Vite perdute «In Africa si soffre troppo»
All'inizio di agosto i giornali hanno riportato la notizia del ritrovamento dei corpi senza vita di due adolescenti africani, originari della Guinea Conakry, nel vano del carrello di un jumbo delle linee aeree belghe. I giovani sono arrivati morti, probabilmente per il freddo, all'aeroporto di Bruxelles. Sono stati considerati due emigrati clandestini. I due ragazzi si chiamavano Yaguine Koita e Fodè Tounhara ed avevano rispettivamente 14 e 15 anni: erano due giovani studenti di Conakry. Il loro viaggio era stato accompagnato da un messaggio. Portavano con sé, infatti, una lettera indirizzata agli «Eccellenti responsabili dell'Europa»: chiedevano di prendere coscienza del fatto che «in Africa si soffre troppo». Infatti, i due ragazzi, così giovani, debbono aver sentito davvero il morso della sofferenza, tanto da essere disposti a rischiare la vita per asfissia e congelamento nella nicchia del carrello di un aereo (ma la morte era quasi sicura). Vorrei citare integralmente la lettera da loro scritta. È un grido di dolore che sale dall'Africa. Merita di essere meditata.
«Eccellenza, Signori membri e responsabili d'Europa.Noi abbiamo l'onore, il grande piacere e la grande fiducia di scrivervi questa lettera per parlarvi dell'obiettivo del nostro viaggio e della sofferenza di noi bambini e giovani d'Africa. Ma prima di tutto vi presentiamo i saluti più delicati, adorabili e rispettati nella vita. A questo fine, siate il nostro appoggio e il nostro aiuto. Voi siete per noi quelli a cui bisogna domandare soccorso. Vi supplichiamo, per l'amore del vostro continente, per i sentimenti che provate verso il vostro popolo e, soprattutto, per l'affinità e l'amore che nutrite verso i vostri figli che amate per la vita. Inoltre, per l'amore e la timidezza del nostro creatore Dio onnipotente, che vi ha dato tutte le buone esperienze, ricchezze e poteri di ben costruire e ben organizzare il vostro continente perché diventasse il più bello e ammirevole tra gli altri.
«Signori membri e responsabili d'Europa, per la vostra solidarietà e gentilezza, noi gridiamo al soccorso in Africa. Aiutateci, noi soffriamo enormemente in Africa, noi abbiamo problemi e alcune mancanze a livello di diritti del bambino. A livello di problemi, noi abbiamo la guerra, la malattia, la mancanza di cibo, ecc. Quanto ai diritti del bambino, e soprattutto in Guinea, noi abbiamo troppe scuole, ma una grande mancanza di educazione e di insegnamento. Salvo che nelle scuole private dove si può avere una buona educazione e un buon insegnamento, ma ci vuole una forte somma di denaro. Ora, i nostri genitori sono poveri e bisogna che ci diano da mangiare. Poi non abbiamo scuole sportive dove possiamo praticare il pallone, il basket e il tennis.
«Ecco perché noi, bambini e giovani africani vi domandiamo di fare una grande organizzazione efficace per l'Africa, per permetterci di progredire. Dunque, se voi vedete che noi sacrifichiamo ed esponiamo la nostra vita, è perché si soffre troppo in Africa e abbiamo bisogno di voi per lottare contro la povertà e per mettere fine alla guerra in Africa. Inoltre, vogliamo studiare e vi domandiamo di aiutarci a studiare per essere come voi, in Africa. Infine, vi supplichiamo di scusarci tanto di avere osato scrivere questa lettera, proprio a Voi, i grandi personaggi a cui noi dobbiamo molto rispetto. E non dimenticate che è a voi che noi ci rivolgiamo per lamentare la debolezza della nostra forza in Africa».
Il sacrificio di questi due ragazzi ricorda quello dei bonzi che si incendiavano in Vietnam per attrarre l'attenzione mondiale sulla situazione del loro paese. Oppure ricorda il sacrificio di Jan Palach, a Praga, per protestare contro la violenza sovietica. In questi gesti c'è solo disperazione. Ma la protesta dei due ragazzi di Conackry è gentile nei toni, rispettosa nella maniera, ma tragica nella sostanza del loro atto. Il loro tono è garbato. Colpisce la delicatezza e il rispetto con cui i due giovani esprimono il dolore della loro condizione. Sembra che si rivolgano a persone perbene, impegnate in cose importanti: sono i «Signori membri e responsabili dell'Europa». I due adolescenti gridano la domanda che sale dall'Africa, dal grande Sud del mondo, a cui non si presta attenzione nella nostra opinione pubblica nazionale e nella nostra politica.
Un giovane mi ha scritto dalla Guinea una lettera in commento al gesto disperato dei due studenti: «È vero... sono morti - ha scritto - perché hanno avuto paura di essere come gli adulti disoccupati o diplomati senza posto. Yaguine e Fodé hanno perduto la speranza nei loro genitori perché sono troppo poveri e lamentosi. È vero che hanno perduto la speranza nel nostro stato e del nostro governo, perché pensano che questi governanti sono troppo occupati per occuparsi di loro: non li si conoscerà mai d'altronde. Allora si sono detti accanto alle ruote dell'aereo che è pericoloso, ma in caso di atterraggio senza problemi andrà bene».
Si, è vero. Dietro a questo gesto c'è un mare di disperazione che leggiamo anche nel volto di tanti emigrati che rischiano la vita per non restare più nei loro paesi. Compiono viaggi incredibili, convinti che il loro mondo è senza futuro. Spesso non sono i più poveri tra gli africani. Vogliono lasciarsi alle spalle le guerre etniche, la miseria, l'assenza di lavoro, la violenza, la corruzione: cercano - come i due ragazzi morti nell'aereo - un «mondo bello». È il loro sogno dell'Europa, di cui hanno visto qualche immagine. Vogliono uscire da un mondo che sta crollando e a cui non accorre nessuno e verso cui non si mostra interesse. Non c'è solo miseria, ma anche una crisi di fiducia nel futuro.
I vescovi africani, al termine del loro sinodo, hanno detto: «...l'Africa è praticamente divenuta un'appendice senza importanza, spesso dimenticata e trascurata da tutti». Ed è vero: nel 1960, l'Africa rappresentava il 9 per cento del commercio mondiale, oggi solo il 3 per cento e continua a scendere. Negli ultimi venticinque anni si è assistito a un'espansione progressiva dei consumi in gran parte del mondo; non così in Africa dove una famiglia media africana consuma il 20 per cento in meno di venticinque anni fa. Inoltre, il 20 per cento delle popolazioni subsahariane vive - si stima - in stato di guerra. Non c'è bisogno di altri dati per dar consistenza al grido gentile dei due adolescenti di Conackry.
È facile prevedere che presto la loro voce sarà dimenticata e si continuerà a essere dimentichi dei problemi del continente africano, sperando che il crollo arrivi al più tardi o che si possa continuare a vivere senza essere contagiati (o invasi) dagli africani. Ma la crisi africana, quella di un continente che ci è tanto vicino - è una facile profezia - contagerà prima o poi anche i nostri tranquilli paesi. Non so per che via: invasione, terrorismo..., ma avverrà . Mi chiedo quando metteremo tra i primi punti in agenda l'Africa. Mi domando quando il mondo cristiano riuscirà a trovare quegli accenti forti che pongono all'attenzione di tutti una simile domanda. La «questione africana» resta un punto decisivo nella politica estera dei nostri paesi europei e della comunità internazionale. È una soglia di civiltà qualificante per ogni programma politico. Finché questo non avverrà , vorrei che continuassimo a essere inquietati dalla voce dei due adolescenti di Conackry e insegnare ai nostri ragazzi a essere inquietati dal loro: «Aiutateci, noi soffriamo enormemente in Africa...».