UN INGEGNERE IMPRENDITORE
Abbiamo incontrato Liliana Edith Albònico a Padova, in occasione di una sua visita all";università , alla conclusione di un corso di specializzazione postlaurea. Liliana Edith Albònico è nata nel 1962 a Buenos Aires, in Argentina, ma la sua giovinezza e la sua educazione scolastica sono maturate anche in altre città dell";Argentina, come Colà³n, e a Concepcià³n del Uruguay, nella provincia di Entre Rios, dove nel 1992 si è laureata in ingegneria elettromeccanica. Da qualche anno l";unica sorella, Susanna Maria, si è trasferita nel Veneto, dando modo a Liliana di compiere il suo primo viaggio in Italia, e di frequentare un corso di specializzazione.
Quando hai cominciato a interessarti dell";Italia?
«È stata nonna Cecilia, emigrata in Argentina da Longara (VI), e un fratello della mamma, di nome Luigi a infonderci un grande amore e un costante interesse per l";Italia. Ricordo che la nonna, emigrata con un veronese ma rimasta vedova dopo pochi anni, ci parlava delle tradizioni del suo paese d";origine e ci faceva imparare detti e proverbi italiani; ci insegnava il dialetto, anche se non permetteva che noi lo parlassimo in famiglia. A zio Luigi, invece, piacevano soprattutto le opere liriche e le canzoni italiane; e, così, attraverso il canto imparavamo la lingua».
Come hai vissuto il rapporto con la terra d'origine dei tuoi genitori?
«È stato un rapporto vissuto attraverso i racconti della nonna e la passione dello zio per la musica italiana: una memoria e una passione che divennero patrimonio della nostra identità . La doppia nazionalità , di cui siamo state fin da piccole in possesso, ha sempre avuto un significato innanzitutto culturale».
I programmi scolastici delle scuole che hai frequentato riservavano spazio alla cultura italiana?
«Non ho frequentato scuole italiane, né ho potuto avere, negli anni di scuola, la possibilità di studiare la lingua e la cultura italiane. Per la conoscenza della cultura italiana, mi è stato di grande aiuto, sia a Buenos Aires come a Concepcià³n del Uruguay, il contatto con famiglie di origine italiana, e soprattutto con alcuni amici che ritornavano spesso nel Veneto per ragioni di lavoro. Cinque anni fa, quando mia sorella si è trasferita in Italia, questi amici ci aiutarono a tenere vivo il nostro contatto, con reciproci scambi di informazioni e di doni. Sono stati anni in cui ho scoperto che l";identità si sviluppa con i rapporti che si riescono a instaurare con gli altri: ciò che mi ha permesso non solo di maturare come persona, ma di scoprire alcuni aspetti della mia identità e di valorizzare tutte le occasioni per approfondire la mia conoscenza dell";Italia. Mi è stata di grande utilità anche la corrispondenza che tenevo con amici e conoscenti italiani. Scrivere è stato uno strumento meraviglioso per instaurare un dialogo con le persone che risiedevano in Italia; uno strumento che, nello stesso tempo, mi obbligava ad approfondire l";italiano».
Perché tua sorella si è trasferita in Italia?
«Visitare l";Italia era un sogno che nutrivamo entrambe, ma lei ha potuto realizzarlo prima di me. Dopo aver raggiunto i paesi dei nonni, se ne è tanto innamorata da cercarvi un lavoro e da decidere di rimanervi stabilmente. Così io sono rimasta con la nonna. Ho completato gli studi e ho avuto la fortuna di trovare un lavoro che corrispondeva alla mia qualifica professionale. Alla scadenza del contratto di lavoro, ho pensato che fosse giunto il momento per organizzare il mio primo viaggio in Italia. Non volevo venire per turismo ma per frequentare un corso di specializzazione universitaria. Mi sono preparata, iscrivendomi a un corso approfondito di lingua e grammatica italiana, presso la 'Dante Alighieri' di Buenos Aires, e ho cercato contatti con associazioni e persone in grado di aiutarmi a raggiungere il mio obiettivo. In quei mesi ho frequentato l";associazione 'Gioventù veneta argentina' di Buenos Aires, un";associazione molto attiva. Poi ho conosciuto il professor Franco Bosello, partecipando a una serie di conferenze da lui tenute all";università Belgrano di Buenos Aires. Non avrei mai immaginato che lo stesso professore sarebbe divenuto successivamente uno dei docenti del mio corso presso l";università di Padova.
«A Buenos Aires mi ero messa in contatto anche con i responsabili dell";Ivral, nella speranza di beneficiare di una borsa di studio per frequentare l";università patavina. Ma ciò non è stato possibile a causa del mancato finanziamento da parte della regione del Veneto. Però tutto questo non ha bloccato il mio progetto. Con i risparmi messi da parte in un anno e mezzo di lavoro, mi sono pagata il viaggio, l";iscrizione e il corso universitario. Oggi, dopo averlo felicemente concluso con la presentazione della tesi, sono veramente contenta perché mi ha arricchito professionalmente e culturalmente».
E il rapporto con l";Italia?
«Otto mesi di permanenza in Italia mi hanno dato modo di trovare una spiegazione a tante cose, prima sconosciute. Penso, ad esempio, alle tradizioni della nonna che, quando ero in Argentina, mi sembravano un po"; strane. Mi riferisco al modo di vestirsi, e al suo attaccamento a certe abitudini, all";uso di alcune ricette per la preparazione di piatti caratteristici e di dolci in occasione di feste e di circostanze che solo in Italia ho potuto scoprire. Sono tante le cose che ho potuto apprendere in questi mesi di permanenza nel Veneto: hanno accresciuto la mia cultura nel senso più ampio del termine».
Sei cittadina argentina e cittadina italiana. Non hai mai provato una crisi d'identità ?
«Pur frequentando, da bambina, le scuole statali argentine, non mi sono mai sentita in difficoltà per il fatto che ero anche cittadina italiana. Venuta, poi, in Italia, qualche volta ho dovuto 'farmi coraggio' per inserirmi in un mondo che non conoscevo profondamente».
Come vedi il tuo futuro?
«Penso di riprendere il mio rapporto con l";associazione 'Gioventù veneta argentina' di Buenos Aires, per comunicare ai giovani la mia esperienza. Sono infatti convinta che quello che ho vissuto e quello che ho potuto raggiungere anche con sacrificio, può essere un esempio per tanti altri giovani che desiderano raggiungere mete e obiettivi in qualche modo collegati alle loro radici. Gli scambi culturali, i rapporti tra università e centri italiani e argentini di ricerca scientifica, sono i migliori investimenti per il futuro dei giovani di origine italiana. Conoscendo la lingua e la cultura dei due paesi, essi, oltre che diventare i primi beneficiari di questi rapporti, ne sono i naturali promotori. Qualche volta i giovani italoargentini sono poco motivati, perché rimangono in un continuo 'stato di attesa' di aiuti e sussidi da parte di associazioni e di regioni italiane. Anch";io ho cercato e aspettato per tanto tempo una borsa di studio, ma poi mi sono convinta che non potevo stare con le braccia incrociate: per attuare il mio progetto dovevo rischiare di più, e solo con il mio lavoro. Ora il mio desiderio è quello di collaborare a un progetto "; in ambito culturale, industriale o commerciale "; che mi permetta di avvicinare di più l";Argentina all";Italia».