Minoranze inconsapevoli?
Milano. Pochi ma buoni, si diceva una volta. Ma forse era solo la magra consolazione dei perdenti. E se invece, oggi, essere minoranza fosse una risorsa? Per i cristiani, s' intende: adesso che la fine del cattolicesimo di massa li ha ricacciati - volenti o nolenti - in un' atmosfera di catacombe socio-politiche, e di lì potrebbero evangelicamente rifiorire come nei primi secoli.
Forse non è Milano il posto giusto per fare il test: qui la religione del «successo», anche contabile, ha tuttora moltissimi cultori e il lombardo - persona pratica - preferisce essere confortato dal consenso. Anche in chiesa. Non per nulla, monsignor Luigi Manganini, vicario episcopale per l' evangelizzazione nell' arcidiocesi ambrosiana, ha messo nero su bianco quest' affermazione: «È raro trovare comunità dove l' immagine della parrocchia composta in maggioranza da credenti è intelligentemente e coerentemente messa da parte».
Che cosa? La pratica del precetto festivo naviga ormai su livelli da 20 per cento, i matrimoni religiosi in città nel 2000 sono calati di un quarto, la fede - soprattutto - ha sempre meno da interloquire con la vita degli indaffarati e individualisti milanesi: e c' è ancora qualche cristiano, qualche prete, che s' illude? Monsignor Manganini stempera: «Beh, la maggioranza dei parroci sa bene quant' è cambiata la mentalità della sua gente e si rende conto della schizofrenia che corre tra i pochi gesti religiosi ancora praticati e la coerenza evangelica dei più. Però, da lì a tentare un tipo diverso di pastorale, magari centrata su chi in chiesa non viene mai, ce ne vuole... I cristiani consapevoli sono pochi e per di più generosamente affannati nella gestione della loro comunità ; poco capaci di proposte verso il grande mondo dei «lontani». Pur vedendo che certi metodi non funzionano, ci si accontenta di governare la routine con dignità : amministrare i sacramenti, organizzare il catechismo, animare i gruppi. È un' immagine un po' statica di Chiesa. Non siamo ancora usciti dalla mentalità di maggioranza, ci illudiamo che la crisi sia solo momentanea».
Parole grosse. La religione «tira» ancora, e abbaglia: di gente che va in chiesa ce n' è, vuol dire che non siamo poi così male, no? E invece - è l' opinione di Manganini - «non è più possibile praticare la pastorale del tutti, tutto e subito. La proposta cristiana va seminata ad ampio spettro, ma poi i percorsi personali sono tortuosi: chi va in crisi, chi molla tutto, chi ricomincia a 40 anni... Non basta offrire il corso standard di «catechesi per gli adulti»: bisogna accompagnare le persone così come sono. Tener buone le poche proposte di evangelizzazione che ancora risultano popolari, ma in più accettare risposte diversificate, quasi individuali. Vedo già alcune iniziative in questo senso: per esempio, parrocchie dove la prima comunione non è più celebrata in massa, bensì 'a scaglioni', quando ogni piccolo gruppo è pronto, e abolendo la festa unica».
Rozzano, hinterland milanese. Qualcosa del genere si sperimenta a San Biagio di Rozzano, immediato hinterland milanese, dove don Stefano Gastaldi è parroco da quasi due anni. Lui ha presentato un progetto in cui la prima comunione arriva dopo quattro anni di preparazione. E ha proposto, nel pomeriggio della domenica, un' assemblea di preghiera destinata ai «lontani» che a messa non ci verrebbero mai (o non verrebbero ancora) e tuttavia dimostrano interesse per conoscere il Dio cristiano attraverso la Bibbia. La Curia sta valutando; don Stefano dipana le sue ragioni: «Non si può proporre la messa subito a tutti: il rito dovrebbe essere un punto d' arrivo, anche per i credenti, invece è tutto quello che ci è rimasto. Del resto, persino nel Vangelo ci sono i discepoli e i simpatizzanti; c' è la moltiplicazione dei pani per tutti e l' eucarestia solo per gli apostoli...».
È dunque questa la «pastorale di minoranza», che si gioca soprattutto in periferia? Don Gastaldi allunga la metafora: «Magari fossimo convinti di essere minoranza... Di fatto non abbiamo ancora una strategia d' attacco missionario, giochiamo a difendere lo 0-0. Gran parte del nostro lavoro è rispondere alla domanda di sacramenti. Siamo schiacciati dallo sforzo per tenere in equilibrio la struttura, tuttora faraonica, e non abbiamo più tempo per rilanciare una comunità cristiana ormai in crisi». Però non facciamo portare la croce solo al clero: anche ai preti non sentirsi più il «centro del villaggio» può riuscire deprimente... «Certo. Ma vorrei che si avesse il coraggio di stilare una classifica di priorità . Per esempio: se all' oratorio non c' è la squadra di calcio, o il bar, non muore nessuno; il problema - in parrocchia - è che ci sia l' essenziale».
Cinisello Balsamo. A volte basta cominciare da un' umanità più amichevole, da rapporti più cordiali. Don Armando Cattaneo, già direttore della radio diocesana, si ritrova parroco alla Sacra Famiglia di Cinisello Balsamo: 13 mila abitanti, 4 mila 500 famiglie, tutte giovani, pochissimi negozi; il classico quartiere-dormitorio dove «il primo problema è il contatto». «Andare a benedire le case per Natale? Qui non è possibile, la gente non c' è mai. E allora abbiamo scelto un gruppo di persone capaci di buon vicinato - 52 coppie, a ognuna delle quali sono affidate 80 famiglie - e le case le facciamo visitare a loro. Vanno quando possono; a Pasqua, per esempio, portano il ramo d' ulivo che è un simbolo ben accetto anche ai non credenti, a settembre si presentano per la ripresa dopo le ferie, a Natale spiegano al capofamiglia come lui stesso può benedire i suoi cari (e magari l' anno dopo toccherà alla moglie)... I preti intervengono solo dove occorre davvero la loro presenza».
Insomma, avete «copiato» i Testimoni di Geova...! O il Vangelo: quando Gesù manda i discepoli a due a due...
«Anche per i fidanzati, invece di proporre il solito corso di poche serate, vorremmo tentare l' affiancamento di ogni coppia a una famiglia cristiana matura; una sorta di padrinato spirituale. Insomma, il succo è rendersi conto che - se tante attività classiche non fanno più presa - non sempre è colpa della gente. Non mettere mai in discussione i propri metodi pastorali risulta sterile. Siamo minoranza, però non abbiamo complessi d' inferiorità nei confronti della maggioranza, né vogliamo chiuderci nella cittadella un po' fondamentalista degli 'eletti', sotto la sindrome dell' assedio». .