Sante famiglie
Da sempre la chiamiamo «sacra famiglia». E ha tutte le carte in regola per esserlo a pieno titolo. Perché c’è di mezzo niente di meno che il figlio di Dio, con «contratto matrimoniale» firmato tra un’ignota ragazzina della Galilea e Dio in persona, complice lo Spirito Santo, in un turbinio di ali angeliche. Per cui è sacra nella sua origine, ma lo è poi in tutto il suo svolgersi. È sacra, insomma, perché risponde a un autentico «progetto divino».
La appelliamo «sacra» con nostalgia condita da un pizzico di invidia. Avercelo un figlio come quello, che immaginiamo bravo e obbediente; ma anche, ribatterebbero loro, i nostri figli, averceli due genitori come quelli! E, ancora, la famiglia è sacra perché, intuiamo, è faccenda più grande di noi, ci supera, fatichiamo a coglierne i contorni umani, immaginarsi quelli divini. La liquidiamo perciò come «sacra», che è come marcare con un pennarello indelebile la distanza insuperabile tra noi, le nostre scalcagnate famiglie, e la loro. Perciò, alla fine, non ci resta tra le mani che una bella e profonda devozione o una pia aspirazione.
Provo allora a farmi compagno di strada di Gesù, Giuseppe e Maria, a seguirli d’appresso nei loro spostamenti, fisici e umani, su e giù per la Palestina e per le mai scontate vicende familiari. E mi pare che la loro santità di famiglia non solo non si svilisca, ma persino ne guadagni.
Vedo una famiglia che nasce tra pettegolezzi, dubbi pesanti, senza la benedizione delle rispettive famiglie d’origine. Dove, umanamente parlando, la madre è certa, ma il dubbio su chi sia il padre rimane nell’aria. Vedo una coppia di genitori che fanno nascere il loro figlio in una «sala parto» che non è un granché. Senza dire degli strani personaggi che, quella notte e nei giorni successivi, bussano alla porta di quella casupola in mezzo ai campi. Li rivedo, qualche giorno dopo, migranti, lasciandosi alle spalle una strage di innocenti. Per colpa di quel figlio… Vedo un dodicenne che per tre giorni scompare, e che alle preoccupate rimostranze della mamma, risponde per le rime. Come farebbe, del resto, qualsiasi nostro figlio adolescente. Ma vedo anche due genitori che per ben tre giorni non si preoccupano di dove sia il loro figlio. Mi viene da sorridere, perché al giorno d’oggi tanto basterebbe a far intervenire i servizi sociali. Vedo questo figlio, ormai cresciuto, preso per pazzo anche dai suoi familiari preoccupati (di lui? della loro onorabilità?), frequentare cattive compagnie, prostitute, peccatori pubblici. E ci stupiamo della fine che ha fatto? Lo dicevamo noi…
Ma allora è proprio questa la famiglia che noi definiamo «sacra»?! A me sembra di scoprire una famiglia che non è «sacra» perché baciata dalla fortuna più delle altre o preservata da fatiche ed errori. Insomma, dall’impegno di affrontare responsabilmente, senza sconti né scorciatoie, il cammino della vita. È sacra perché normale, perché scommette su Dio nelle pieghe della propria storia di ogni giorno. Perché Dio ha deciso che in essa si sarebbe dovuta rispecchiare, almeno nella speranza, ognuna delle nostre famiglie, nessuna esclusa, bella o brutta che fosse. È sacra perché ci consegna la bella notizia che ogni nostra famiglia, per quello che è, per come è, contiene un frammento della santità della famiglia di Nazaret. In questo tempo ci sono grandi manovre attorno alla famiglia: la 47ª Settimana Sociale a Torino lo scorso settembre, il Pellegrinaggio delle famiglie a Roma un mese fa, il Sinodo sulla famiglia annunciato da papa Francesco per l’ottobre dell’anno prossimo, appuntamenti dove se ne discute come risorsa e impegno per la comunità ecclesiale e per quella civile. Giusto! Per ora noi ci tuffiamo nella folla attorno alla capanna di Betlemme, per augurare a tutte le famiglie «sante», complice sant’Antonio che di miracoli «familiari» ne ha fatti tanti, buon Natale!