Un viaggio che non è mai finito
Educatore, poeta e scrittore, Ranallo è tornato al Museo del Pier 21 di Halifax: la Ellis Island degli emigrati in Canada, per ripercorrere la storia della sua vita.
28 Luglio 2010
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Rossland-Vancouver
Giuseppe Ranallo – meglio noto come il professor Joseph Ranallo, educatore di educatori, poeta e scrittore, oltre che esperto di medicina orientale (*) – non aveva ancora compiuto 12 anni quando, nel 1952, insieme con la mamma, vedova di guerra, visse da emigrante la traumatica traversata atlantica, dal porto di Napoli a quello canadese di Halifax, in Nova Scotia; con una nave di linea italiana a bordo della quale il trattamento dei passeggeri e la suddivisione in classi rispecchiavano la stratificata struttura sociale del Paese d’origine. Il secondo dopoguerra, le distruzioni e le macerie ovunque, non avevano certo modificato la realtà degli atavici dislivelli, nonostante l’urgenza di dare vita a un difficile progetto di vita democratica e di impegno partecipativo comune.
L’arrivo al Pier 21, il molo di sbarco canadese – definito anche come «l’altra porta d’America» per similitudine con la Ellis Island di New York –, il permesso d’immigrazione e il successivo attraversamento in treno del territorio canadese (oltre 5 mila chilometri dall’Atlantico al Pacifico) avrebbero scandito, per mamma e figlio, le tappe del pellegrinaggio verso il luogo loro destinato ovvero Rossland, nella British Columbia. Per dare un futuro degno al figlioletto, la madre aveva accettato di sposare per procura uno sconosciuto italocanadese che li avrebbe accolti nella sua casa. Rimanere a Vinchiaturo, nel Molise di allora, avrebbe significato povertà, solitudine e marginalizzazione. Le ali di quel pre-adolescente pensoso e intelligente, non avrebbero potuto dispiegarsi per volare nell’immenso cielo.
Il 4 giugno scorso, quasi mezzo secolo dopo, Joseph Ranallo è ritornato al Pier 21. Accompagnato questa volta da moglie e figlia, e con il ricordo commosso della generosa mamma defunta, ma sempre viva nel suo cuore. Oggi il Pier 21 è stato trasformato in un importante museo dedicato alla storia dell’arrivo in Canada, tra il 1928 il 1971, di oltre un milione e mezzo di persone provenienti da varie nazioni: emigranti, spose di guerra (48 mila con 22 mila figli), esiliati, bambini orfani, e militari canadesi reduci dai combattimenti in Europa. Il periodo compreso tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta è stato tra i più movimentati nella storia del Pier 21. Basti pensare ai 100 mila rifugiati giunti con l’aiuto dell’IRO, l’International Refugee Organization, e alle altre migliaia arrivati illegalmente per sfuggire alle deportazioni da Lettonia, Lituania ed Estonia. In quel decennio si colloca anche una consistente emigrazione di italiani oltre che di olandesi, inglesi e tedeschi. Per non dimenticare i 35 mila ammessi in Canada nel dicembre del 1956, in fuga dalla rivoluzione ungherese. Nel decennio successivo, verso la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, molti emigranti scelsero di arrivare in aereo. Il Pier 21 non era più necessario. L’attuale monumento-museo racchiude la memoria viva di quanti vi sono transitati: rimarrà per sempre nel loro cuore. Figli e nipoti vi potranno attingere per conoscere meglio la storia del Canada, fatta del sacrificio e dei contributi di tanta gente proveniente da ogni parte del mondo.
Ho chiesto al professor Ranallo di raccontarmi le sue impressioni. Dentro una cronaca essenziale, egli ha lasciato emergere emozioni e sentimenti capaci di commuovere: valori condivisibili da quanti hanno vissuto la sua stessa esperienza, segnali educativi per chi voglia conoscere e approfondire. È storia personale ma anche storia sociale. Fa parte della storia del Canada in divenire.
Acquistati i lasciapassare per il tour guidato alle restaurate attrezzature del Museo, Ranallo ha detto all’impiegata, una nativa messicana, di essere transitato dal Pier nei primi anni Cinquanta. «Lei mi ha sorriso gentilmente – rammenta Ranallo –, e mi ha gratificato con un adesivo dorato che mi riconosceva come Alumnus del Pier 21. La nostra guida – un informatissimo volontario in pensione, lieto del suo ruolo – mi ha chiesto di esprimere e condividere i sentimenti che stavo sperimentando nel ritornare a questo storico monumento. Mi è stato difficile parlare, talmente intensa era l’ondata emotiva». Poi è accaduto qualcosa di magico. Quando, dalle enormi vetrate affacciate sulla baia, Ranallo ha creduto di avvertire la brezza dell’Atlantico proveniente dal porto di Halifax e attraversare i muri, i mattoni, i vetri, «istantaneamente, mi è sembrato cancellasse via segni esteriori e impiallacciature del rinnovato edificio per ritornare quel porto di cinquant’anni fa, la mia prima volta qui in Canada. Allora, come una pellicola Super 8 proiettata alla rovescia, mi sono imbarcato nel mio tour privato, contemporaneamente allo svolgimento di quello ufficiale, con le sue varie fermate come le Stazioni della Croce».
«La mia odissea immaginaria – ricorda Joe Ranallo – è cominciata con mia madre e con me, un confuso dodicenne dai grandi occhi spalancati, che trascinavano i loro passi lungo i percorsi segnaletici del Pier: i due giorni di nausea nel Nord Atlantico, gli altri cinque di ragionevole calma, il passaggio notturno di Gibilterra, le brevi quattro ore di sosta a Barcellona, l’altrettanto breve stop a Genova, e l’imbarco a Napoli dove dissi il mio addio all’Italia, la mia terra natale che avrei sempre amato come una madre, anche se non aveva più bisogno di me, e non mi voleva con sè. Ero parte dell’eccessivo bagaglio che l’Italia doveva scaricare a causa della miserabile situazione post-bellica in cui si veniva a trovare. Tra consigli sbagliati e malaccorto nazionalismo, il governo fascista italiano era entrato in una guerra persa in partenza, una guerra non sostenuta e voluta dalla maggioranza del popolo italiano, che si stava ancora riprendendo dalle ferite della Prima Guerra mondiale. Qualcuno avrebbe dovuto pagare per i colossali e costosi errori di giudizio del governo ufficiale; noi siamo diventati la moneta di scambio».
A questo punto, nella fantasia del narratore, madre e figlio avevano raggiunto il banco della guardia di frontiera, dove uno stanco e probabilmente stressato ufficiale in uniforme paramilitare blu-nera, fissandoli con uno sguardo vuoto, aveva meccanicamente stampato sul loro passaporto l’attesa sigla: «Landed Immigrant». E rieccoci al punto di partenza del tour: allo stesso banco che era stato parte del Pier originario, dove ora un giovane ex emigrante egiziano dal cognome greco – in vacanza di studio estiva – si stava godendo il suo secondo giorno di lavoro travestito da guardia di frontiera. «Troppo in fretta la bobina a rovescio del mio Super 8 aveva finito di girare – annota Ranallo –, e con mia moglie e mia figlia ero di ritorno al piano in calcestruzzo dove, fino al 1971, innumerevoli emigranti da ogni parte d’Europa avevano raggiunto il Canada per sfuggire alla devastazione dei loro luoghi natali, alla repressione politica dei loro Paesi, a povertà e fame, a disastri economici, a una struttura di classe socialmente e politicamente stratificata, e a una serie di ragioni che impedivano la realizzazione di sogni e aspirazioni».
«Quando lasciammo il Museo, a fine giornata – confida ancora Ranallo – mi sentii emozionalmente svuotato, ma sereno. Ero grato al Pier 21 per essere stato gentile con me. Le sue porte d’uscita, che mi erano state allora aperte brevemente per caricarci in fretta sul treno che ci avrebbe portato a destinazione, queste stesse porte mi hanno consentito di godere dei frutti e della liberalità di questo grande giovane Paese. Mi hanno permesso di acquisire un’educazione universitaria, cosa che non sarebbe successa se fossi rimasto nella mia modesta inconsistente fattoria agricola in Italia centrale dove i miei animali sarebbero stati la mia facoltà, e la dura terra il mio curriculum. Solo allora ho veramente capito quanto, in realtà, mi era successo, e ho afferrato il pieno significato di quel modesto adesivo dorato che mi era stato consegnato al momento dell’acquisto dei biglietti per il tour. Sarò per sempre riconoscente e orgoglioso di essere considerato un Alumnus del Pier 21 che, come un libro aperto, offre una porta storicamente visibile su un mondo nuovo. Questa istituzione mi ha insegnato una delle più umili e durature lezioni della vita, racchiusa in un concetto portato alla luce, in modo geniale, da Arthur Miller quando ha sfidato l’aristotelica definizione di tragedia: possono esserci dignità e valore personale anche nei più normali individui che popolano il mondo».
(*) A colloquio con lo scrittore Joseph Ranallo - Canadese di giorno, italiano di notte, Messaggero di sant’Antonio-edizione italiana per l’estero, Ottobre 2001.
Giuseppe Ranallo – meglio noto come il professor Joseph Ranallo, educatore di educatori, poeta e scrittore, oltre che esperto di medicina orientale (*) – non aveva ancora compiuto 12 anni quando, nel 1952, insieme con la mamma, vedova di guerra, visse da emigrante la traumatica traversata atlantica, dal porto di Napoli a quello canadese di Halifax, in Nova Scotia; con una nave di linea italiana a bordo della quale il trattamento dei passeggeri e la suddivisione in classi rispecchiavano la stratificata struttura sociale del Paese d’origine. Il secondo dopoguerra, le distruzioni e le macerie ovunque, non avevano certo modificato la realtà degli atavici dislivelli, nonostante l’urgenza di dare vita a un difficile progetto di vita democratica e di impegno partecipativo comune.
L’arrivo al Pier 21, il molo di sbarco canadese – definito anche come «l’altra porta d’America» per similitudine con la Ellis Island di New York –, il permesso d’immigrazione e il successivo attraversamento in treno del territorio canadese (oltre 5 mila chilometri dall’Atlantico al Pacifico) avrebbero scandito, per mamma e figlio, le tappe del pellegrinaggio verso il luogo loro destinato ovvero Rossland, nella British Columbia. Per dare un futuro degno al figlioletto, la madre aveva accettato di sposare per procura uno sconosciuto italocanadese che li avrebbe accolti nella sua casa. Rimanere a Vinchiaturo, nel Molise di allora, avrebbe significato povertà, solitudine e marginalizzazione. Le ali di quel pre-adolescente pensoso e intelligente, non avrebbero potuto dispiegarsi per volare nell’immenso cielo.
Il 4 giugno scorso, quasi mezzo secolo dopo, Joseph Ranallo è ritornato al Pier 21. Accompagnato questa volta da moglie e figlia, e con il ricordo commosso della generosa mamma defunta, ma sempre viva nel suo cuore. Oggi il Pier 21 è stato trasformato in un importante museo dedicato alla storia dell’arrivo in Canada, tra il 1928 il 1971, di oltre un milione e mezzo di persone provenienti da varie nazioni: emigranti, spose di guerra (48 mila con 22 mila figli), esiliati, bambini orfani, e militari canadesi reduci dai combattimenti in Europa. Il periodo compreso tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta è stato tra i più movimentati nella storia del Pier 21. Basti pensare ai 100 mila rifugiati giunti con l’aiuto dell’IRO, l’International Refugee Organization, e alle altre migliaia arrivati illegalmente per sfuggire alle deportazioni da Lettonia, Lituania ed Estonia. In quel decennio si colloca anche una consistente emigrazione di italiani oltre che di olandesi, inglesi e tedeschi. Per non dimenticare i 35 mila ammessi in Canada nel dicembre del 1956, in fuga dalla rivoluzione ungherese. Nel decennio successivo, verso la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, molti emigranti scelsero di arrivare in aereo. Il Pier 21 non era più necessario. L’attuale monumento-museo racchiude la memoria viva di quanti vi sono transitati: rimarrà per sempre nel loro cuore. Figli e nipoti vi potranno attingere per conoscere meglio la storia del Canada, fatta del sacrificio e dei contributi di tanta gente proveniente da ogni parte del mondo.
Ho chiesto al professor Ranallo di raccontarmi le sue impressioni. Dentro una cronaca essenziale, egli ha lasciato emergere emozioni e sentimenti capaci di commuovere: valori condivisibili da quanti hanno vissuto la sua stessa esperienza, segnali educativi per chi voglia conoscere e approfondire. È storia personale ma anche storia sociale. Fa parte della storia del Canada in divenire.
Acquistati i lasciapassare per il tour guidato alle restaurate attrezzature del Museo, Ranallo ha detto all’impiegata, una nativa messicana, di essere transitato dal Pier nei primi anni Cinquanta. «Lei mi ha sorriso gentilmente – rammenta Ranallo –, e mi ha gratificato con un adesivo dorato che mi riconosceva come Alumnus del Pier 21. La nostra guida – un informatissimo volontario in pensione, lieto del suo ruolo – mi ha chiesto di esprimere e condividere i sentimenti che stavo sperimentando nel ritornare a questo storico monumento. Mi è stato difficile parlare, talmente intensa era l’ondata emotiva». Poi è accaduto qualcosa di magico. Quando, dalle enormi vetrate affacciate sulla baia, Ranallo ha creduto di avvertire la brezza dell’Atlantico proveniente dal porto di Halifax e attraversare i muri, i mattoni, i vetri, «istantaneamente, mi è sembrato cancellasse via segni esteriori e impiallacciature del rinnovato edificio per ritornare quel porto di cinquant’anni fa, la mia prima volta qui in Canada. Allora, come una pellicola Super 8 proiettata alla rovescia, mi sono imbarcato nel mio tour privato, contemporaneamente allo svolgimento di quello ufficiale, con le sue varie fermate come le Stazioni della Croce».
«La mia odissea immaginaria – ricorda Joe Ranallo – è cominciata con mia madre e con me, un confuso dodicenne dai grandi occhi spalancati, che trascinavano i loro passi lungo i percorsi segnaletici del Pier: i due giorni di nausea nel Nord Atlantico, gli altri cinque di ragionevole calma, il passaggio notturno di Gibilterra, le brevi quattro ore di sosta a Barcellona, l’altrettanto breve stop a Genova, e l’imbarco a Napoli dove dissi il mio addio all’Italia, la mia terra natale che avrei sempre amato come una madre, anche se non aveva più bisogno di me, e non mi voleva con sè. Ero parte dell’eccessivo bagaglio che l’Italia doveva scaricare a causa della miserabile situazione post-bellica in cui si veniva a trovare. Tra consigli sbagliati e malaccorto nazionalismo, il governo fascista italiano era entrato in una guerra persa in partenza, una guerra non sostenuta e voluta dalla maggioranza del popolo italiano, che si stava ancora riprendendo dalle ferite della Prima Guerra mondiale. Qualcuno avrebbe dovuto pagare per i colossali e costosi errori di giudizio del governo ufficiale; noi siamo diventati la moneta di scambio».
A questo punto, nella fantasia del narratore, madre e figlio avevano raggiunto il banco della guardia di frontiera, dove uno stanco e probabilmente stressato ufficiale in uniforme paramilitare blu-nera, fissandoli con uno sguardo vuoto, aveva meccanicamente stampato sul loro passaporto l’attesa sigla: «Landed Immigrant». E rieccoci al punto di partenza del tour: allo stesso banco che era stato parte del Pier originario, dove ora un giovane ex emigrante egiziano dal cognome greco – in vacanza di studio estiva – si stava godendo il suo secondo giorno di lavoro travestito da guardia di frontiera. «Troppo in fretta la bobina a rovescio del mio Super 8 aveva finito di girare – annota Ranallo –, e con mia moglie e mia figlia ero di ritorno al piano in calcestruzzo dove, fino al 1971, innumerevoli emigranti da ogni parte d’Europa avevano raggiunto il Canada per sfuggire alla devastazione dei loro luoghi natali, alla repressione politica dei loro Paesi, a povertà e fame, a disastri economici, a una struttura di classe socialmente e politicamente stratificata, e a una serie di ragioni che impedivano la realizzazione di sogni e aspirazioni».
«Quando lasciammo il Museo, a fine giornata – confida ancora Ranallo – mi sentii emozionalmente svuotato, ma sereno. Ero grato al Pier 21 per essere stato gentile con me. Le sue porte d’uscita, che mi erano state allora aperte brevemente per caricarci in fretta sul treno che ci avrebbe portato a destinazione, queste stesse porte mi hanno consentito di godere dei frutti e della liberalità di questo grande giovane Paese. Mi hanno permesso di acquisire un’educazione universitaria, cosa che non sarebbe successa se fossi rimasto nella mia modesta inconsistente fattoria agricola in Italia centrale dove i miei animali sarebbero stati la mia facoltà, e la dura terra il mio curriculum. Solo allora ho veramente capito quanto, in realtà, mi era successo, e ho afferrato il pieno significato di quel modesto adesivo dorato che mi era stato consegnato al momento dell’acquisto dei biglietti per il tour. Sarò per sempre riconoscente e orgoglioso di essere considerato un Alumnus del Pier 21 che, come un libro aperto, offre una porta storicamente visibile su un mondo nuovo. Questa istituzione mi ha insegnato una delle più umili e durature lezioni della vita, racchiusa in un concetto portato alla luce, in modo geniale, da Arthur Miller quando ha sfidato l’aristotelica definizione di tragedia: possono esserci dignità e valore personale anche nei più normali individui che popolano il mondo».
(*) A colloquio con lo scrittore Joseph Ranallo - Canadese di giorno, italiano di notte, Messaggero di sant’Antonio-edizione italiana per l’estero, Ottobre 2001.
Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017