Verso la casa di Antonio
Quante volte su queste pagine avete letto che un’opera è stata compiuta «nel nome di Antonio»? La cosa è senz’altro vera anche per il progetto che Caritas Antoniana ha sostenuto nel Camerun, ma lo è in un modo ancora più sorprendente e fuori dagli schemi abituali.
Ma andiamo per ordine. La nostra storia è ambientata nella città di Garoua che, con il suo all’incirca mezzo milione di abitanti, è il principale centro del Nord del Camerun. Tante le emergenze sociali, sia nelle periferie che nei villaggi sparsi per la circostante savana, dove malnutrizione, analfabetismo, scarsa igiene sono solo alcune delle voci del glossario della sofferenza. E la Chiesa? È in prima linea, ma gli operai sono pochi a fronte della vastità della messe. Così il vescovo locale, monsignor Antoine Ntalou, cerca aiuto fuori dai confini africani, e interpella la Comunità missionarie laiche (Cml) del Pontificio istituto missioni estere (Pime).
Da Legnano (MI), dove ha sede la Comunità, nel febbraio 2003 partono le prime missionarie con destinazione Garoua. Dopo molti interventi di carattere sanitario ed educativo, tanto in città quanto nelle savane, nel 2010, insieme alla diocesi di Garoua, la Cml individua un’emergenza sociale che nessuno nella zona aveva mai avuto a cuore di mitigare. Certo, dove la povertà è estrema è difficile distinguere l’«ultimo» dall’«ultimissimo», eppure anche la miseria ha le sue classifiche. Ai margini della società camerunense ci sono i disabili mentali, uomini e donne che vengono messi alla porta dai loro stessi familiari quando mostrano i sintomi della malattia e gli scompensi conseguenti. Non sono solo «diversi»: i disabili psichici, nella cultura locale, sono associati alla stregoneria, una punizione per l’intera famiglia.
«Così – spiega Gabriella Lorenzi, la responsabile del progetto – i malati diventano persone senza fissa dimora. Se fai un giro al mercato, se cammini a piedi per la città, ne trovi a ogni angolo». L’occhio di Gabriella è allenato. Infatti la donna, prima di scoprire la vocazione missionaria, ha lavorato per otto anni come infermiera al Villaggio Sant’Antonio di Noventa Padovana, il centro, espressione dei frati conventuali, che dal secondo dopoguerra si occupa di accoglienza degli ultimi e, tra loro, di persone con difficoltà intellettive e relazionali. Il collegamento con il Camerun è evidente, perché gli obiettivi che si vogliono raggiungere a Garoua sono gli stessi: ridare dignità a queste persone, insegnando loro a prendersi cura dell’igiene personale, curando i disturbi mentali, assicurando cibo e, dove possibile, insegnando un mestiere che permetta di sostentarsi. È il cuore del progetto «Sulla strada di… casa»: le missionarie del Pime, con l’aiuto di collaboratori e collaboratrici camerunensi, nel 2010 iniziano ad avvicinare alcuni senzatetto, a dialogare con loro, a offrire un pasto, un ricovero, un sostegno. Punto d’appoggio è il centro di accoglienza «Oasi solidale», nella parrocchia del quartiere di Djamboutou. Ai primi cinque aiutati, altri se ne aggiungono.
Così, all’inizio del 2013, arriva in Caritas Antoniana una richiesta di aiuto: ci date una mano ad allargare il nostro intervento a favore degli adulti disabili di Garoua? Anche l’arcivescovo, Antoine Ntalou, è direttamente «compromesso» con il progetto, tanto da allegare una sua lettera personale di apprezzamento per il lavoro che l’équipe italiana sta compiendo insieme al Servizio diocesano sanità.
Piccoli miracoli, piccoli segni
La risposta, da Padova, è positiva e sollecita: il progetto risponde a tutti i requisiti del «bene fatto bene» necessari perché la solidarietà sia carità. Con i 6 mila euro richiesti le persone prese in carico all’«Oasi solidale» raddoppiano. Alla fine saranno dieci. Gabriella Lorenzi scrive, nel resoconto finale: «I percorsi messi in atto sono molto semplici, ma per noi indispensabili per cominciare a dare dignità a queste persone. Non sono mancate anche le difficoltà nell’instaurare una relazione di fiducia. Nel secondo semestre, segnato dalla stagione delle piogge, ci siamo concentrate sulle attività al centro, coltivando un campo di mais da mezzo ettaro e attrezzando un piccolo allevamento di capre».
E poi ci sono quei piccoli risultati che sono dei piccoli miracoli. Come nel caso di Franco, affetto da schizofrenia: da quando è in cura psichiatrica al centro delle missionarie del Pime ha acquisito un suo equilibrio, è tranquillo, e la famiglia lo ha addirittura ripreso in casa con sé. La storia di Antoine è simile: a causa della cecità, una volta morti i genitori è stato cacciato dalla famiglia. «Siamo riuscite a recuperargli la sua stanza – dice Gabriella –. È stato importante, anche perché di recente è stato investito da una moto, fratturandosi il femore. Così lo seguiamo a casa, dandogli da mangiare, lavandolo e attenuando il dolore».
Antoine il cieco è l’ultimo personaggio della storia. Una storia in cui Antonio è costantemente presente: è il vescovo primo sostenitore del progetto, è il senzatetto preso in carico, è nella mano che aiuta dall’Italia tramite Caritas Antoniana, è nel curriculum della missionaria. Ma, come se non bastasse: nel 2003, le missionarie lombarde sono giunte in Camerun precisamente il 15 febbraio, proprio il giorno in cui ricorre la memoria della traslazione delle reliquie del Santo, la cosiddetta festa della Lingua…
C’è chi le chiama coincidenze. Altri preferiscono decisamente parlare di segni.
Il progetto in breve
- Progetto: sostegno a persone senza fissa dimora
- Dove: Djamboutou, Garoua, Camerun
- Materiali acquistati: vestiario; medicinali; cibo; attrezzi per le attività pre-lavorative
- Periodo: marzo 2013-gennaio 2014
- Costo: euro 6 mila