Tre ipotesi per riportare pace e stabilità in Iraq
Mentre noi ci avviamo, o stiamo per avviarci, alle vacanze, l'Iraq continua a vivere nel caos dischiuso dall'avventata impresa bellica dell'amministrazione Bush. Il passaggio di parte dei poteri dal proconsole statunitense Paul Bremer a un governo iracheno designato dall'Onu. Sarà una vera svolta, permetterà di riportare un minimo di ordine e stabilità , senza il quale anche il migliore dei calendari di instaurazione graduale della democrazia rischia di rimanere una vuota speranza?
La gente, a Baghdad e negli altri centri, piccoli e grandi, del Paese, sente la caduta del regime di Saddam, che in realtà sono pochi a rimpiangere, non come una liberazione ma come l'aprirsi di un vaso di Pandora del disordine e dell'insicurezza. Attentati, furti, sequestri di persona - non solo di stranieri - si susseguono, i servizi essenziali come l'acqua e la luce mancano o sono intermittenti, i segni della guerra non sono stati riparati - anzi a essi si aggiungono le nuove distruzioni provocate dagli attentati - i mendicanti abbondano sulle strade.
La vita quotidiana si svolge dunque all'insegna di un'insopportabile precarietà . Prima della democrazia occorre ripristinare l'ordine, assicurare servizi e beni essenziali, iniziare la ricostruzione.
Il nuovo governo e la fragile amministrazioneirachena che da esso dipende, ce la farà ? Soprattutto, cominceranno a essere sentiti dalla popolazione come cosa propria e non come emanazione di un potere esterno? Ho rivolto la domanda a Baker Fattah, rappresentante dei curdi iracheni a Roma. Mi risponde: Gli americani hanno sbagliato quasi tutto, hanno dimostrato di non saper capire la complessa società irachena. Ora io spero che il nuovo governo iracheno saprà rimontare una situazione alquanto compromessa. Però ci vorrà tempo, non possiamo aspettarci risultati immediati.
Ma lui si sente pessimista, di fronte allo scenario attuale? Risponde il rappresentante dei curdi: Voglio basarmi sui dati concreti. C'è una maggioranza che aspira alla pace, che vuole una vita normale ma rimane silenziosa. Quelle che si fanno sentire sono le minoranze aggressive. Il primo problema è la sicurezza, perché queste minoranze cessino di intimidire la grande maggioranza e le consentano di esprimersi liberamente.
In un Paese che, sotto Saddam, era famoso per le tante polizie, ora si sta cercando di costruire una polizia statale che dovrebbe arrivare a quasi ottantamila uomini, affiancati dall'IrakCivilDefence Corp, che è un corpo di ausiliari incaricati di pattugliare le strade e raccogliere informazioni, forte di quarantamila uomini. Ma, accanto a loro, quasi tutti i partiti politici e i gruppi religiosi mantengono proprie milizie armate. In più, rimane il grosso problema del terrorismo alimentato dall'interno e dall'esterno.
Ha scritto l'esperto di religioni Massimo Introvigne: In Iraq si sta combattendo anche una guerra civile islamica esportata. Di fronte alle truppe straniere, avvertite come forza di occupazione, è sembrato formarsi un fronte comune fra le minoranze aggressive sunnite e sciite. Ma nessuno si illuda: Abu Musab al-Zarkawi, un palestinese che fa parte di Al Qaeda, ha definito gli sciiti i più diabolici fra gli esseri umani e ha rivendicato alcuni dei sanguinari attentati contro i loro dirigenti. Gli sciiti, che sono maggioranza in Iraq e nel vicino Iran, ma minoranza nell'islam, rivendicano una loro discendenza storico-teologica diversa dai sunniti e danno un'interpretazione più simbolica che letterale della tradizione islamica.
Nella situazione irachena, esistono anche elementi di stabilità . Hanno ripreso vigore le gerarchie tribali e gli sceicchi capo-tribù, pur molto accorti nel tessere alleanze e scrutare chi prevale, hanno sin qui svolto una funzione di normalità e assicurato un minimo di coesione. Non tutte le truppe presenti in Iraq sono avvertite come truppe d'occupazione: ad esempio, gli italiani, nonostante gli attacchi terroristici cui hanno dovuto far fronte, sono in genere ben visti dalla popolazione, che li definisce arab uruba, gli arabi d'Europa!
Nel momento in cui scriviamo, nessuno si azzarda a fare previsioni sul futuro dell'Iraq. Tentiamo allora di delineare non previsioni, ma ipotesi.
Ipotesi sperabile ma di difficile realizzazione: il nuovo governo, con il sostegno dell'Onu, riesce a stabilizzare la vita irachena, i partiti politici prevalgono sui gruppi estremisti e, sia pure tra forti contrasti, il calendario di transizione alla democrazia va avanti.
Ipotesi plausibile: la situazione rimane fuori controllo del nuovo governo, in varie parti del Paese si consolidano poteri contrapposti, la disgregazione continua.
Ipotesi che non si vorrebbe pensare: come conseguenza della situazione precedente, il Paese si spacca in tre tronconi divisi di fatto, con un Nord curdo stabilizzato, un Sud sciita dai forti connotati di islam fondamentalista, e un troncone centrale attorno a Baghdad con un islam sunnita nostalgico e revanscista.
Dobbiamo puntare fortemente sulla prima ipotesi, anche se ardua, anche se richiederà l'attenzione e l'intervento di tutti i Paesi amanti della pace. L'ordine pubblico deve essere affidato esclusivamente agli stessi iracheni, ma forze armate multinazionali, sotto la direzione dell'Onu, devono rimanere nel Paese per assicurare copertura e assistenza al governo centrale, mentre deve iniziare, sempre con l'aiuto internazionale, la ricostruzione materiale, politica e morale del Paese.