Gassman: l’uomo che voleva credere
Un grande avvenire dietro le spalle così si intitolava il libro che Vittorio Gassman scrisse qualche anno fa. Il titolo glielo aveva suggerito Carlo (Carletto per gli intimi) Mazzarella che prima di diventare uno straordinario giornalista televisivo aveva recitato con Caprioli e la Valeri dando vita ai famosi Tre Gobbi. Poi arrivò Salce e Mazzarella smise di recitare: sul palcoscenico, beninteso, poiché nella vita continuò sino all' ultimo momento. «Cosa vuoi - mi disse un giorno - , i greci chiamavano noi attori hypocrités, cioè simulatori di atteggiamenti o sentimenti esemplari. È affascinante fingere d' esser buoni anche perché qualche volta si finisce col diventarlo davvero». Questo discorso può valere anche per Vittorio Gassman? Oserei dir di sì.
La morte, recente, del grande attore ha diviso, se così può dirsi, i suoi amici, i suoi estimatori davanti all' interrogativo: Gassman è morto senza aver compiuto la sua ricerca ovvero c' è riuscito e proprio in articulo mortis? Stiamo parlando di una ricerca tutta particolare, difficile, forse anche straziante, in alcuni momenti. La ricerca di Dio.
Il Mattatore soffriva di depressione oramai da tanti, troppi anni. Aveva invano speso cifre ingenti per uscire definitivamente dalla Malattia; era riuscito soltanto a renderla episodica. Finché, otto anni fa, un medico non gli disse che il suo «mal di vivere» comportava un problema esistenziale: «Forse lei, Maestro, ha bisogno di una scelta spirituale».
E giusto otto anni fa due suoi amici attori, Franco Giacomini e Angela Goldwin, lo invitarono a una lettura del Vangelo fatta da don Innocenzo Gargano, monaco benedettino camaldolese, in un monastero di Roma: sul colle Aventino. Quella lettura incantò l' attore che, ovviamente, aveva letto il Vangelo ma non lo aveva metabolizzato. Tra il camaldolese e l' attore scoccò quella misteriosa scintilla che fa sì che due persone scoprano, al primo incontro, affinità elettive tanto forti da trasformarsi in amicizia. Diventarono amici, Vittorio e Innocenzo, e così fu che Gassman prese a frequentare la chiesa di San Gregorio al Celio: la domenica, alle 11,30, quando il suo amico benedettino celebrava la Messa. Quando compì 75 anni (è morto che ne aveva 79) Gassman invitò a una cena in un ristorante del centro, insieme con pochi amici e la sua composita famiglia, don Innocenzo. «Mi volle seduto accanto a lui - ha raccontato il religioso dopo la morte dell' attore - , e a un certo momento mi disse: 'È venuto il tempo che io e Diletta ci si sposi in Chiesa, dopo quasi trent' anni di (felice) unione civile. Voglio che il nostro bel rapporto sia coronato davanti a Dio'. Ne parlammo, spesso, durante tre anni ed ora il mio rammarico è che ho sempre atteso che fosse lui a prendere l' iniziativa». Gassman, sempre secondo la testimonianza di don Innocenzo, sentiva che il matrimonio in Chiesa esigeva da vivere da cristiani completi, onesti sino in fondo con Dio, coerenti.
«Questa era la preoccupazione di Vittorio poiché egli era un uomo tutto d' un pezzo, vero con se stesso. Aveva finto tutta la vita in teatro, ma nella vita era sincero. E rifiutava l' idea di una scorciatoia». E qui torna il discorso di Carletto Mazzarella: dalla simulazione alla autenticità .
Secondo don Innocenzo, Gassman è rimasto inchiodato al confine fra Razionalismo e Fede. Non per orgoglio bensì per onestà . «Il dubbio, soprattutto l' impossibilità di prendere 'la' decisione, lo ha macerato fino a demolirlo. Credo che in qualche modo a ucciderlo sia stato questo vivere nell' indecisione. Lui era un Amleto, il personaggio che più lo rappresentava: Vittorio non s' è mai deciso. Il suo cuore s' è spaccato, pugnalato dal coltello bilama d' una esistenza stretta fra le ganasce del Positivismo e della Fede».
Nell' omelia, don Innocenzo ha detto che Gassman seguiva i monaci di San Benedetto perché essi cercano Dio e non lo trovano: «Vittorio cercava di credere pur non riuscendo a darsi completamente». «Gassman nella vita aveva avuto tutto ma era abissalmente triste», ha scritto bene Paolo Guzzanti. Vedendo in televisione il lungo commosso servizio sui funerali del Mattatore, mi ha colpito il dolore composto della sua diletta Diletta: era vestita in bianco, come una sposa. Chissà , forse in quel doloroso momento lei avrà voluto sentirsi idealmente unita in matrimonio, in Chiesa, col suo vecchio ragazzo.
Al quale il Vecchio Cronista che lo incontrò poche volte, regolarmente rimanendo stupito della timidezza di Gassman (una timidezza che lo portava persino alla balbuzie) vorrebbe dedicare a modo di epitaffio consolatorio pochi versi. Li ha scritti un grande scrittore, non credente: Gesualdo Bufalino, alla ricerca di un Dio non pregato: «Più lontano mi sei, più Ti risento/ farmiti dentro il cuore/ sangue, grido, tumore/ e crescermi sul petto./ Più sei lontano e più Ti porto addosso».
La vita corre tra l' incontro e l' addio: mi dicono che poco prima di morire (nel sonno) Vittorio Gassman si sia congedato da un amico, anch' egli un benedettino, don Graziano Mengesi, con queste parole: «Mi rimetto nelle mani di Dio».