26 Marzo 2014

Vita da fratelli

L’esistenza va avanti, non resta mai ancorata al passato. Accade anche a Palestrina, dove un gruppo di frati di diverse nazionalità, pur vivendo in un antico convento, non disdegna di abitare le frontiere dell’umano.

Convento San Francesco di Palestrina (Roma). La costruzione di chiesa e convento, ci assicurano gli storici, comincia nell’anno del Signore 1499, sotto la direzione di magister Joannes Tomasi.



Architetto e data, se non ci riportano proprio indietro al Medioevo, non di meno hanno il sapore del «tempo che fu». E perciò di un’epoca molto lontana da noi: misteriosa, percorsa da frati incappucciati, scalzi e con la pancia cinta da un cordone con tre nodi, che, fischiettando in gregoriano, sciamano furtivi per i bui chiostri. Magari pure dopo una giornata trascorsa chini su antichi manoscritti piuttosto che a chiedere la questua per i villaggi. Ma a questo punto le ipotesi sono due: o questo «relitto» di vita fratesca è arrivato tale e quale a noi, attraversando indenne i secoli, o, se ciò è vero, tutto questo non ha più alcun senso. 



È fuori tempo massimo, buono solo per la scenografia di qualche film o per alimentare il nostro incerto immaginario medievale (e quello, ancor più incerto, francescano). Perché la vita va avanti per tutti, se no si chiama in altro modo: morte. E non si attarda su tradizioni che mascherano la nostra pigrizia: quel fatidico «si è sempre fatto così» a uso e consumo di ignavi e irresponsabili, con poca voglia di mettere in gioco la propria vita.



Si rischierebbe altresì di fare torto allo stesso san Francesco, che ha inteso affidarci non un clone di se stesso, come se fosse pensabile la sua replica con la carta carbone (oggi si direbbe piuttosto con il «copia e incolla»), ma l’impegno a essere ognuno pienamente ciò che è o ciò che è chiamato a essere dal Vangelo! E se il Poverello d’Assisi, con la sua vita, ci può aiutare ad acquisire un metodo, uno stile o ad alimentare un sogno, tanto meglio. Ma solo questo, o poco più.

 

Le sette vite del convento

Avvicinarsi al portone del convento di Palestrina con questi pregiudizi e dubbi aiuta paradossalmente a misurare sin da subito la distanza tra le aspettative e, almeno in questo caso, la realtà.



Perché degli elementi classici, quelli che ti aspettavi prima di varcare la soglia d’entrata, non ne manca all’appello nessuno. C’è il bel chiostro, con colonne e archi, e l’immancabile pozzo al centro. C’è la chiesa conventuale, tappezzata d’opere d’arte, dove le immagini di san Fran­cesco e di sant’Antonio si fanno reciprocamente concorrenza, pur ammiccando sornionamente tra di loro. E c’è pure il vecchio coro ligneo dietro all’altare, imbevuto della preghiera liturgica dei frati. Anche le celle dei frati sono proprio come ce le aspettavamo: sobrie e della misura giusta, e cioè piccole piccole, ma con vista sul chiostro sottostante.



Ma, soprattutto, ci sono loro: i frati. Ben cinque, veri, con il loro ruvido saio marrone e i piedi scalzi. I loro volti, qualcuno incorniciato da una barba furbetta, tradiscono però una luce particolare e un sorriso birichino. Che non lascia presagire niente di buono: almeno il dubbio che non tutto stia lì, innocentemente spiattellato davanti ai tuoi occhi, così come te lo immaginavi poc’anzi. Perché se il «contenitore» è lo stesso, sottoposto eventualmente a qualche intervento di restyling, il «contenuto» è diverso.

Un convento francescano, o meglio la fraternità che vi alloggia dentro, è come i gatti: ha sette vite. Anche se non so esattamente qui a quale siamo arrivati…



Dal 2006 vi è una fraternità internazionale, il cui progetto di vita è stato pensato e valutato dagli stessi superiori generali. Un progetto che pone la fraternità al centro: delle cure e delle attenzioni, perché i fratelli vanno anche accarezzati, ascoltati, talvolta persino sopportati o almeno supportati. Bisogna chiedere: «Come stai?», confessa fra Jacopo, padre guardiano della comunità. Una fraternità che ha bisogno di manutenzione costante, soprattutto attraverso il capitolo conventuale, l’incontro di tutti i frati tra di loro, per condividere, programmare, raccontarsi gioie e dolori. Che è così importante da meritare una diretta via skype quella volta che fra Paul si trovava negli Stati Uniti!



Per continuare a scegliere e riscegliere e a reinventarsi l’essere fratelli! Perché in questi tempi di scarsa fraternità in giro per il mondo e nelle nostre case, la gente ha fiuto per scovarla lì dove ce n’è. E così essa diventa anche testimonianza privilegiata del Dio di Gesù Cristo, che è Dio di comunione, padre di tutti. Poi ogni frate può essere impegnato sui fronti più diversi e improbabili, valorizzando il carisma di ognuno: fra Jacopo nei campi nomadi, fra Paul sulla strada, in mezzo ai barboni di Roma con i quali ha vissuto un intero anno non tanto tempo fa, fra Giacomo, fra Arturo e fra Maurizio nelle esperienze di missione e di evangelizzazione ovunque (al tempo delle Olimpiadi persino a Londra!); tutti però ugualmente coinvolti nella testimonianza che scaturisce da fratelli che, pur nella loro fragilità e povertà, si vivono dono di Dio l’uno per l’altro!

 

Un tempo per ogni cosa

La preghiera sta a garantire che tutto ciò stia in piedi: personale o comunitaria, fatta nella propria stanza o assieme alla gente. Momenti privilegiati sono l’incontro settimanale attorno alla Parola di Dio, vissuto con chiunque vi voglia partecipare, e la giornata del venerdì, di digiuno e deserto. Nella «cassetta degli attrezzi» c’è anche la povertà, espressa sia facendosi carico di tutti i lavori casalinghi del convento, sia dedicando almeno una parte della giornata al lavoro manuale in orto, nel vigneto e nell’oliveto. Da cui i frati ricavano verdura di stagione garantita, ma anche buon vino e buon olio. Senza tv. Usando mezzi pubblici e autostop per i viaggi, rischiando anche di restare bloccati a qualche autogrill sugli Appennini in attesa di un passaggio.



Ma poi la gente vede, e si avvicina. E chiede di condividere (sono molti i frati e i religiosi che trascorrono qualche giorno al convento). Magari anche facendosi strumenti della Provvidenza, che c’è dove non c’è altro. Come Bruna, che ai Vespri conta quanti frati ci sono in chiesa per poi arrivare con il pentolone in macchina. Ma anche come gli gnocchi della Maria, che ho mangiato prima di tornarmene a casa ed erano ben più gustosi del pur buon sugo che li accompagnava.



Così sembra tutto un altro tempo. Ma è lo stesso di sempre, forse un po’ più lento e meno ansioso. Perché è il tempo di Dio e dei suoi figli.

 

 

INFO

Convento S. Francesco

via San Francesco, 49

00036 Palestrina (Roma)

 tel. 06 9538195



Se ti stai domandando che cosa il Signore desidera per te, o se ti incuriosisce la vita francescana, visita: www.vocazionefrancescana.org

Vi troverai un frate pronto ad ascoltarti e a consigliarti!

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017