Troppo silenzio sul Congo
Nonostante la dignità della sua gente, nonostante la sua ricchezza economica e culturale, oggi l' Africa sta morendo. Quasi due milioni i morti a causa della guerra nella repubblica del Congo, ex Zaire. L' attuale conflitto coinvolge ben nove stati, per questo è stato definito la «prima guerra mondiale africana». Anche l' Unicef ha confermato la tragica situazione della popolazione del Kivu, e in particolare dei bambini. Secondo il Fondo delle Nazioni unite per l' infanzia, nella regione orientale del Congo, sconvolto in quattro anni da due guerre, un bambino su tre è rimasto orfano di uno o di entrambi i genitori e in alcune zone questa tragica percentuale sale fino al 44 per cento.
Storie di guerra. Ex colonia belga, la repubblica democratica del Congo è diventata indipendente nel luglio del 1960. Gli anni successivi videro alternarsi colpi di stato, ammutinamenti, guerre. Nell' ultima, dal 2 agosto del 1998 si scontrano militari e truppe ribelli sostenute da Ruanda e Uganda (gli ex alleati di Laurent Kabila, il presidente assassinato il 16 gennaio scorso).
La situazione è molto confusa. È stato proclamato anche più di un «cessate il fuoco» ma il conflitto non è mai terminato. L' Onu ha votato l' invio di caschi blu che non sono mai arrivati. Roberto Garreton, relatore speciale del segretario generale dell' Onu, scrive, nel suo rapporto del 29 marzo 2000, che «il territorio della repubblica democratica del Congo si trova sconvolto non più da un solo conflitto, ma da molti, alcuni dei quali a carattere interno, altri con dimensioni internazionali». La violenza è diffusa, ma è la popolazione la prima vittima del conflitto.
Il paese è allo sfascio, le infrastrutture completamente distrutte e il territorio spaccato e diviso in entità separate, tra le quali è possibile spostarsi solo in aereo. Dall' inizio di questa guerra il numero degli attacchi, delle crudeltà e dei massacri è sempre aumentato. In campagna la gente ha paura di passare la notte a casa.
Anche la Chiesa cattolica subisce questo clima di terrore: preti e suore sono stati feriti e uccisi. Parrocchie e conventi sono stati danneggiati. L' 8 dicembre del 2000, per esempio, sono stati assaliti i villaggi di Cifuma, Cihumbu e Mwera, assalite una decina di famiglie, un uomo gravemente ferito alle gambe e un altro, padre di dieci figli, ucciso. È stato preso di mira anche il centro di salute della diocesi. E venti giorni prima era toccato a Nyantende, a sud di Bukavu, dove una banda di cinquanta uomini armati avevano saccheggiato parrocchia, ospedale, centro commerciale, convento dei francescani.Un militare ucciso, una donna violentata, tre seminaristi feriti& Il clima di terrore, la violazione dei più basilari diritti umani, provoca uno spostamento della popolazione dalla campagna alle città e ciò blocca i cicli produttivi, aumenta la fame, il fenomeno dei bambini di strada. Di fronte a tutto ciò nessuno cerca di far luce sui colpevoli dei crimini e tanto meno di far giustizia.
Per questo alcune associazioni civili (société civile) e religiose (chiesa cattolica e protestante) hanno lanciato un Sos, raccolto e amplificato da «Beati i costruttori di pace», «Associazione Papa Giovanni - Operazione Colomba» e «Chiama l' Africa» che hanno cercato di puntare su Bukavu l' attenzione del mondo. «Abbiamo risposto - spiega don Albino Bizzotto, di 'Beati i costruttori di pace' - alla richiesta della società civile congolese, ma anche alla nostra coscienza, promuovendo una mobilitazione internazionale di massa a Bukavu prevista all' inizio di questo mese».
Storie di pace. La popolazione del Congo ha risposto in modo nonviolento al massacro. A Bukavu, in occasione dell' 8 marzo, le donne hanno proclamato uno sciopero, detto «del pane e delle rose», contro la guerra, bloccando i mercatini da loro gestiti, paralizzando la città , rimanendo tutte dentro le pareti domestiche: «la festa della donna senza la donna». Ad agosto 1999, per 10 giorni consecutivi, tutti i cittadini, allo scoccare del mezzogiorno, hanno sospeso ogni attività per dieci minuti per far rumore con qualsiasi oggetto, urlando «vogliamo la pace».
Quando poi le violenze diventano insopportabili la città intera proclama la ville morte, la città morta: nessuno esce per strada, nessuno lavora. Nonostante le difficoltà , questa società civile si organizza per accogliere nella città gli sfollati dalle campagne, dove la situazione di insicurezza è ancora peggiore, fornendo gli aiuti alimentari, la solidarietà e l' accoglienza dei bambini nelle scuole.
Nonostante la guerra, e la chiusura degli aeroporti, tutti i giorni partono regolarmente gli aerei carichi di oro e diamanti, depauperando il paese e impoverendo sempre più la sua gente. «Fateci valere almeno come i nostri diamanti». Questa è la loro richiesta.
Il Congo, infatti, è il paese più povero dell' Africa, uno degli ultimi del mondo per sviluppo umano (il reddito pro capite è sceso di un terzo rispetto a quello del 1960). Ma è anche uno dei paesi più ricchi di materie prime. Esporta caffè, petrolio, legnami e soprattutto diamanti (il cui fatturato reale è sconosciuto), oro, argento cadmio, zinco, manganese, uranio, radio, bauxite, rame. Una vera miniera su cui si concentrano interessi internazionali. Un paese con enormi risorse che non è mai riuscito a sfruttare a proprio vantaggio.
U
ANCH' IO A BUKAVU...
In seguito ai nostri molteplici appelli, abbiamo trovato in Italia oltre trecento persone disposte a pagare due milioni e venire in Congo, a Bukavu, o in altre città , per un incontro tra popolo e popolo. Vogliamo fare verità su noi stessi e sul nostro modello di sviluppo che condanna i poveri a essere sempre più poveri, dire di no al mercato delle armi e al mantenimento del debito estero che strangola i poveri; implorare il dono della pace, insieme a questo popolo che soffre, ma che nonostante tutto sa mantenere viva la speranza e resistere con non violenza.
In tutti gli incontri - dice ancora Bizzotto - che la nostra piccola delegazione ha avuto, ci è stata ribadita la responsabilità degli occidentali, in particolare dell' Unione europea e degli Usa, nella tragedia di Bukavu e dell' Africa. L' Occidente vende armi e sa che con le armi i vari gruppi continuano una guerra endemica, l' Occidente entra nelle miniere del coltan che serve per le ogive dei missili& Oggi dobbiamo capire che le armi non risolvono i problemi. La guerra è una grande menzogna e quando ce ne accorgiamo, è troppo tardi. Dobbiamo avere il coraggio di far capire all' altro che lui non può essere mai il mio nemico mortale. Io non accetterò mai di essere violento anche se uno, nei miei confronti, lo è. Capisco che è difficile, ma è la via che pratichiamo nei rapporti con le persone che amiamo ogni giorno e che un po' alla volta deve diventare un metodo per la società ».
«Ricordare la Shoah - ha detto Moni Ovadia - senza far nulla per gli olocausti di oggi vuol dire uccidere due volte le vittime di allora. L' Africa dimostra che il nostro pianeta è sull orlo del baratro. Sull' impegno per l' Africa si misura la nostra umanità . Cos' è che ci fa essere persone oggi? Il fatto di produrre, consumare e lasciare un pianeta di rifiuti?».