Cattivi allievi o cattivi maestri?

11 Maggio 2001 | di

Rita domanda
Dove sono i maestri?

Mi chiamo Rita, ho 26 anni e sono prossima alla laurea. Colgo l' appello «di battere un colpo» lanciato dal vostro giornale, perché ci tengo a dirvi che di domande noi giovani ce ne facciamo, e molte. Ma forse gli adulti non sanno risponderci.
Molti professori all' università  ci dicono che ormai i principi morali non esistono più, che dobbiamo essere noi - cito testualmente - «a interpretare ermeneuticamente la realtà  e ad agire di conseguenza». E guai a rivolgerci alla morale cristiana: è anacronistica, non può più dire nulla all' uomo moderno sui suoi problemi. La domanda allora mi sorge spontanea: «Signore da chi andremo? Chi illuminerà  il nostro cammino?».
Sarà  testardaggine o pazzia, ma io mi ostino ancora a voler interpretare e vivere la mia vita secondo quei principi. Un po' perché sono stata educata a rispettarli. Un po' perché vedo e leggo le esperienze di tanti uomini e donne che con le loro opere testimoniano la fede in quei valori. Persone semplici, spesso non considerate da alcuni (anche da docenti universitari!) ma che sono diventati per me modelli di vita: madre Teresa di Calcutta, don Milani, don Ciotti, don Mazzi, Ernesto Olivero del Sermig e tanti altri.
Inutile dire che tentare di vivere secondo la morale cristiana non è per niente facile. I dubbi attanagliano il cervello e spesso subentra lo sconforto perché, dinanzi a certi miei quesiti, molti, soprattutto adulti, rispondono con un laconico «boh!».
Sono figlia di operai, vissuta nella periferia degradata di Napoli. Come tanti altri miei coetanei, mi sono mantenuta agli studi andando a lavorare anche in altre regioni. Tra alcuni mesi dovrei essere laureata e il fantasma della disoccupazione mi terrorizza. Intanto da circa una anno e mezzo sono fidanzata con un ragazzo veneto di 32 anni. Insieme condividiamo l' ideale del matrimonio e della famiglia. Per realizzarlo dovrò fare molti passi, tra cui trasferirmi, lasciare la mia terra, trovarmi un lavoro. Di fronte a tutti questi bivi della mia vita, non immaginate quante domande mi faccio e quanto mi piacerebbe scambiare con una persona di esperienza un dialogo duro e sensato invece di dovermi accontentare di un silenzio insensato e permissivo.                                                                                                                      

Monsignor Giovanni Nervo* risponde
Imparate a cercarli. Sono pochi, ma ci sono

Cara Rita, riempie il cuore di speranza il modo e il coraggio con cui lei sta affrontando la vita.
Lei giustamente lamenta che i suoi professori non danno risposta ai problemi più profondi dei giovani e le risposte che danno disorientano ancora di più.
La ragione è che spesso hanno perduto loro stessi il punto di orientamento nella vita. È significativo che le dicano «che dobbiamo essere noi a interpretare ermeneuticamente la realtà  e ad agire di conseguenza». Ciò vuol dire trovarsi in mezzo alla foresta e aver perduta o guastata la bussola.
Ben diversa era l' idea che san Tommaso aveva del maestro e del suo rapporto con il discepolo. «Il maestro - egli diceva - è colui che aiuta il discepolo a far passare dalla potenza all' atto (cioè dal seme alla pianta, dal bocciolo al fiore) quelle conoscenze e quelle virtù che nel discepolo sono in potenza (in bocciolo) e nel maestro sono in atto (il fiore).
Giustamente lei si pone la domanda: «Signore da chi andremo?».
Lei ricorda forse che papa Giovanni scriveva il diario: è stato pubblicato con il titolo Il giornale dell' anima. Ci si può chiedere: perché quest' uomo scriveva il diario? Lo dice lui stesso: per essere più attento a cogliere i messaggi che il Signore gli mandava attraverso la sua parola, le ispirazioni interiori (l' azione dello Spirito Santo) e i fatti della vita, ed essere più pronto a rispondere con fedeltà . Ecco da chi andremo: dal maestro interiore, che è sempre presente nella nostra vita. Non so se lei ha mai pensato a una cosa molto semplice ma che a me sembra importante. Da quando Dio ha creato il mondo non ne ha fatto una eguale a lei (è veramente Dio che l' ha fatta: è vero che l' hanno fatta i suoi genitori, ma loro sono stati collaboratori del Creatore), e fino alla fine del mondo non ne farà  una eguale a lei. Che cosa vuol dire? Che Dio ha pensato a lei. Che l' ha voluta, che l' ama personalmente, che ha un progetto di amore per la sua vita. Questa è la bussola, che purtroppo molti «maestri» hanno perduto. Lei trova forza e coraggio in alcuni modelli: grazie a Dio ci sono. Ma anche lei può diventare modello che dà  coraggio ad altri giovani, anche senza rendersene conto.
Lei sta pensando a formarsi una famiglia. Il Concilio ci ha ricordato che i genitori sono i primi e i principali maestri dei loro figli, anche nella fede: ciò significa che tutti gli altri vengono dopo, sono integranti, di sostegno.
Lei viene da una famiglia semplice, ma quello che i suoi genitori hanno seminato nel suo cuore è oggi orientamento per la sua vita; non avevano la conoscenza e il prestigio sociale dei suoi professori universitari, ma avevano la sapienza del cuore. Non lo dimentichi nella futura esperienza della sua famiglia.

Approfitto della sua lettera per parlare più in generale della necessità  di punti di riferimento, sentita da tutti i giovani. I ragazzi, da sempre, avvertono la necessità  di confrontarsi, magari in modo critico e polemico, per maturare. Tutti cercano figure di riferimento, guide, che io preferirei non chiamare «maestri» perché ritengo molto vero quello che disse Paolo VI: «Gli uomini di oggi sono più disposti ad ascoltare testimoni che maestri e se ascoltano maestri, li ascoltano perché sono testimoni».
Ma dove trovare questi testimoni? Ci possono essere dappertutto, non sono propri di una categoria. Lei ne ha citati alcuni, madre Teresa, don Ciotti, don Milani, io potrei citarne altri: La Pira, Lazzati..., ma sicuramente ne dimenticheremmo molti altri. Gli stessi esempi che abbiamo citato ci spingono a capire che c' è solo un modo d' individuare i veri testimoni: guardare la vita, i gesti, le scelte, più che le parole.
Lo stesso criterio vale per individuare i falsi maestri: la vita smaschera chiunque. Un vero maestro non teme d' insegnare il senso critico, la capacità  di non farsi manipolare, il coraggio delle proprie convinzioni.
I giovani sono bombardati fin da bambini da messaggi devianti, da falsi modelli propinati soprattutto dalla televisione. Bisogna aiutarli a scoprire i burattinai che stanno dietro le quinte: il denaro, il mercato, il profitto li caricano di bisogni indotti e di prodotti superflui.
Ma i falsi maestri ci sono anche quando, più grandi, i ragazzi incontrano la politica. Gli stessi che arringano e promettono, specie in tempo di elezioni, devono passare al vaglio della coscienza critica dei giovani. E lo strumento di verifica è sempre lo stesso: la vita personale degli uomini politici, soprattutto in famiglia e negli affari. Ogni parola ha un peso che va verificato.
Ovviamente nessuna guida è sufficiente. La guida facilita il passaggio alla maturità , ma nulla impone, nulla toglie alla libertà . Ognuno deve fare la propria strada, cioè assumere personalmente la responsabilità  della propria vita. Questo è il vero senso della libertà : la possibilità  di assumere la responsabilità  delle proprie scelte, di fare le proprie esperienze. È stato detto che l' esperienza è una fila di cantonate che non si può lasciare in eredità . Sbagliano i genitori che pensano di fare loro le scelte per i propri figli: sono degli illusi, che poi rimarranno delusi perché i figli vorranno andare per la propria strada.
Ma è anche vero che quando si percorre una strada che non si conosce, si ha bisogno di punti di riferimento; se poi la strada è un sentiero di alta montagna, è sempre prudente affidarsi a una guida.
Una volta «la guida» si chiamava «direttore spirituale». Il termine «direttore» è equivoco, e oggi è giustamente male accettato. Ma la figura della guida alpina andrebbe bene e forse i giovani l' accetterebbero, anzi la cercherebbero.
Il guaio è che oggi le guide si trovano con più difficoltà  rispetto al passato per molte ragioni: si corre tutti così in fretta, che non si trova chi abbia tempo di ascoltare; la rapida evoluzione della società  aumenta le distanze tra le generazioni e quindi le difficoltà  del dialogo e della reciproca comprensione; viene da qui la difficoltà  da parte di chi dovrebbe far da punto di riferimento e da guida per i giovani ad avere comprensione e fiducia verso di loro.
Ma chi trova una guida, trova amore incondizionato. Un giovane può credere in un testimone e amarlo soltanto se si sente riconosciuto, apprezzato, stimato e amato. Allo stesso modo, gli adulti (genitori ed educatori) dovrebbero preoccuparsi di essere veramente testimoni autentici, coerenti e credibili per poter essere creduti e amati.
Sarebbe utile, e forse anche doveroso, sentire che cosa pensano i giovani su questi temi: forse abbiamo qualche cosa da imparare anche noi che non siamo più giovani.

*Monsignor Giovanni Nervo, già  segretario nazionale della Caritas italiana.

«Gli uomini di oggi sono più disposti ad ascoltare testimoni che maestri e se ascoltano maestri, li ascoltano perché sono testimoni».

   
 

 

   

 

   

Giovani e adulti: prove di dialogo
C  ARO PROF, ECCO COME TI VORREI di   Giulia Cananzi
R        ita nella sua lettera fa esplicito riferimento ai suoi professori universitari. Ne denuncia l' incapacità  di dialogo e la scarsa disponibilità  ad assumersi una funzione educativa. Mi è venuto il ghiribizzo di verificare se l' incomunicabilità  è una costante del nostro sistema formativo superiore e, soprattutto, se il rifiuto del ruolo educativo è dovuto a un' esigenza dei ragazzi o a una mancanza dei professori. Nella ricerca   Giovani e generazioni                  di P. Donati e I. Colozzi (Il Mulino), alcuni dati raccolti tra studenti delle medie superiori e dell' università , catturano l' attenzione. «Alla domanda su quanti insegnanti stimolassero gli studenti a riflettere sul loro ruolo nella società  e li educassero ad affrontare le problematiche della vita, ben il 23,8 per cento ha risposto che non ve ne sono, il 14,3 per cento che ce n' è soltanto uno, il 48,1 per cento che ve ne sono alcuni e soltanto il 13,8 per cento che tutti gli insegnanti sono capaci di attivare questo tipo di dialogo educativo». Insomma i «maestri a tutto tondo» sembrerebbero mosche bianche. Eppure - valli a capire i ragazzi - la maggior parte degli intervistati si dice soddisfatto o abbastanza soddisfatto dell' esperienza scolastica. Gli insoddisfatti irriducibili sono uno sparuto 4,6 per cento. Se però non ci si ferma alle apparenze e si scava un po' più a fondo, si trova una differenza marcata tra l' esperienza della scuola superiore e quella dell' università .
           Il 52 per cento degli studenti della scuola superiore la reputa capace di aiutare il proprio processo di maturazione. Ma il dato più significativo sta nel fatto che tanto più alta è la capacità  degli insegnanti di stimolare la riflessione e il dialogo con gli studenti, tanto più i ragazzi si dicono soddisfatti dell' esperienza scolastica. Dunque l' essere accettati, aiutati, consigliati fa la differenza e diventa un valore sostanziale anche per l' apprendimento. Tutto sommato, nonostante le critiche e le lacune, la scuola superiore si dimostra alla prova dei fatti ancora un luogo di crescita e di dialogo, riconosciuto dai ragazzi.
           All' università  i rapporti cambiano. Qui, più che le relazioni interpersonali con gli insegnanti e con gli altri studenti conta l' apprendimento in vista della professione. La difficoltà  di comunicazione è dovuta anche alla struttura dell' organizzazione universitaria, con orari spezzettati, classi affollate e sempre diverse, compagni che cambiano di continuo. Ma il raffreddamento dei rapporti è dovuto anche al senso di distanza che molti professori impongono. L' esperienza universitaria è quindi più solitaria e individuale. Nonostante ciò, il grado di soddisfazione è complessivamente buono.
            Eppure, contrariamente a quanto si crede, l' isolamento, l' individualismo e l' incomunicabilità  sono più subìti che voluti. Lo dimostra il fatto che sorprendentemente riappare tra gli universitari la stessa equazione evidenziata tra gli studenti superiori: più gli insegnanti svolgono una funzione educativa e sono aperti al dialogo, più i giovani sono soddisfatti dell' università . A  riprova di questa verità  c' è un altro dato: «uno studente su quattro - scrivono gli autori nella ricerca - dichiara che l' esperienza universitaria non insegna nulla e questo dato è più presente tra chi non ha trovato docenti in grado di stimolare una riflessione sul proprio futuro e sui progetti di vita».
      Rimane un dubbio, anzi una serie di dubbi: che non sia il caso di ripensare al ruolo educativo della       formazione superiore nel nostro paese? Per chi è questa università ? L' aspetto tecnico può sopperire da solo all' aspetto umano? E voi ragazzi che cosa vi aspettate da un insegnante? Quelli che avete incontrato vi hanno deluso o vi hanno aiutato? Aspetto, manco a dirsi, le vostre risposte.
S    ei d' accordo con Rita? Senti anche tu la necessità  di confrontarti con persone di esperienza ma non riesci a trovarle? Credi sia meglio che ognuno si cerchi la strada da sé o pensi che oggi, con la scusa della libertà , i più furbi manipolino sottobanco i più deboli? Chi è per te un maestro?      

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«GIOVANI-ADULTI: PROVE DI DIALOGO»
Messaggero di sant' Antonio
via Orto Botanico, 11
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Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017