Editoriali

29 Dicembre 2008 | di

Politica di Francesco Jori

Tutto cambia, niente cambia


Oggi le sigle di un tempo sono tutte scomparse, ma il personale è rimasto in larga misura pressoché lo stesso; e i partiti, senza eccezioni, si sono ridotti a espres­sione di apparati abissalmente lontani dalla vita quotidiana. È dunque pressoché inevitabile che finiscano per riprodurre i difetti dei loro predecessori, senza peraltro averne buona parte dei pregi.
Documentato da cifre sconfortanti, il problema dell’Italia è di avere una classe dirigente vecchia di età ma soprattutto di schemi: caso unico nelle democrazie occidentali. E la questione morale non riguarda solo gli episodi di corruzione, ma anche e soprattutto i costi di una politica invasiva quanto inefficiente, che ha finito per occupare le istituzioni sia a livello centrale che locale. Con conseguenze che rischiano di rivelarsi devastanti, perché così si erode sempre più la fiducia dei cittadini nella cosa pubblica; e la disaffezione è potenziale fonte di preoccupanti derive civili. Per contrastarla, sono indispensabili i partiti, ma partiti veri, radicati tra la gente, non ostinati fortilizi del potere. William Ralph Inge, ultimo decano di San Paolo a Londra e autorevole teologo anglicano, spiegava che un uomo può anche costruirsi un trono di baionette, ma non ci si può sedere sopra. Posizione decisamente scomoda perfino per i più disinvolti equilibristi della politica.


Esteri di Carmen Lasorella

Cina: quale sogno?



Intanto? È tornata la repressione. Oltre ai dossier sugli arresti illegali, sulle improvvise sparizioni di dissidenti o presunti tali, sui campi di rieducazione, di lavoro, sulle torture, sulle condanne a morte − dossier noti e dimenticati ogni volta sulle scrivanie occidentali nel nome degli interessi – la cronaca aggiorna la lista degli abusi contro i giornalisti, i religiosi, i cybernauti, mentre la cyber-polizia usa le forbici elettroniche per la censura. E il clima sconta anche un preoccupante aumento dei suicidi soprattutto di donne e giovani, le une più numerose nelle campagne, gli altri in città. Lo slogan coniato dal comitato olimpico di Pechino, quando fu costruito l’evento, recitava: «Un solo mondo, un solo sogno».
La natura del sogno, però, lascia dei dubbi.


Economia di Leonardo Becchetti

Oltre la crisi finanziaria globale


Negli ultimi anni la quota della torta di valore creato distribuita al lavoro si è ridotta del 10 per cento a favore di profitti e rendite. Poiché un’economia per funzionare ha bisogno dei consumi di tutta la popolazione, si è favorito l’indebitamento per sostenere il potere d’acquisto dei consumatori. Tra i debiti contratti troviamo i mutui subprime, concessi a clienti che volevano acquistare la prima casa ed erano sprovvisti di garanzie patrimoniali. I subprime erano fondati sulla scommessa azzardata di prezzi degli immobili in costante crescita. E su quella, ancor più errata, che, mettendone assieme una buona quantità in attività finanziarie derivate, il rischio elevato si sarebbe ridotto. Quando la bolla immobiliare scoppia, entrambi gli errori vengono a galla e un ammontare di titoli con un valore di circa 58 trilioni (migliaia di miliardi) di dollari perde metà del suo valore.
La crisi rende necessario il soccorso degli Stati alle banche per restaurare le due risorse più preziose su cui si regge il sistema: la fiducia tra le banche stesse e quella tra banche e risparmiatori. Ciò rischia di mettere in crisi il finanziamento a iniziative di benessere sociale e di lotta alla povertà. La Banca Mondiale calcola che sono necessari almeno 50 miliardi di dollari (spesi bene!) per raggiungere l’obiettivo di dimezzare la povertà mondiale entro il 2015. Dobbiamo sperare che queste risorse vengano fornite dagli Stati nazionali, ma sarà difficile. Per questo è necessario attingere ai «giacimenti di solidarietà» della società civile. Iniziative come il commercio equo e solidale, le banche e fondi etici e la microfinanza sono sempre più alimentate dalla generosità e disponibilità a pagare dei cittadini responsabili e consentono di investire molte risorse nella promozione delle pari opportunità degli «ultimi».
Uscire dalla crisi è possibile se diventiamo anche noi protagonisti attivi del mercato «votando con il nostro portafoglio» per i prodotti di quelle imprese che hanno saputo creare valore economico, sociale e ambientale invece di distruggerlo. Aiutando così imprese e istituzioni a costruire un’economia della cura e a creare valore con i valori, in modo da promuovere uno sviluppo sostenibile. Il cambiamento è possibile, anzi è già iniziato.

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017