L’altro pallone

Disciplinato in campo, animatore di tante iniziative a favore dei meno fortunati, il centrocampista della Roma è un campione fuori dagli schemi. E un esempio per i giovani.
12 Aprile 2001 | di

Se gli tirano una gomitata sul volto non reagisce, perché «sarebbe solo un cattivo esempio sommato a un cattivo esempio». Non protesta e rimprovera i tifosi della curva che inveiscono contro un avversario troppo irruente e non è tenero neppure con il capitano della sua squadra che si fa espellere litigando con l' arbitro. Per lui non ci sono moviole, la partita finisce sul campo e comunque è soltanto un gioco. Damiano Tommasi, 26 anni, centrocampista della Roma, è un campione fuori dagli schemi, tanto da affermare: «Non sarò io a cambiare il calcio. E di sicuro il calcio non cambierà  me». E c' è da credergli, visto che per lui il calcio non è tutto, ci sono cose più importanti per le quali spendersi. Non per caso, gli hanno assegnato il premio «L' altropallone 2000», una sorta di «pallone d' oro» della solidarietà .
Quando lo intervistiamo, è appena tornato dal carcere di Regina Coeli, dove ha incontrato i detenuti. Ma per lui - primo obiettore di coscienza tra i calciatori - è normale. È stata sua l' idea di utilizzare le multe interne della Roma per costruire un campo di calcio per i bambini di Stubbla, in Kosovo, così come quella di chiedere ai compagni di squadra e ai dirigenti di non scambiarsi regali a Natale, ma di dare quei soldi a due associazioni contro la leucemia. Per queste iniziative trova sempre tempo, come per gli incontri con i giovani, nelle parrocchie. Lo faceva a Verona, dove giocava in precedenza (è nato a Sant' Anna d' Alfaedo), lo fa da cinque anni nella capitale, consapevole che la fede va sempre testimoniata. Sa che sentire un calciatore parlare di Cristo, di solidarietà , e non solo di pallone, può lasciare il segno in tanti ragazzi.

Msa. Quando incontri i giovani, nelle parrocchie, che cosa racconti loro?
Tommasi.
Racconto la mia esperienza. Essere prima di tutto marito e padre, che di lavoro fa il calciatore. Già  presentare le cose in quest' ordine fa capire come la penso. Parlo della mia esperienza di obiettore di coscienza nella Caritas, una scelta nata in famiglia e alimentata dalle mie convinzioni religiose. Parlo di quello in cui credo e dei valori che cerco di seguire, che sono i valori del Vangelo. Poi, indirizzo il discorso sulla famiglia, nonché sul mio essere persona che fa parte di una società  e che quindi ha dei diritti e dei doveri, anche nei comportamenti. Il fatto che faccio un lavoro che mi pone dall' altra parte delle telecamere mi dà  ancora maggior responsabilità , sia in campo sia fuori. Per questo, cerco di evidenziare sempre gli atteggiamenti positivi.

Anche questo, quindi, significa per te essere un professionista in un mondo come quello del calcio?
Certo. Il fatto che molta gente, soprattutto giovani, ci osservi e in qualche modo cerchi di imitarci è un aspetto importante, da non sottovalutare. L' interesse che c' è attorno a noi ha un motivo e lo dobbiamo avvertire. Con tutti dovremmo comportarci al meglio, in ogni circostanza. È chiaro che poi ognuno trasmette ciò che è: non bisogna inventare o fingere. Però sicuramente anche noi calciatori dovremmo allenarci per cambiare certi nostri comportamenti; dovremmo allenarci a non reagire, a non insultare, ad accettare certe decisioni.

Pare di capire che personalmente non credi che tra i tuoi colleghi ci sia questa consapevolezza, questo senso di responsabilità .
Ce n' è poco, e non solo da parte di chi gioca a calcio, ma anche in chi sta intorno, commentatori, giornalisti. Descrivere una partita come una battaglia, l' avversario come un nemico, l' errore di un giocatore e, ancor di più, di un arbitro come la fine del mondo, una partita vinta come il traguardo massimo, è un esasperare l' evento e gli animi. Probabilmente pensando solo al nostro mondo ciò può far bene, perché attira attenzione sull' ambiente, fa circolare più soldi e c' è lavoro per tutti, però penso che dovremmo guardare ad altre cose per riuscire a riportare il calcio al suo posto, quello di sport.

Dopo l' ennesima giornata di violenze e di imbecillità , con gli odiosi cori razzisti, scrivesti un articolo nel quale affermavi: «Mi vergogno di questo calcio». Ma che cosa non ti piace? Che cosa cambieresti?
C' è troppa esasperazione anche da parte nostra. A volte mi vergogno del mio mestiere, cioè di essere protagonista, anche se indiretto, di certi episodi. Penso che il calcio sarà  costretto a cambiare, perché esasperando il risultato, gli obiettivi, rischia di snaturarsi. È un po' come per la «mucca pazza»: quando si vuole tutto e subito, sovvertendo le regole, la natura si vendica e poi rimette a posto le cose a modo suo. Penso che nel calcio sarà  lo stesso: sarà  il mercato a riportare le cose secondo le regole prestabilite. Almeno lo spero. Come ha detto Zeman, lanciando l' allarme doping, se vuole rimanere in piedi, il calcio deve tornare a far rivivere le passioni che c' erano quando non vi era tutta questa esasperazione del risultato.

Nell' ambiente ormai sei noto per essere uno impegnato nel sociale, che crede e che si rifà  a certi valori. Durante la guerra in ex Jugoslavia, tua - con l' associazione degli obiettori non violenti - è stata anche l' iniziativa di far scendere in campo, a Bari, la Roma con una maglietta con la scritta «Stop the war». Ma come ti vedono i colleghi?
Mi rispettano, ed è la cosa più importante, e qualcuno mi stima anche. Non ho nessun tipo di problema. Il fatto stesso che il mio modo di essere in qualche modo li interroga, è importante. Certo, non pretendo di cambiare gli altri, ma se la mia testimonianza può servire, sono contento.

Dal tuo sponsor personale non prendi soldi, ma solo materiale tecnico. Perché?
Sono stato io a chiederlo. Io fornisco nomi di istituti o scuole calcio, magari di quartieri che non hanno possibilità  di fare spese per attrezzature sportive, e loro inviano quanto occorre. Lo farò presto anche per i ragazzi del Kosovo.

Tu hai due figlie, Beatrice e Camilla. Come ti vedi come genitore?
A me piacciono i genitori che indirizzano i figli su alcuni modelli da seguire. Mi affascina l idea di un genitore che racconta la storia di un personaggio che lo ha colpito, che ha lasciato un segno nella sua vita.

Ora le tue bimbe sono ancora piccine, ma quando saranno cresciute quale storia racconterai loro?
Non so, magari quando cresceranno seguiranno le mode dell' epoca. Ma certo racconterò le storie di personaggi che hanno lasciato un segno in me, a partire da Gesù. Poi penso a madre Teresa di Calcutta, a don Milani, a Martin Luther King, a Gandhi. Oltre che con questi, io sono cresciuto anche leggendo Herman Hesse, ad esempio, e ascoltando la musica e le canzoni di Bob Marley e di Francesco Guccini.

Insomma, come dire, dal Vangelo a Siddharta, passando per Dio è morto&
Sostanzialmente sì. C' è un comune denominatore. Stiamo parlando di persone vere, che hanno lasciato qualcosa, che possono aiutare a crescere. Penso spesso a Dostojevskij, che divideva le persone in quelle che vivono per il presente, la maggior parte, e quelle, una minoranza, che vivono per il futuro, che vengono contrastate nella loro epoca perché stanno cinquant' anni avanti, sanno già  come andrà  a finire e cercano di prevenire. Sono queste che mi colpiscono.

E tu come lo pensi il tuo futuro?
Non ho l' abitudine di pensare al mio futuro. Mi piace cercare di essere presente il più possibile nel momento che vivo. Invece, mi piace molto ricordare, ma senza nostalgia, perché ho avuto un passato felice. Il futuro? C' è già  chi pensa al mio futuro. Mi affido a Lui.

Che posto ha la fede nella tua vita?
È prima di tutto. È il rapporto che una persona ha con Dio, con ciò che è intangibile, ma che c' è e che tutti sentono in qualche modo presente. Chi non lo sente è solo perché tenta in tutti i modi di sfuggire. Non mi è mai capitato di discutere con una persona che non crede perché realmente convinta di non credere.

   
   
D               amiano Tommasi è nato a Sant' Anna d' Alfaedo (Verona) il 17 maggio 1974. Da cinque stagioni indossa la maglia giallorossa della Roma. In precedenza aveva giocato quattro campionati in B con il Verona. Con la squadra veneta si è guadagnato un posto nella Nazionale Under 21. Chiamato dai commissari tecnici Sacchi, Zoff e Trapattoni, ha vestito anche l' azzurro della Nazionale maggiore. Tommasi è diventato un idolo della curva, nonché uno dei pilastri della squadra. Damiano è sposato con Chiara - un amore sbocciato e maturato in parrocchia - e ha due figlie, Beatrice e Camilla.
Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017