Cancro: negli Usa si guarisce di più?

I numeri dicono che negli Stati Uniti la sopravvivenza al cancro è maggiore che in Europa. I «viaggi della seranza» oltre oceano sono motivati, allora? A ben guardare l’inghippo c’è: dati europei troppo vecchi e differenti modi di classificare la malattia
13 Dicembre 2000 | di

 Se si sta ai numeri nudi e crudi, negli Stati Uniti si guarisce di cancro più spesso di quanto non accada in Europa. È appena stato pubblicato uno studio, coordinato dall'Istituto dei tumori di Milano, che ha sollevato qualche preoccupazione tra esperti e non. Esso testimonia, per esempio, che, a cinque anni dalla scoperta del tumore, su 100 donne malate di cancro alla mammella, 82 sono ancora vive negli Stati Uniti e 72 in Europa. Su 100 malati di tumore al colon (uomini e donne), sempre a cinque anni dalla diagnosi, 60 sono ancora vivi al di là  dell' oceano, appena 47 al di qua. Addirittura, fra i maschi, su 100 colpiti dal cancro della prostata, oltre 80 possono considerarsi pressoché guariti in America, poco più di 50 nel Vecchio Mondo. Differenze significative si riscontrano, sempre a favore degli Stati Uniti, in altri tipi di tumore. Sarà  vero, perciò, che i tumori vengono curati meglio negli Usa?
La risposta esige alcune premesse. È, infatti, probabile che questi risultati siano tra loro difficilmente confrontabili; almeno questo è il parere degli esperti.
Sandro Barni, oncologo, membro dell'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), rileva come i dati europei risalgano al 1989: nel corso di questo ultimo decennio i miglioramenti nelle terapie, con ogni probabilità , hanno quasi annullato la differenza. Umberto Veronesi, attuale ministro della Sanità  e tra i più noti oncologi a livello internazionale, sottolinea come, in ambito statistico, gli americani considerino cancro lesioni molto precoci che gli esperti europei non catalogano, invece, come tumori maligni: questo spiegherebbe la differenza nelle percentuali di sopravvivenza per quanto riguarda il tumore della mammella. In altre situazioni ci sarebbero addirittura effetti perversi di una diagnosi troppo iniziale. Negli Stati Uniti, per esempio, è molto diffusa tra i maschi ultra-cinquantenni l' analisi periodica del Psa, l' antigene prostatico specifico, che è in grado di far sospettare la presenza di cellule tumorali nella prostata in stadi precocissimi, quando un intervento chirurgico garantisce la guarigione completa. Tuttavia, l' esame a tappeto eseguito col Psa è contestato in Europa, poiché registra numerosi falsi esiti positivi (cioè segnala cancri che non ci sono) e, molto spesso, indica la presenza di tumori talmente piccoli, da essere destinati a non manifestarsi mai. In questi casi migliaia di soggetti sarebbero indotti a subire operazioni chirurgiche del tutto inutili e rischiose. È evidente che un tale fenomeno spiegherebbe i dati americani sulla sopravvivenza di pazienti con cancro della prostata.
In sostanza, quindi, tutti concordano nell' ammettere che questo studio è tutt' altro che definitivo, ricordando che i livelli di assistenza nei paesi occidentali sono ormai omogenei e che per gli europei non c' è alcuna ragione di andare a farsi curare in America.
Rimane comunque l' ipotesi che una diagnosi precoce dei tumori - maggiormente praticata negli Stati Uniti dove, per esempio, gli screening per il tumore della mammella e per il tumore del colon sono più seguiti dalla popolazione - sia la condizione per ottenere una più elevata percentuale di sopravvivenza.


   
   

   

 CORSA  SALVAVITA      

P  are ormai assodato: correre fa bene e allontana il giorno della morte. A Copenaghen sono stati studiati per quasi vent' anni circa 5 mila maschi adulti, di varie età . Tra di loro i circa 200 che non hanno mai smesso di correre, o di marciare ad andatura spedita (bastano 3-4 chilometri da percorrere tre volte alla settimana) hanno un rischio di morte nettamente inferiore rispetto a quello dei sedentari: soprattutto, si evitano gli infarti.

DIABETICI: OCCHIO ALLA PRESSIONE      

Nei diabetici è indispensabile controllare la pressione arteriosa e portarla entro i limiti di 130 per la pressione massima (o sistolica) e 85 per la minima (diastolica). Lo scopo è evitare complicazioni al cuore e ai reni. Lo ha dimostrato per l' ennesima volta una ricerca svoltasi in Israele e guidata da Ehud Grossman. Le diverse categorie di farmaci contro la pressione alta sono, in questo caso, tutte egualmente efficaci.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017