze dei giovani italiani per riportarle nei loro Paesi. Ho trovato un grande fermento, una grande attenzione e un dibattito tra di loro su come realizzare un contatto più stretto con l'Italia. Una ragazza italoargentina mi ha colpito dicendo: «Sono venuta qui con i miei genitori quando avevo pochi anni. Io non voglio ritornare in Italia e fare un'altra volta l'emigrante, ma inserirmi in questo Paese che mi ha accolto mantenendo il mio background, il mio bagaglio d'italianità  e farlo fruttare».
Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017