Il buon seme e i cattivi terreni
Perché Gesù parlava in parabole? Se il seminatore è Dio e il seme la sua Parola perché il raccolto non sembra adeguato? Che vuol dire per noi questa parabola.
PARABOLA Racconto (dal greco parabolé: paragone) che trasmette in forma narrativa e simbolica insegnamenti religiosi e morali. Nei Vangeli è la forma privilegiata con cui Gesù comunica il suo insegnamento.
di Giovanni Gennari
Dalla vita
Noi, terra seminata
Parabola? Forse non è solo una bizzarria. Parabola: come quella che via satellite ci porta in casa il mondo, dal cielo... Da poco abbiamo cantato, nella liturgia dell' Avvento, «Rorate coeli desuper... », «Piovete, o cieli, dall' alto, e le nubi facciano discendere la giustizia (o addirittura il Giusto)».
Pensieri su pensieri. Il Padre ha seminato «il Giusto», ha seminato «il Verbo», ha visitato il mondo da sempre, perché lo ha creato in Lui, per mezzo di Lui, in vista di Lui, suo Figlio, Gesù di Nazaret... Noi siamo sempre, anzitutto, dei «seminati», dei «visitati», siamo dei cercati, degli scelti, degli amati. Lui ci ha amati «per primo»: «Non siete voi che avete scelto me. Sono io che vi ho scelto... «Noi, prima di essere 'arati' dalla vita quotidiana, prima di essere rivoltati come le zolle dalla lama tagliente delle vicende della nostra esistenza, intrecciata con quella degli altri, siamo stati invasi dal 'seme' di Dio, coperti anche noi dalla Sua ombra di creatore-seminatore-provvidente-liberatore che chiama a salvezza, fatta di terra prima e poi di cielo. Dal cielo alla terra: andata e ritorno».
Ma in mezzo c' è la terra. E questa siamo noi, terra seminata, che deve accogliere, custodire, proteggere, offrire le condizioni perché il seme cresca, e poi porti frutto anche in noi, nella porzione di terra piccola o grande, nota o sconosciuta, bianca o nera, gialla od olivastra che siamo noi, campo di Dio.
Senza invadere il terreno dell' esegeta, credo vada ricordato che in Palestina si seminava prima di arare il campo, e quindi era ovvio trovare terreni differenti: qua terra indurita, qua spine, qua pietre, qua terra accogliente e pronta&
In mezzo, tra il cielo di origine e il cielo di arrivo, c' è la realtà della terra che è la vita che chiamiamo proprio «terrena». Terre diverse, come diversa è per ciascuno l' impronta «digitale». Digitale! Ancora un richiamo alla realtà delle parabole modernissime...
Ciascuno è terreno di Dio. Ogni uomo può leggere la sua vita passata come una «parabola» da cui imparare ancora a vivere quella futura, e, se è credente, fino all' eternità .
Ho capito. Ma qual è il modo di accogliere il seme nella terra che io sono? Capita, come capita anche - e sta scritto più volte nel Vangelo - che uno capisce, ma poi si chiede, o chiede, di poter tradurre in vita concreta ciò che ha capito.
Filippo, nel racconto del Vangelo, ha capito che quello che conta è «il Padre», e allora chiede a Gesù: «Facci vedere il Padre, e tutto è fatto». Il giovane ricco ha capito, e dice che va bene, quelle cose lui le ha fatte tutte, fin da quando era bambino, e allora chiede cosa gli manca...
Abbiamo capito anche noi... Anche io. Ma allora, come faccio ad accogliere il seme, a proteggerlo, a farlo crescere e fruttificare dentro di me, attorno a me, in questa porzione di terra - la Sua terra - che sono io, in questa stagione più o meno felice che è la mia vita, seminata dalla Sua vita?
Come passo dalla parabola al video dentro casa, dalla possibilità alla realtà , dall' intenzione alla pratica, dalle parole ai fatti, dai sentimenti alla vita?
«Beato chi ascolta le mie parole e poi le mette in pratica»: ecco l' indicazione del cammino.
«Shemà h Israèl!» «Ascolta Israele!». La parola c' è, ha riempito del suo suono la storia, ha varcato i secoli. E allora, che vuol dire mettere in pratica, qui ed oggi, su questa terra che è la mia, la parola della parabola che ho ascoltato?
È una parola importante, questa. Lo è stata per Israele, faro del suo cammino continuo nella storia. Lo è anche per noi, in questa parabola che la traduce nel linguaggio del Nuovo Testamento, con il marchio originale di Gesù di Nazaret, perché non indica un contenuto specifico, ma l' essenza di tutti i contenuti della parola di Dio che semina la nostra vita.
Ascoltare, oggi, vuol dire lasciarsi «seminare» dal Seminatore che esce a seminare il seme. Ascoltare come accogliere, ascoltare come farsi provocare, farsi chiamare in avanti, farsi interpellare e arrivare a rispondere, a fare da sponda che rimbalzi la parola nella storia, qui ed ora... Fare da sponda, come uno specchio alla luce, rimandandola altrove... Essere specchio della luce di Dio. Fare da sponda agli impulsi di Dio.
Uno specchio sporco non fa il suo dovere. Bisogna pulire il nostro specchio, lo specchio che dobbiamo essere, renderlo perfettamente adatto a rimbalzare sugli altri la parola e la luce che ci arriva dal Cielo, dal Seminatore, dalla Parola. È lo spazio per la conversione continua, per quello che una volta si chiamava, con linguaggio datato, ascesi, ma senza piagnonismi, senza sopravvalutare sofferenze e penitenze, con la serietà impegnativa che ci dice che la Parola va ascoltata nel silenzio, il Seme va accolto nel terreno ripulito e sgomberato...
Ascoltare, dunque, e sgomberare. Fare silenzio in noi per percepire la parola Sua, per accogliere con la vita il seme Suo... Mettersi nella lunghezza d' onda di Lui che parla, per conoscerLo e riconoscerLo quando il suo seme arriva a noi&
Conoscere Dio? Come fare? C' è, nel Vangelo, nel passo più solenne e più decisivo del vangelo di Cristo, che leggo in Matteo 25, un discorso strano. Dio, Dio stesso, dice che «non conosce» quelli che resteranno fuori... E chi sono? Sono quelli che non hanno accolto il seme, lo hanno respinto, lo hanno fatto disseccare, lo hanno ucciso isterilendolo nella freddezza dura del loro cuore inaridito. E come hanno fatto tutto questo? La risposta è lì, immediata: Dio non conosce chi non Lo ha riconosciuto nel fratello che aveva fame, che aveva sete, che era nudo...
Ecco il punto d' arrivo. Conoscere Dio, lasciarsi penetrare dal Suo amore, accogliere il Suo seme vivo, non è altro - anche se scandalizza certi nostri modi di pensare pagani duri a morire, che pensano ancora Dio lassù, lontano, idolo muto che invece di dare chiede per sé - non è altro che riconoscerlo con i fatti nei suoi figli che sono i nostri fratelli. Per questo quel «sovversivo» di Giacomo ha coniato, pieno ancora dell' esperienza di Gesù di Nazaret, la più sconvolgente definizione di religione che sia mai stata scritta: «La vera religione, la religione pura e senza macchia, fratelli, è difendere gli orfani e le vedove nelle loro tribolazioni, e conservarsi puliti da questo mondo& ». E questo mondo lo ha descritto subito egli stesso: «Superbia della vita e desiderio violento che parte dagli occhi... ».
Non è orizzontalismo, come può pensare qualcuno ancora pagano nella testa. È Vangelo vivo. Conoscere Dio è riconoscerlo nella sua unica immagine che Egli ci ha dato, l' uomo nostro fratello, immagine unica di Lui, che ha rifiutato ogni altra immagine fin dall' inizio. Conoscere Dio, far fruttificare il seme che ha deposto e depone nella Sua terra che siamo noi, e di cui ci chiederà conto, è fare giustizia all' uomo, sua unica immagine viva, suo vicario in tutto, soprattutto alla luce definitiva dell' Incarnazione del Verbo, parola sua, seme suo, che «ci ha amati e ha dato la sua vita per noi». Per questo anche noi dobbiamo dare la vita - niente di più e niente di meno - per i nostri fratelli...
GLI «APPUNTAMENTI» DI DIO
La «nostalgia di Dio» riemerge con forza in ogni uomo o donna, soprattutto nei momenti «forti» della vita adulta:
- la nascita dei figli: l' esperienza ci insegna che il mistero della vita stupisce e «provoca» anche la persona «materialista» più incallita;
- la celebrazione dei sacramenti dell' iniziazione cristiana per i figli: i genitori possono scoprire, anche al di là di un rito richiesto per scandire le tappe della vita dei figli, il ruolo umanizzante della fede cristiana;
- i momenti di «passaggio» da una fase all' altra della vita adulta, in cui la persona sente il bisogno di riorganizzare la sua esistenza su nuovi valori e motivazioni;
- l' esperienza della malattia e del lutto: fa toccare con mano la precarietà della vita umana e aiuta a ridisegnare una più corretta gerarchia di valori. Tutte queste situazioni costituiscono altrettante «brecce» che riportano a galla il problema del senso della vita; sono il «buon terreno» in cui seminare la parola di Dio; sono le occasioni preziose in cui far riscoprire come la fede cristiana rende più vera, giusta e bella la vita personale, familiare e sociale, rinnova i rapporti di amicizia, dà senso alla fatica del lavoro, all' impegno educativo, alla malattia e alla morte.
L. S.
La parabola
Decisivo l' ascolto della parola
di Rinaldo Fabris
L' immagine del seminatore nell' ambiente biblico richiama l' azione di Dio e in particolare il dono della sua parola che ha un' efficacia salvifica. Il seme è buono ma i risultati sono diversi perché differenti sono i terreni in cui cade. Che senso dare alla parabola? Lo spiega Gesù stesso.
Nella tradizione biblica l' annuncio della parola di Dio è paragonato al gesto del seminatore che getta il seme nella terra con la fiducia che porti frutto. A questa immagine si ispira la parabola con la quale Gesù interpreta la sua azione di proclamatore del regno di Dio. Luca fa precedere al racconto della parabola una sintesi dell' attività di Gesù che va «per le città e i villaggi» annunciando l' evangelo del regno di Dio». Con Gesù ci sono i «dodici» da lui scelti come rappresentanti dell' intero popolo di Israele e alcune donne guarite da varie malattie. Quando attorno a Gesù si raccoglie una grande folla accorsa da ogni città , egli racconta la parabola del seminatore che «uscì a seminare la sua semente». Questo è un momento decisivo nella vita dei piccoli proprietari com' era la famiglia di Gesù. Dall' esito della semina dipende il futuro.
L' attenzione si concentra sull' esito dei semi caduti in terreni differenti. Una prima parte cade sul sentiero che attraversa il campo dove viene calpestata dai passanti e beccata dagli uccelli. Una seconda parte del seme va a finire su terreno ricoperto di sassi, dove il germoglio inaridisce per mancanza di umidità . Una terza parte cade in un terreno infestato dai cardi spinosi che crescono assieme ai germogli e li soffocano. Infine una quarta parte va sulla terra buona, dove germoglia e cresce bene dando un frutto centuplicato. Gesù conclude con un invito che offre la chiave per interpretarla: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti». In breve, la parabola si riferisce al rapporto che si crea tra la parola e gli ascoltatori.
Gesù spiega la parabola. In un primo momento la parabola è applicata ai discepoli di Gesù. «A voi - egli dice - è dato conoscere i misteri del regno di Dio». Dunque essi rappresentano il terreno buono che dà un frutto eccezionale, perché per mezzo di Gesù Dio manifesta loro il suo disegno di salvezza.
Alla folla invece, che si accosta a Gesù in modo superficiale, tutto rimane oscuro. In modo analogo il profeta Isaia inviato da Dio ai suoi contemporanei con la sua parola porta allo scoperto la loro reazione negativa e sterile: «Va' riferisci a questo popolo: ascoltate pure, ma senza comprendere, osservate pure, ma senza conoscere».
Una seconda applicazione si riferisce ai destinatari del vangelo di Luca. In modo esplicito si dice che «il seme è la parola di Dio». Quindi si passano in rassegna i diversi tipi di quelli che ascoltano la parola, ma poi sono vittime dell' azione del «diavolo che porta via la parola dai loro cuori, perché non credano e così siano salvati». Questa prima spiegazione fa capire che nell' ascolto della parola è in gioco il destino salvifico delle persone.
Gli altri due gruppi negativi precisano perché questi ascoltatori non arrivano alla salvezza. Si tratta di quanti «ascoltano e accolgono con gioia la parola, ma non hanno radice», cioè «credono per un certo tempo, ma nell' ora della tentazione vengono meno». In che cosa consista la tentazione si dice nel terzo gruppo di ascoltatori che, «dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano sopraffare dalle preoccupazioni, dalla ricchezza e dai piaceri della vita e non giungono a maturazione».
Luca mette in guardia i suoi lettori, che sono piccoli impresari e commercianti, di fronte al rischio di bloccare il cammino di fede perché presi dagli affari, dal fascino della ricchezza e dalle bramosie che questa alimenta. Egli constata che queste persone, pur avendo intrapreso un cammino di fede, non arrivano alla maturità spirituale. Ma c è un gruppo di ascoltatori rappresentato dai caduti sulla «terra buona» che, «dopo aver ascoltato la parola con cuore buono e perfetto, la custodiscono e producono frutto con la loro perseveranza».
Sullo sfondo di queste espressioni evangeliche c' è la professione di fede biblica nota come shema' lsrael, «ascolta Israele», dove il credente è chiamato ad amare Dio «con tutto il cuore e con tutta l' anima». Una figura esemplare di ascolto fruttuoso della parola nel Vangelo di Luca è Maria, che conserva nel cuore la parola in attesa del suo compimento. Ma a tutti gli ascoltatori della parola l' evangelista rivolge l' invito ad accoglierla in un cuore integro e generoso per superare le prove che bloccano il processo di maturazione spirituale.
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Vivere la parabola
Siamo asfalto o buona terra?
Spesso siamo solo asfalto, arido e improduttivo. Ma a volte la nostra apatia e incostanza, scosse dall' insoddisfazione o da alcuni momenti chiave della nostra vita, lasciano trapelare una nostalgia di Dio che riesce a sgretolare l' asfalto dell' indifferenza per lasciare penetrare il seme che Dio continua a gettare. Sono occasioni da non lasciare perdere per far emergere il senso della vita e la bontà del messaggio cristiano.
di Lucio Soravito
«Il seminatore uscì a seminare».
In questo gesto, ampio e generoso, possiamo scorgere un segno dell' iniziativa di Dio, un segno del suo intervento gratuito, decisivo e salvifico, in favore degli uomini.
Dio è entrato nella nostra storia per mezzo di Gesù Cristo e dona la sua parola con abbondanza, anzi con prodigalità , al di là di ogni buon senso.
Egli la lascia cadere su tutti i terreni, anche su quelli che noi giudichiamo improduttivi. Egli non ragiona con la logica dell' efficienza che seleziona i terreni a seconda del loro reddito e che discrimina le persone in base ai risultati che esse danno, ma semplicemente ama le persone, dà loro fiducia, dà a tutti la possibilità di costruire un futuro nuovo.
Dove finisce quel seme? In terreni diversi, che corrispondono ad altrettanti atteggiamenti religiosi degli uomini del nostro tempo.
La strada: sull' asfalto non cresce niente, perché non può penetrare nessun seme. La strada rappresenta quelle persone nelle quali sembra scomparsa ogni inquietudine religiosa. Non è che neghino Dio, semplicemente non interessa loro. Perciò non percepiscono o rigettano esplicitamente qualsiasi legame tra la loro vita e la parola di Dio.
La terra sassosa: essa rappresenta gli incostanti, gli incoerenti, i superficiali; coloro per i quali il cristianesimo ha un valore marginale, folcloristico, tradizionale, e non serve per la vita quotidiana. La terra sassosa rappresenta anche gli individualisti, coloro che, pur affermando di credere in Dio, si ritengono estranei alla Chiesa, rifiutano l' humus ecclesiale, rifuggono dall' esperienza parrocchiale.
La terra cespugliosa: è la gente soffocata dalla mentalità consumistica; accetta un ritualismo esteriore, vuole il battesimo, la comunione e la cresima per i figli, ma non comprende la necessità di una fede coerente nella vita; cerca la Chiesa, ma conduce una vita molto pagana.
La terra buona: rappresenta sia i praticanti tradizionali, sia i credenti impegnati, cioè coloro che in misura diversa sono disponibili all' ascolto e all' accoglienza della parola di Dio.
Cercare il «buon terreno». Per poter seminare la parola di Dio oggi, occorre scoprire e valorizzare il «buon terreno» che c' è anche sotto l' asfalto, sotto i sassi e sotto i rovi; occorre scoprire, cioè, la parte della persona potenzialmente disponibile all' incontro con il Vangelo. Il «punto d' innesto» del messaggio cristiano va cercato in tre ambiti che possono rendere fertile il cuore dell' uomo:
- Ogni uomo è creato nella Parola e per mezzo della Parola (cf. Gv 1,3) e quindi è fatto per il dialogo con la Parola; in essa egli trova la propria identità e l' unica risposta che può esaudire il suo bisogno di vita pienamente riuscita: «Tu ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché in te non si riposa» (S. Agostino).
- Ogni uomo è animato dallo Spirito Santo; lo Spirito di Dio ha riempito l' universo; non c' è situazione umana in cui Egli non sia presente; è presente come spinta o come attrazione o come rimorso o come stimolo. Spetta a noi cogliere i segni della sua presenza nel cuore dell' uomo a collaborare con lui.
- Tutte le persone, anche quelle che sembrano avere un cuore desertificato, si portano dentro ansietà , desideri, domande che non riescono a formulare, ma che li rendono insoddisfatti. È questo il campo dell' annuncio. È qui che occorre seminare: e bisogna farlo con fiducia!
La «nostalgia» di Dio. Il «buon terreno» è costituito dalla «nostalgia di Dio» che sembra affiorare spesso dal cuore delle persone, al di là delle mille contraddizioni che caratterizzano la loro vita nel nostro tempo. Questa «nostalgia di Dio» viene manifestata in molti modi.
- Quando si percepisce il limite delle cose e delle persone e la loro incapacità di saziare la fame di una vita pienamente riuscita e per questo ci si apre alla ricerca religiosa.
- Quando si riprende a partecipare alla vita della comunità ecclesiale o quando si cerca una risposta ai problemi in altre esperienze religiose o pseudo-religiose (altre religioni, sette, maghi, astrologi, oroscopi) o in un rapporto personale con il Trascendente.
- Quando, non avendo trovato il vero volto di Dio, si investe la «nostalgia di Dio» nell' accaparramento di beni materiali o nella selvaggia frenesia di vita che ci porta a tuffarci in ogni tipo di esperienze, anche insensate.
- La manifestiamo anche quando, dopo aver rincorso invano la felicità , ci rassegniamo a vivere una vita mediocre, senza orizzonti, racchiusi nella nostra piccola infelicità borghese.