Ogni uomo è mio fratello
Il 10 dicembre 1948 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvava la «Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo», uno dei documenti più importanti nella storia dell’umanità. Da allora molto è stato fatto dai vari Stati per adeguarsi ai principi enunciati, ma ancora molto resta da fare. Basti pensare, ad esempio, alla Cina, finita sotto i riflettori per le Olimpiadi ma anche per le violazioni dei diritti umani. D’altronde la storia insegna che non è sufficiente l’affermazione di un diritto perché vi sia la garanzia che esso venga tutelato. Non è accaduto in passato e, purtroppo, non avviene neppure oggi.
Sono ancora molte, infatti, le situazioni in cui si nega il diritto alla vita, si pretende di controllare la coscienza dei cittadini e l’accesso all’informazione, si circoscrive il diritto di associazione, si impediscono un processo giudiziario pubblico e il diritto alla difesa, si reprime la dissidenza politica, si impone una politica delle nascite che esclude la volontà dei genitori, si limita indistintamente l’immigrazione, si permette il lavoro in condizioni degradanti, si accetta la discriminazione delle donne, si soffoca la libertà religiosa, non si garantiscono cibo, acqua e accesso alle cure. E l’Onu è ancora troppo debole per imporre il rispetto di questi e di altri diritti.
In questi sessant’anni non sono mancati richiami al rispetto della dignità dell’essere umano, ma non di rado dietro ad alcune voci si sono nascosti interessi di parte, interpretazioni discutibili, valutazioni politiche e non di giustizia. L’unica voce chiara, inequivocabile e senza compromessi in difesa della dignità di ogni uomo resta quella della Chiesa. In molti, del resto, ammettono che è impossibile pensare i diritti umani senza cristianesimo e che la Chiesa cattolica si è affermata quale indiscusso protagonista della lotta globale per il loro rispetto. «Del resto – spiega Lucetta Scaraffia, docente di Storia contemporanea alla Sapienza di Roma – non esistono altre tradizioni culturali e religiose che contemplino l’uguaglianza di tutti gli esseri umani. Ma riconoscere questa origine costituisce un problema perché in un mondo secolarizzato non si vuole più dire che quello che è rimasto il documento principale a cui tutti si dovrebbero rifare nasce in un contesto di pensiero cristiano».
Allo stesso modo non tutti sono disponibili ad accogliere le indicazioni che giungono dal Papa o dai suoi rappresentanti presso le organizzazioni internazionali, soprattutto quando si tratta di etica riferita ai diritti umani. Oggi, infatti, a preoccupare la Chiesa è l’atteggiamento sotteso a visioni troppo parziali ed elastiche dei diritti umani, visioni riferite a un’etica ostaggio di ideologie, enunciata a proprio uso e consumo e non priva di funambolismi verbali e giuridici. Tradendo lo spirito originario della «Dichiarazione».
Diritti umani e legge naturale
Quando, in un mondo segnato dalla catastrofe della seconda guerra mondiale, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvò il documento, il risultato fu un testo in cui convergevano tradizioni culturali diverse, ma accomunate dal desiderio di porre la persona umana al centro di istituzioni, leggi e interventi della società. Ciascun diritto proclamato nella «Dichiarazione» è frutto di un lungo percorso storico. E così come nel corso della storia il concetto e il contenuto di diritto umano si è evoluto, anche molti diritti si sono evoluti o addirittura sono nati dopo il 1948.
«Questo ampliamento, però, non è stato sempre positivo – sottolinea la Scaraffia – perché ne ha attutito la portata teorica. Sono diventati diritti umani delle condizioni umane che non sono diritti. Si pensi ai diritti riproduttivi che sono stati aggiunti negli anni ’90 e che, tra l’altro, nonostante quel termine “riproduttivi”, racchiudono il concetto di controllo delle nascite celato dietro al diritto di decidere se avere o no dei figli, ampliandosi persino al diritto al piacere sessuale. Queste sono scelte di campo morali e sociali, ma non sono dei diritti. Quando si parla di nuovi diritti bisogna stare molto attenti, dunque, perché si rischia di far passare cose che non hanno nulla a che vedere con i diritti umani».
Anche per Antonio Papisca, docente di Organizzazione e tutela internazionale dei diritti umani all’Università di Padova, «parlare di nuovi diritti, magari dimenticandosi dei principi fondamentali, può significare deriva». E ciò può avvenire anche «quando si concepiscono nuovi soggetti di diritti; quando, ad esempio, si prende la famiglia, cellula della società così come consacrata in tutti i documenti internazionali, e la si configura in maniera diversa da quella comunità micro che è formata da un uomo e da una donna. Ciò è evidente ogni qualvolta si vuole prendere questo o quel diritto umano a piacimento. I diritti umani vanno invece interpretati e realizzati in base al principio della loro interdipendenza e indivisibilità».
Il 18 aprile scorso, parlando all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, Benedetto XVI ha fatto riferimento anche al principio di universalità, sottolineandone il fondamento «nella legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo e presente nelle diverse culture e civiltà. Rimuovere i diritti umani da questo contesto – ha spiegato – significherebbe restringere il loro ambito e cedere a una concezione relativistica, secondo la quale il significato e l’interpretazione dei diritti potrebbero variare e la loro universalità verrebbe negata in nome di contesti culturali, politici, sociali e persino religiosi differenti. Non si deve tuttavia permettere che tale ampia varietà di punti di vista oscuri il fatto che non solo i diritti sono universali, ma lo è anche la persona umana, soggetto di questi diritti».
Complessità e globalizzazione
Benedetto XVI ha messo anche in guardia dal pericolo che nasce dalla convinzione che è il potere, in ultima analisi, a determinare il contenuto dei diritti dell’uomo. E in caso questo accada, si può facilmente correre il rischio di riconoscere pratiche inconciliabili con la dignità della persona.
Tale rischio, secondo Marcello Flores, docente di Storia contemporanea e Storia comparata all’Università di Siena dove dirige anche il Master in diritti umani, «è dovuto in gran parte alla complessità che la globalizzazione ha portato in tutti i campi. E al fatto che oggi ci si trova spesso a fare i conti con un possibile conflitto tra diritti e non solamente alla necessità di rafforzarne uno piuttosto che l’altro. Il tema della sicurezza, ad esempio, che oggi è al centro delle preoccupazioni di tutti i governi e che è uno dei cardini della Dichiarazione, spesso è interpretato in modo esclusivo. In Italia, legato com’è all’immigrazione, viene visto dal governo in modo così assoluto da mettere in sordina gli altri principi e diritti che dovrebbero essere riconosciuti agli immigrati. Dire, come ha fatto il sindaco di Milano, Letizia Moratti, che non si debbono accettare a scuola figli di immigrati non regolari è chiaramente in contrasto pieno con quanto affermato dalla Dichiarazione».
Ciò avviene perché si è di fronte a un paradosso: tutti riconoscono che il paradigma dei diritti umani è irrinunciabile, perché è l’unico che garantisce una comunicazione pacifica e pacificante non solo tra tutti i popoli del pianeta, ma anche tra i singoli esseri umani; tuttavia è un paradigma fragile se non ha un fondamento che lo renda credibile e capace di resistere alle manipolazioni di quanti camuffano come diritti pretese egoistiche e soggettive, tipiche delle tensioni individualistiche del nostro tempo. Bisognerebbe, come sostiene Flores, «arrivare a vedere la cultura dei diritti e la necessità dei diritti come un tutt’uno».
Nell’attesa che si giunga a ciò, la ricorrenza del sessantesimo se non altro sta riportando con forza il tema dei diritti umani nell’agenda collettiva, peraltro già intasata dai problemi legati alla crisi finanziaria. Ma in ogni discussione occorrerà ricordare, come ha affermato Benedetto XVI all’Onu, che il rispetto dei diritti e le garanzie che ne conseguono sono «misure del bene comune che servono a valutare il rapporto fra giustizia e ingiustizia, sviluppo e povertà, sicurezza e conflitto». E per questo «la promozione dei diritti umani rimane la strategia più efficace per eliminare le disuguaglianze fra Paesi e gruppi sociali, come pure per un aumento della sicurezza».
Zoom. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo
Articolo 1
Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti.
Essi sono dotati di ragione di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.
Articolo 2
Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. (…)
Articolo 3
Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona.
Articolo 4
Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù. (…)
Articolo 5
Nessun individuo potrà essere sottoposto a trattamento o punizioni crudeli, inumani o degradanti.
Articolo 6
Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica.
Articolo 7
Tutti sono eguali dinanzi alla legge. (…)
Articolo 9
Nessun individuo potrà essere arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato.
Articolo 12
Nessun individuo potrà essere sottoposto a interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, nè a lesioni del suo onore e della sua reputazione. (…)
Articolo 13
Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato.
Articolo 14
Ogni individuo ha diritto di cercare e di godere in altri Paesi asilo dalle persecuzioni. (…)
Articolo 16
1. Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione. Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio. (...)
2. Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi.
3. La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto a essere protetta dalla società e dallo Stato.
Articolo 18
Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione. (…)
Articolo 19
Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione. (…)
Articolo 21
Ogni individuo ha diritto di partecipare al governo del proprio Paese, sia direttamente, sia attraverso rappresentanti liberamente scelti. (…)
Articolo 23
Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro e alla protezione contro la disoccupazione. (…)
Articolo 24
Ogni individuo ha il diritto al riposo e allo svago, comprendendo in ciò una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche retribuite.
Articolo 25
Ogni individuo ha il diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il
benessere proprio e della sua famiglia. (…)
Articolo 26
Ogni individuo ha diritto all’istruzione. (…)
Il testo completo sul sito: www.unhchr.ch/udhr/lang/itn.htm
Sant’Antonio e i diritti umani
Restituire dignità, diritti in azione
Ai tempi di sant’Antonio non si parlava certo di diritti umani; nonostante questo egli
ne proclamò e difese la sostanza.
Nel 1995 ricorreva l’VIII centenario della nascita di Antonio di Padova. Proprio in quell’occasione il professor Antonio Papisca, riconosciuto esperto di diritto internazionale, definì sant’Antonio uno dei più grandi difensori dei diritti umani (human rights defender) della storia. A prima vista, la cosa può apparire strana, se non altro per il fatto che nel XIII secolo – ricordiamo che sant’Antonio visse tra il 1195 e il 1231 – l’espressione diritti umani non era ancora stata coniata, né vi era una consapevolezza condivisa di quei diritti che noi oggi riteniamo abbiano valore universale. Se pure la parola diritto riferita all’umano, concretamente alla persona, non appartiene al vocabolario del Santo di Padova, non si può negare d’altra parte che la sostanza dei diritti umani abbia coinvolto e appassionato la vita di Antonio. In che senso? Basta leggere un breve testo della leggenda Assidua (1232), una tra le prime e più attendibili testimonianze sulla vita del Santo, per incontrare una personalità virile che aveva fatto della dignità dell’uomo, della riconciliazione tra gli uomini, del ristabilimento della giustizia, una causa santa. «Riconduceva a pace fraterna i discordi; ridava libertà ai detenuti; faceva restituire ciò che era stato rapito con l’usura o la violenza; si giunse a tanto che, ipotecate case e terreni, se ne poneva il prezzo ai piedi del Santo, e su consiglio di lui quanto con le buone o con le cattive era stato tolto, veniva restituito ai derubati. Liberava le prostitute dal turpe mercato, e ladri famosi per misfatti tratteneva dal mettere le unghie sulle cose altrui» (13,11).
Questo squarcio luminoso, che certamente è anche dovuto al genere letterario di una narrazione generosa, ha però i piedi ben piantati nella storia, nel senso che sono facilmente individuabili nella vita di Antonio, tra molti, due episodi indubitabili di grande valenza sociale, per i quali la comunità civile e politica di Padova gli attribuì il titolo di padre e difensore della città. Brevemente: egli intervenne affinché chi, nel comune di Padova, era debitore insolvente, non fosse incarcerato, cosa che rendeva ancor più difficile la restituzione di quanto dovuto; si recò inoltre a Verona, alla corte di Ezzelino, per chiedere la liberazione dei prigionieri guelfi che languivano nelle segrete del tiranno.
Anche la strenua lotta contro l’usura fa risaltare la restituzione di dignità nei confronti di coloro che si trovavano spesso impigliati nella rete di violenze e rappresaglie a motivo di prestiti di denaro. Gli strozzini, a quel tempo, rappresentavano un problema diffuso e grave, e il loro successo come la loro impunità erano dovuti a carenza di salde strutture politiche e a una litigiosità civile spesso esasperata.
A prevalere, insomma, era la legge del più forte, del ricco sul povero, del potente sul debole.
Interessante è capire quale sia la motivazione profonda di un comportamento così radicale e socialmente schierato da parte di sant’Antonio.
Non certo una visione ideologica o di parte della realtà, ma piuttosto una nitida e liberante prospettiva evangelica, in grado di rivelarsi anche come forza critica nei confronti di ogni autorità e istituzione umana che non si dimostrasse a servizio dell’uomo.
Il francescano portoghese esprime il suo zelo per la legge divina anche quando, attraverso questa, mette in luce i rischi e le ambiguità delle leggi umane, troppo spesso piegate agli interessi dei potenti e dei furbi. «Di fronte all’insufficienza della normatività umana, esteriore e procedurale – sintetizza padre Antonino Poppi –, il dottore francescano chiede un inveramento delle leggi umane nella legge di Dio e una profonda conversione del cuore per accogliere la nuova giustizia del regno».
Lontani nel tempo dalle solenni proclamazioni dei diritti umani dell’epoca moderna, siamo però di fronte a un riconoscimento dei diritti dell’uomo, soprattutto il più indifeso, a partire dal Vangelo. Un riconoscimento mobilitante e creativo.
padre Ugo Sartorio