Anima, fatti animo
Questa volta iniziamo da subito, fin dal titolo, con un verso poetico di Maria Luisa Spaziani, grande poetessa italiana scomparsa nel giugno scorso. Poi può succedere come ci capitava a scuola, o almeno capitava a me, che una poesia potesse essere interpretata in vari modi. E io perplesso mi domandavo se davvero l’autore avesse inteso proferire quel concetto che il professore stava cercando di spiegarci, o avesse in mente tutt’altro. Ma oggi mi arrischio lo stesso, perché mi sembra ne valga la pena. In questo inizio di Quaresima, l’ennesima, l’ultima ormai di una ragguardevole schiera, che arriva scialba come tutte le esperienze trite e ritrite. Di cui conosciamo i protagonisti, l’evolversi e la fine, senza nemmeno aspettare i titoli di coda, anche se facciamo finta che sia ogni volta una prima visione. E che perciò non ci sorprende più, se almeno un po’ ancora scalda il nostro cuore. Forse anche perché siamo stanchi di troppa «quaresima», brutte notizie che ci cingono d’assedio, ma alle quali non ci rassegniamo: violenze contro innocenti, carneficine disumane, ruberie elevate a sistema anche nei nostri palazzi della politica, egoismi di parte preposti a qualsiasi bene comune, diffidenze e disimpegni come regolatori di relazioni. Da molte piaghe della terra sale al cielo la bestemmia di mille bocche. Ma il cielo sembra restarsene indifferente, e in guerra sono sempre i soliti a crepare.
Cambia davvero poco, se piuttosto che guardarmi attorno mi guardo dentro. Non mi ricordo neanche più quand’è stata l’ultima volta che mi son fatto un solenne proposito di cambiamento. Mi ricordo invece molto bene che anche quello è andato a finire tra i trofei appesi alla parete delle mie infedeltà. Ben poco di cui gloriarsi con gli amici, ma abbastanza per deprimersi, umanamente e spiritualmente. Voglio allora provare a lasciarmi provocare da quest’altra Quaresima, che mi sta aprendo il cammino verso la Pasqua. Cerco di farlo nella consapevolezza che non c’è «la» vita, c’è «questa» vita. Che non posso permettermi di vivere nella perenne attesa di tempi migliori o nel lagnoso rimpianto di quelli d’oro passati. Perché «questo» è il mio tempo migliore. Se non altro, nel senso che è l’unico che ho a disposizione. Non sarà all’altezza fin che vogliamo, ma questo passa il cielo.
E allora riprendo dalla strofa poetica del titolo. Dalle mie parti esclamare all’indirizzo di una persona: «Animo!», è un po’ come cercare di dargli una scossa. Come dirgli: «Datti una mossa... non restartene lì impalato o a piangerti addosso!». È bello pensare non solo che «animo» è il maschile di «anima», perciò in qualche modo a lei complementare, ma è anche la «carne» dello «spirito». Lo spirito ha bisogno di essere verificato e misurato dalla carne, e viceversa. È bello perché promessa di pienezza, consapevolezza che non posso essere l’uno senza subito essere anche l’altro. Consolazione per le mie fatiche, ma anche concretezza per i miei ideali. È Dio che fa il tifo per me. E perciò è aver fiducia nelle mie mani, in quel poco che posso provare a fare, talvolta a disfare, ma sempre a desiderare. Se si trattasse solo della mia povera carne, non ci starei. Ma invasa dallo Spirito Santo? Sì, penso proprio che potrei rischiare questa Quaresima. Una delle tante, ma occasione buona. Non per andare a cambiare il mondo, e forse neppure me stesso. Ma per andare a lucidarmi il cuore e gli occhi per vedere ciò che ancora non sono stato capace di vedere. Che la restituzione a Dio di tutti i beni che egli mi ha dato e mi dà, come mi esorta a fare san Francesco e avevano esortato a fare i profeti dell’Antico Testamento che la liturgia ci fa leggere in questo principio di Quaresima, non si esaurisce semplicemente in un atto religioso nei suoi confronti. Ma nel farmi prossimo a ogni fratello e sorella.