Testimone di misericordia

Padre Maurizio Stedile si occupa dell’accoglienza dei fedeli. E li ascolta ogni giorno grazie al suo umile e prezioso impegno come officiatore in confessioni, liturgie e benedizioni.
27 Agosto 2012 | di

Per salvarlo da morte annunciata, bisognava cambiargli la destinazione d’uso. Era necessario farlo diventare il portavoce della vita della gente, in tutte le sue sfaccettature, pur senza recidere il cordone ombelicale con la devozione popolare. Fu così che, in piena secolarizzazione (erano gli anni a cavallo tra il ’60 e il ’70: le chiese erano semivuote, i necrologi dei bollettini dei santuari si diffondevano a vista d’occhio), il «Messaggero di sant’Antonio» – dal 1898 portavoce entusiasta della devozione antoniana in Basilica, oltre il milione di copie – riuscì invece a sopravvivere. Un’impresa, e al tempo stesso un impegno, non facili che la proprietà della rivista, la Provincia patavina dei frati minori conventuali, decise di affidare a padre Maurizio Stedile, con il sottoscritto a suo fianco.

Ambedue digiuni di giornalismo come i penitenti del deserto rispetto al cibo, avevamo, però, qualche idea. E, allora, ci mettemmo con slancio a realizzarla. Troppo slancio, però. Tant’è che, in capo a due anni, i vertici dell’editrice intervennero, ponendo alla guida della barca un capitano di lungo corso nei mari della carta stampata, Gino Lubich. Egli portò nel lavoro la sostanza e le tecniche del mestiere, assieme alla sua proverbiale prudenza («pitost che gnent, qualcoss» era il suo motto), senza stravolgere il nuovo profilo editoriale della rivista (ormai non più bollettino) che, con tutte le migliorie intervenute negli anni, ancora persiste. Commenta padre Maurizio: «Qualcosa di importante nella storia del “Messaggero” l’ho fatta anch’io». Da testimone, concordo.
 
Con l’impeto di un torrente
Padre Stedile, settantotto anni sulle spalle, salute invidiabile, è trentino, di Terragnolo. Intellettualmente vivace (s’è formato, tra l’altro, sui testi e le esperienze di don Primo Mazzolari e don Divo Barsotti, di cui era amico), ama muoversi con l’impeto di un torrente di montagna, che porta sempre acqua nuova e fresca, ma che, precipitando a valle, di tanto in tanto qualcosa travolge. Conclusa l’esperienza giornalistica, nello spirito dell’itineranza francescana, emigra in diversi conventi della Provincia, con ricorrenti ritorni alla «casa madre», la Basilica del Santo, nella quale ora risiede da diversi anni.
Prima tappa del viaggio, Mestre, parrocchia del Sacro Cuore, della quale è superiore e parroco. Sono gli anni turbolenti della contestazione. Padre Maurizio sceglie di stare a fianco di chi cerca modi più autentici di vivere il Vangelo. Ricorda: «Lì ho vissuto con entusiasmo la mia giovinezza, quindici anni belli, vivi, ricchi, ma anche segnati da contestazioni e difficoltà». Seguono nove anni a Verona, nel Tempio votivo della pace, antistante la stazione ferroviaria. Una parrocchia piccola, in un ambiente urbano e sociale difficile. Nel 1994, il primo ritorno nella Basilica del Santo.

«Si stava preparando il centenario della nascita di sant’Antonio (1195-1995) e hanno chiesto la mia collaborazione. Ho risposto con entusiasmo, vivendo un periodo davvero eccezionale».
Dopo un breve passaggio nel convento di San Lorenzo, a Vicenza, rieccolo al «Messaggero di sant’Antonio», superiore della comunità dei frati e addetto all’accoglienza dei pellegrini: incarico umile, quest’ultimo, ma prezioso e ricco di sorprese, che affascina a tal punto padre Maurizio da convincerlo a chiedere, alla fine del mandato, di essere destinato alla Basilica del Santo nel ruolo di officiatore (colui che si occupa di confessioni, liturgia e benedizioni).
 
In umile ascolto
L’esperienza della Basilica fa di padre Maurizio un testimone prezioso dell’abbondanza di grazia che Dio riversa su chi affida i guai della propria anima a questa «clinica spirituale», come Paolo VI definì il Santuario del Santo. Dice: «Sono stato in molte chiese e santuari, in Italia e all’estero, ma in nessuno ho visto un tale afflusso di persone ai confessionali come qui al Santo». Tanta gente, tante storie dagli esiti più diversi, spesso di risurrezione, di pace ritrovata, di futuri che si riaprono, di dubbi che si diradano. Racconta: «Un giorno mi si avvicina un pellegrino che esordisce: “Io sono ateo”. Lo guardo. Potrei affrontarlo sciorinando le classiche prove dell’esistenza di Dio descritte nei manuali di teologia, ma gliele risparmio. Gli racconto, invece, un episodio in cui ritengo di aver scorto la presenza del Signore. Finito il racconto, gli vedo gli occhi lucidi. E capisco che qualche crepa, nel castello delle sue certezze, si è aperta». E ancora: «Un signore, di circa 50 anni, un giorno mi dice: “Padre, io dovevo essere morto. I medici erano stati chiari: tumore maligno, nessuna speranza di guarire. Ho detto al Signore: se vuoi che io muoia, eccomi qua. Però, se dovessi dire la mia, non sarebbe proprio il momento, dovrei fare ancora qualcosa per i miei ragazzi, Ma, se così vuoi... Dopo qualche tempo, torno in ospedale per sottopormi ad alcuni controlli. Quando i medici vedono gli esiti, non credono ai loro occhi. Mi chiamano: ma lei è il signor tal dei tali? Certo che sì, rispondo. E loro: non c’è più traccia del tumore, ringrazi il suo santo”. Mi ha colpito la serenità con cui mi raccontava tutto questo. Dietro a essa, mi son detto, c’è di sicuro una grande fede».
Nella sua itineranza, padre Maurizio ha avuto come punti di riferimento costanti le comunità neocatecumenali presenti nelle città in cui ha vissuto, e delle quali è presbitero.
 
Il cammino neocatecumenale
Il cammino neocatecumenale è un’esperienza avviata negli anni Sessanta da Francisco (Kiko) Argüello e Carmen Hernández, in una parrocchia di Madrid e diffusa poi in tutto il mondo (900 diocesi di 105 nazioni). Lo scopo è di aiutare la gente a ritrovare la fede smarrita, attraverso la rivisitazione del contenuto della buona novella di Gesù, la riscoperta delle ricchezze del battesimo per poi vivere il Vangelo nella sua interezza e nel granitico rispetto dei precetti che la Chiesa da esso ha tratto. Irrobustite nella fede e temprate nella carità, le comunità neocatecumenali si mettono al servizio delle parrocchie nelle attività di catechesi, nei corsi di preparazione al matrimonio, nelle opere di carità. Un cammino che, poi, viene proposto anche ad altri.
Le risposte che giungono dalle parrocchie sono varie. Poiché i neocatecumenali non amano farsi sconti, il loro rigore da taluni è scambiato per intransigenza o peggio. Comunque, ci sono parroci che accolgono le comunità, accanto alle altre realtà vive della parrocchia, diventandone magari essi stessi animatori. Altri, per i motivi più vari, le respingono.
Padre Maurizio ha sempre creduto nella validità del cammino neocatecumenale, intrapreso già ai tempi in cui era a Mestre, come strumento utile per ridare slancio all’esperienza personale e alle comunità parrocchiali. Anche oggi ne segue con passione alcune, operanti a Padova e nei dintorni, alle quali la Basilica del Santo offre spazi per incontri e celebrazioni, ricevendone in cambio un supporto nei servizi alla carità attivi all’interno del Santuario.
 
Notizie
25 anni di devozione
Una tradizione che continua, ininterrotta, con lo stesso entusiasmo della prima volta. Ha tagliato il traguardo dei venticinque anni il pellegrinaggio che, dal 1988, vede arrivare a Padova, per la festa del 13 giugno, pellegrini provenienti da otto Comuni della cintura urbana di Padova e dei Colli Euganei, e da due Comuni del vicentino. Per la festa del Santo edizione 2012 i devoti presenti (almeno trecento, accompagnati dai sindaci dei Comuni partecipanti) sono stati accolti dal rettore della Basilica padre Enzo Poiana. Tra i promotori del pellegrinaggio, Bruno Zaffardi di Bastia di Rovolon (PD) che, per l’occasione, ha realizzato una stele in trachite con l’iscrizione a ricordo dell’anniversario.
 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017