Timor Est il dramma di un popolo
La fine di questo secolo sembra proprio volerci lasciare nell'amarezza e nella preoccupazione: ci sarà mai pace per l'uomo? La parola del profeta Isaia, «il leone convivrà con l'agnello», continua a rimbalzare in un tempo millenario, alimentando solo l'utopia?
È quasi d'obbligo aprire questo editoriale innanzitutto con un riferimento alla festa di San Francesco del 4 ottobre. Lo facciamo perché, come confratelli di Antonio, uno dei primi seguaci del «Poverello di Assisi», desideriamo continuare a trasmettere nell'oggi il suo eterno e fresco messaggio di fratellanza e di pace. Lo facciamo ancora come cittadini di un paese, l'Italia, che lo riconosce e lo venera come patrono (nel mese di settembre avevamo presentato un servizio sulla Toscana, regione che offrirà l'olio destinato ad alimentare la fiamma della speranza presso la tomba del Santo in Assisi). Lo facciamo infine, semplicemente come uomini senza altra etichetta, che non vogliono perdere la speranza di un mondo migliore e diverso, e sentono la nostalgia per quella proposta fatta dal «piccolo grande uomo di Assisi», vissuto ottocento anni fa.
È stato detto che Francesco è una delle figure in grado di interpretare il millennio che si va chiudendo e capace di traghettarci nel nuovo. Non ci nascondiamo il rischio della retorica insito in questa affermazione, ma - non di meno - è forte il significato simbolico della figura del «Poverello di Assisi». Ci sarebbe piaciuto parlare di Francesco in tutto lo spazio del nostro editoriale; lo lasciamo per parlare delle drammatiche notizie che arrivano da Timor Est. Notizie ancora una volta accompagnate da sconvolgenti immagini che non dicono tutto della tragedia di cui parlano gli inviati. E questo avviene proprio mentre stavamo «digerendo» la guerra che lentamente si va spegnendo nel Kosovo. La fine di questo secolo sembra proprio volerci lasciare nell'amarezza e nella preoccupazione: ci sarà mai pace per l'uomo? La parola del profeta Isaia, «il leone convivrà con l'agnello», continua a rimbalzare in un tempo millenario, alimentando solo l'utopia?
Sappiamo bene che è solo l'informazione giornalistica a offrirci queste notizie. Ci sono altri drammi dimenticati, più o meno noti. Il servizio sulle drammatiche condizioni dei nuba è tra questi. Interpretazioni, cause, motivazioni di questo nuovo fronte le conosciamo o le possiamo facilmente reperire: dal diritto all'autodeterminazione (un referendum con un maggioranza schiacciante del 78,5 per cento a favore dell'autonomia dall'Indonesia), al coinvolgimento di interessi economici e militari di paesi occidentali; il ruolo e la funzione dell'Onu.
Stanchi di analisi, vogliamo esprimere la nostra solidarietà al popolo di Timor Est, tramite la figura di monsignor Carlos Felipe Belo, premio Nobel per la pace, che nel 1996, dopo che aveva accolto nella sua cattedrale le reliquie di sant'Antonio, ha trascorso alcuni giorni ospite nella basilica del Santo, facendosi già allora interprete dei diritti del suo popolo.
Qualcuno si è chiesto perché monsignor Belo non sia rimasto in questi terribili frangenti con la sua gente. In un'intervista concessaci in questi giorni, che pubblicheremo prossimamente e nella quale auspica, tra l'altro, un ritorno delle reliquie del Santo tra la sua gente, dà lui stesso la risposta: è stato convinto a lasciare il suo paese per farsi voce del suo popolo, per chiedere giustizia e rispetto, unendola a quella di Giovanni Paolo II. Un giornalista di un grande quotidiano nazionale italiano si chiedeva in questi giorni: «Cosa sarebbe la scena del mondo senza la voce del vecchio Papa che chiede giustizia e umanità . Cosa sarebbe del dramma di Timor Est, senza una Chiesa cattolica - con la sua organizzazione internazionale e anche il suo centralismo romano - indirizzata da Giovanni Paolo II ad assumere il ruolo di portavoce dei diritti fondamentali?».
La risposta ci porterebbe lontano, alle soglie del Giubileo, verso il quale siamo incamminati, pellegrini sulla strada della conversione, con la bisaccia delle grandi domande, ma anche con la certezza che il Signore cammina con noi, donandoci il pane della speranza.