Tra incertezza e speranza i cattolici caldei dell'Iraq
Saddam Hussein è caduto ufficialmente il 9 aprile 2003, e la maggior parte dei personaggi chiave del suo regime - i cui ritratti sono stati stampati sulle proverbiali carte da gioco di-stribuite ai militari della coalizione guidata dagli Stati Uniti - sono stati uccisi o imprigionati. Un anno dopo l'intervento della coalizione angloamericana, la sicurezza del Paese è messa a repentaglio, ogni giorno di più, da continui attacchi terroristici. La nuova polizia irachena e i civili che lavorano per gli americani, sono visti come collaborazionisti delle forze d'occupazione, perciò diventano gli obiettivi privilegiati degli attentatori.
In questa cornice di crescente violenza, i cristiani stanno vivendo nell'incertezza e nella paura di nuovi attacchi terroristici. In Iraq i cristiani sono almeno 800 mila, il 4 per cento della popolazione. I caldei sono la parte preponderante della comunità cristiana che comprende anche assiri, siriani, armeni e latini.
Nel novembre del 2002, visitai l'Iraq in veste di membro di una delegazione della Caritas internazionale. L'allora patriarca caldeo di Babilonia, Raphael I Bidawid, ci ricevette nella sua residenza, e con parole cordiali ringraziò tutte le persone di buona volontà che avevano aiutato il popolo iracheno nei dodici anni in cui aveva patito le conseguenze delle sanzioni economiche imposte dall'Onu al regime di Saddam Hussein.
Ogni giorno, la minaccia di un intervento militare dall'esterno si faceva sempre più reale e il rapporto della Caritas internazionale, Sull'orlo della guerra, avvertiva come il già vulnerabile popolo iracheno sarebbe stato la prima vittima del conflitto.
Viaggiai attraverso l'Iraq a bordo di una vecchia auto Oldsmobile, e visitai i centri della Caritas a Mosul, Kirkuk, Karaquosh, Alquosh e Bagdad. Constatai le sofferenze del popolo iracheno, di madri e bambini, di giovani e anziani, anemici e malnutriti, ma potei vedere anche sorrisi di speranza circa il fatto che le sanzioni sarebbero state presto tolte. Tutti pregavano per la pace. Nella chiesa caldea di Karakosh si stava celebrando il matrimonio tra Diana e Irdev, entrambi membri dello staff della Caritas in Iraq.
Un tragico destino
Sono ritornato a Bagdad il 1° maggio 2003, quando il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, annunciava al mondo la fine della guerra. Ho visitato la parrocchia caldea di Sant'Elya, vicina alla moschea di Al-Abban. Padre Basha Warda, 33 anni, mi ha mostrato un video girato durante la guerra. Ho visto l'orrore dipinto sulla faccia della gente che cercava riparo nella chiesa mentre bombe e missili cadevano su Bagdad. Le famiglie passavano la notte cercando protezione in chiesa, pregando o dividendosi il cibo. Ho chiesto a padre Basha se erano tutti cattolici, e lui mi ha risposto che la gente della vicina moschea divideva con noi lo spazio e la solidarietà .
Nel centro di Bagdad ho visitato le Missionarie della Carità - quattro suore di madre Teresa di Calcutta - che si prendono cura di ventiquattro piccoli orfani, di età compresa tra i due e i dodici anni, che soffrono di disabilità fisica e mentale. In ambienti molto luminosi, ancorché privi di riscaldamento e aria condizionata, i bambini ti scrutano con curiosità e sorridono con innocenza attraverso le ringhiere di sicurezza di file di letti in perfetto ordine.
Successivamente, mi sono diretto a nord, verso Mosul, e ho visitato il monastero di San Giorgio, situato su una collina a dieci chilometri da Mosul. I pellegrini giungono qui da tutto l'Iraq, specialmente nel giorno di san Giorgio. È un luogo di culto rispettato sia dai cristiani che dai musulmani, che lo visitano per ricevere benedizioni e per godersi le verdi colline circostanti. Durante i bombardamenti della coalizione, molte famiglie di Bagdad hanno trovato rifugio qui.
La notte successiva l'ho trascorsa al monastero di Raban Hormiz, vicino ad Alquosh, da padre Mofeed Toma Marcus. Di prima mattina ho incontrato un gruppo di bambini sorridenti: erano orfani che vivevano nel monastero. Non è una situazione ideale per dei bambini che, senza alcun mezzo di trasporto che li conduca a scuola, devono percorrere lunghe distanze attraverso campi infestati da serpenti così velenosi che il loro morso può essere fatale.
Casa di polvere
Yousif Bahoshy, della Caritas irachena, mi ha detto recentemente che la situazione negli ospedali è molto seria. La sicurezza nel Paese sta peggiorando ogni giorno di più, ma lo staff della Caritas non è in pericolo. La Caritas è attiva in Iraq dal 1992, ed è vista ormai come un'organizzazione locale. La massiccia emigrazione di cristiani, fin dalla guerra del Golfo del 1991, è un motivo di preoccupazione. Ho chiesto al vescovo, Andreas Abouna, cappellano della Comunità cattolica caldea in Gran Bretagna fino al suo ritorno, in febbraio, come vescovo ausiliario di Bagdad, se il cambio di governo ribalterà questa tendenza. I cristiani sono vulnerabili se quelli istruiti emigrano dal loro Paese - ha osservato -. Se si sentono sicuri e hanno un lavoro, allora non emigreranno.
Padre Basha Warda, il vescovo Andreas Abouna e tre giovani stanno sviluppando il sito internet della Chiesa caldea: nell'home page è riportata la preghiera del Padre Nostro in arabo, inglese, caldeo e aramaico, e quando il sito sarà lanciato, informazioni e articoli saranno pubblicati in arabo, inglese, francese e italiano. L'obiettivo è quello di rendere più aperta la Chiesa caldea e di unire i caldei di tutto il mondo; il 50 per cento di loro vive fuori dall'Iraq: negli Stati Uniti, in Canada, in Australia e in Europa. Kookhi significa Casa di polvere ed è il nome della più vecchia chiesa della Mesopotamia, eretta intorno al 100 dopo Cristo, a circa tre chilometri a sud di Bagdad.
Mancanza di ottimismo
A settembre, i vescovi caldei inviarono una lettera a Paul Bremer, capo dell'amministrazione provvisoria statunitense, chiedendogli di non ignorare i cristiani che sono i discendenti degli antichi abitanti dell'Iraq. Uno dei venticinque membri del Consiglio di governo è cristiano: Younadem Kana, ministro dei Trasporti. Due religiosi e tre avvocati cristiani hanno fatto parte del gruppo di 150 persone che hanno stilato la nuova Costituzione del Paese.
Con il moltiplicarsi degli attacchi terroristici, molti iracheni vivono nel terrore. Pochi guardano al futuro con ottimismo. A gennaio, quattro donne cristiane che lavoravano in una base militare a ovest di Bagdad, furono uccise, e sei furono ferite mentre stavano tornando a casa a bordo di un autobus.
La maggioranza della popolazione ha perso il lavoro, e con la fine del programma umanitario Cibo in cambio di petrolio, molti non possono più mantenere le loro famiglie. La disoccupazione è il principale problema, e la crisi economica sta spingendo la gente a compiere azioni criminose. La pratica del rapimento di bambini e della conseguente richiesta di un riscatto ai genitori, si sta diffondendo rapidamente. A Bagdad, sulla strada cristiano-caldea, sono già stati rapiti sei adolescenti. Nel distretto di Al-Dora, almeno sette bambini cristiani sono scomparsi; e nel distretto di Zaiuna, un quartiere residenziale di Bagdad, ne sono stati sequestrati altri cinque.
Nel corso di un recente incontro delle agenzie umanitarie ad Amman, in Giordania, Oliver Burch, direttore per l'Iraq del Programma umanitario Christian Aid, ha detto che la nuova polizia irachena non è in grado di controllare l'ondata di criminalità , e che le forze dell'ordine hanno grandi difficoltà a conquistarsi la fiducia della gente perché sono legate alla coalizione.
La polizia è dotata solo di armi leggere mentre la criminalità di-spone di armi più sofisticate e potenti. Inoltre, gira voce che i poliziotti siano corrotti. Così è difficile che risultino affidabili agli occhi della popolazione.
Le medicine di base scarseggiano negli ospedali; l'acqua e l'elettricità sono disponibili solo per alcune ore al giorno. In poco tempo, le forze della coalizione hanno perso la benevolenza della popolazione irachena.
(traduzione e adattamento di Alessandro Bettero)