Educare in due
«I o credo proprio di aver capito che non devo lasciar vincere il mio Giò, perché altrimenti egli non impara che nella vita ci sono limiti, regole, cui sottomettersi. A quattro anni egli è già diventato un 'piccolo dio' cui noi abbiamo obbedito, concedendogli sempre tutto. Per comodo o per impotenza, forse. Fatto è che le maestre della scuola materna sono concordi nel dirci che è un bambino intenibile, aggressivo. «Ebbene, un giorno la maestra Valeria mi ha consigliato di scegliere una situazione in cui non vinca lui: se ciò fosse successo, io avrei notato qualcosa di nuovo. Ebbene è successo! Per dargli l' ordine irremovibile ho scelto, d' accordo con mio marito, il sabato mattina, quando faccio una capatina al bar con le mie amiche. L' avevo preavvisato: 'Giò, questa volta ti pago una sola cosa: scegli bene'. Lui ha scelto il pacchetto di patatine, ma poi, subito dopo, voleva le caramelle. Quando si è accorto che il mio no era serio, ha cominciato una sceneggiata da fine del mondo. E le mie amiche: 'Ma dai! Cosa ti viene in mente? E compragli sto' pacchetto di caramelle!'. Mi vergognavo moltissimo, ma io ho resistito. «Il sabato successivo, stessa scena. Anche mio marito mi suggeriva: 'Forse non è ancora il momento... '. Ma io, per la prima volta, ero determinata. Terzo sabato: mentre andiamo al bar, con vocetta allegra: 'Adesso devo pensare che cosa mi compro, vero? Se mi compro il pacchetto di caramelle mi durano tutto il giorno, però mi piacciono di più le patatine... '. Arrivato al bar ha detto ancora: 'Ci penso un po' '. Poi, trionfante, ha detto: 'Oggi prendo le caramelle!'. Era davvero sollevato e felice. La maestra Valeria mi ha detto che lo vede più calmo... Chissà . Ma ora mi spunta una domanda: mio marito è convinto che sia la strada giusta, ma dice anche che lui non se la sente di fare come me; se, ad esempio, lui è da solo con Giò, gli concede tutto, non è capace di dirgli di no. E il bambino l' ha capito benissimo. Io apprezzo che mio marito sia così sincero con me, ma è giusto? Dice che lui con il bambino ci sta poco, dice che non vuol ripetere gli sbagli di suo padre che non gli dava mai retta... però io non ci sto a essere da sola a far la parte della dura. Non sarà che, prima o poi, Giò penserà che sia solo io la cattiva? |
Ecco la spina nel fianco di questa madre, sicuramente intelligente e attenta: non sarà solo lei a star ferma su un no? Non sarà allora, più facile al bambino «amare» il papà ? La domanda nasce forse da un angolino di paura non ancora vinta: se la mamma è serena nel dire il suo no, il bambino le sarà grato per quel no, perché si sente rassicurato e protetto; e in più, l' ordine della mamma gli permette di «immaginare» la gratificazione di poter pregustare una cosa; perfino la sua voce si fa gioiosa. Naturalmente, questo ha un costo: scegliere una cosa, vuol dire rinunciare momentaneamente alle altre. Prima, era quasi schiavo dei suoi «voglio», si sentiva una sorta di «macchina per capricci», tant' è vero che non «sostava» su nessuna cosa, avuta una, ne voleva subito un' altra.
Il bambino «che ha tutto» non è un bambino felice, guardiamolo bene: è agitato, inquieto, non sorride facilmente, non dice quasi mai «grazie», appare risentito perché non ha abbastanza (!) e gli adulti intorno a lui sono altrettanto risentiti («Ma non sei ancora contento?!»).
A dire il vero, si ottiene lo stesso strano risultato anche quando il bambino viene bombardato dai no, detti in modo ansioso e irritato; anche se di solito molti di quei no vengono stiracchiati in provvisori sì. Allora il bambino non può che aumentare il suo stile oppositivo, pare divenire allergico a ogni ordine, a ogni limitazione. Il bambino dai sì indiscriminati e il bambino dai no indiscriminati si assomigliano: ugualmente infelici e risentiti!
Per tornare al nostro racconto quadro, Giò ha fatto esperienza che un no detto con preavviso, con rispetto, ma saldo e irremovibile, lo tranquillizza e aumenta la sua capacità di godere: purché la mamma vinca la sua paura di essere «cattiva» ai suoi occhi. Il colmo dell' amore è proprio quello di accettare di essere provvisoriamente «non gradita» (non però non-amata!) per il figlio.
Il papà può defilarsi
Prima o poi, Giò ci proverà a sfidare la mamma: «Il papà è più buono di te, però!». E cosa risponderà , allora la mamma? Sarà la sua «prova del nove»: dovrà decidere se difendersi e mettersi in concorrenza con il marito, se accusare il marito presso il bambino o se «tifare» in concreto per il figlio. Se dirà - con il cuore ancor prima che con le labbra - «la mamma è proprio sicura di volerti bene ed è anche sicura che il papà te ne vuole», avrà scelto questa terza, benefica strada.
Allora il marito può ritagliarsi soltanto la parte «buonista» e farsi amare a buon mercato? Certo che no! Ma prima di aiutare i papà nel difficile mestiere di dire dei no, dobbiamo sgombrare il campo da un possibile equivoco, sempre più a portata di mano oggi: le mamme non devono istruire i papà a fare i papà , in nome di una teorica uguaglianza di conduzione familiare o di un teorico accordo da mostrare sempre al figlio per il suo bene. È proprio in forza di massicce istruzioni («Devi farti obbedire», «Devi proibirgli questo o quello», ecc.) che i papà si ritirano sul versante opposto, quello del lasciar correre. E perché mai? Lasciamo qui perdere le indagini psico-sociologiche che ci mostrano oggi un padre sempre più debole, in astinenza da autorità , insicuro e quasi «cullato» dalla sua crisi di identità come uomo; ci occupiamo piuttosto del versante interattivo, cioè del modo in cui oggi molti padri «rispondono» alle madri e le madri «rispondono» ai padri. È un circolo poco allegro: più la madre istruisce il padre a essere autorevole e più il padre si mette sulla difensiva e si ritira, e più il padre si ritira, più la madre si sente «costretta» a istruirlo su come fare il padre& come vuole lei. È questo il punto: non c' è quel modo di fare il padre che ha in mente la madre, ma ci sono i tentativi del padre di coinvolgersi nel rapporto con i figli; la madre dovrebbe guardare con simpatia simili tentativi senza voler imporre i suoi modi e i suoi tempi. Al calore di una simile accettazione, possono svanire molte nebbie che abitano nella mente dei giovani papà ; una volta un papà ci disse esattamente così: «Mia moglie non fa che urlare da mattina a sera a quel povero bambino; se non lo difendo io, chi lo difende?». E naturalmente la miglior difesa gli appariva «boicottare» tutti gli ordini della moglie! È così: se ciascuno agisce per «contrastare» l' altro, anche nella più assoluta buona fede, non fa che complicare la vita proprio al figlio che vorrebbe difendere.
Ragioni e torti dei papà
La madre di Giò, dal canto suo, ha fatto molto per mettersi in ascolto del marito: porta le sue ragioni e ciò nondimeno vorrebbe che la sua scoperta del beneficio di un no al bambino fosse condivisa anche da lui. La sua esigenza è legittima, purché, come dicevamo, non imponga i suoi tempi e i suoi modi. Prendiamo allora in considerazione le ragioni - paure - incertezze del papà di Giò. «Concedere tutto al bambino» nel poco tempo che sta con lui gli appare una sorta di compensazione: ti do poco del mio tempo, almeno te lo do senza intoppi. Non deve esserci il muro tra noi (salvo quei no che ogni papà dice per stizza, per fretta, per incoerenza, poi, nel quotidiano). Sul poco tempo da dedicare ai figli ci sarebbe molto da dire; limitiamoci a osservare che occorre un' inversione di tendenza (anche la legge permette al papà di stare a casa per sette mesi entro gli otto anni e non solo per malattia, ma per esigenze di vicinanza!) e cioè considerare che non è con il successo sul lavoro a tutti i costi che si provvede al futuro del figlio. Ma ciò che conta è soprattutto la qualità del tempo speso assieme: il bambino non ha bisogno soltanto di un compagno di giochi, ma di un padre. Un no (anche se le prime volte costerà sudore e «caduta d' immagine») entra nella qualità del tempo passato assieme, perché lo diversifica, lo scandisce; dire «non sono capace» significa elevare il proprio bambino a genitore approvante («Dimmi che sono un bravo papà !»). E questo è un bel guaio per un bambino, che avrebbe diritto di «esercitare da bambino», mentre è bambino!
Ma veniamo alla ragione che al papà di Giò appare quasi perfetta: «Non farò come mio padre che non me ne dava mai vinta una, anzi non si interessava mai veramente a me». Chiunque si pone l' obiettivo di fare l' opposto dei propri genitori (o di uno solo) è fatalmente dipendente: se mio padre andava a destra, io andrò a sinistra; già , ma il mio andare a sinistra è condizionato da lui che, appunto, andava a destra. Si sviluppa così una contro-dipendenza che non è né libera, né sana. E per giunta, prima o poi, proprio nel mio voler fare l' opposto, quando meno me l' aspetto, cadrò in qualche incoerenza; e io, poniamo, che volevo essere non violento e non autoritario, mi ritroverò, sullo stimolo dello stress o della paura, a fare proprio come mio padre, autoritario e distante. Sotto l' ombrello dell' opposizione al proprio genitore non cresce nessun nuovo padre. Piuttosto, il nuovo padre, farà i primi passi quando avrà fiducia in se stesso, cercherà che cosa veramente vuol fare e si stimerà , anche quando avrà fatto qualche errore. E, soprattutto, quando avrà fatto un bilancio sui propri genitori, trovandovi qualcosa di positivo, di degno di gratitudine. È quanto auguriamo al papà di Giò.
I nizia la collaborazione di Mariateresa Zattoni e Gilberto Gillini, consulenti pedagogici: affronteranno il rapporto genitori-figli nell' ambiente familiare. Si alterneranno con Gabriella Cappellaro che tratterà soprattutto i diritti negati ai bambini. |
LO SCAFFALE DEI BAMBINI
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