Per uomini di strada

12 Febbraio 2000 | di

Nato nel 1966, il gruppo fondato da don Luigi Ciotti cerca di rispondere alla «fame e sete di giustizia» di tante persone che vivono nel disagio, ai margini della società  del benessere. Iniziamo così la seconda edizione del premio internazionale sant Antonio.

 Data di nascita: 1966. Luogo: Torino. Albero genealogico: da ricercare in uomini e donne che hanno come riferimento la strada. Residenza: in tanti luoghi, prima in una stazione ferroviaria poi in una sala da ballo, per cambiare, negli anni, tante e tante volte ancora.
Il nome di questo insolito «personaggio» è Gruppo Abele, un associazione che oggi conta circa 40 attività  tra comunità , iniziative culturali e cooperative di lavoro in cui sono occupate circa 300 persone, tra operatori a tempo pieno e volontari.
Ma quali sono le «radici» e gli obiettivi di questo gruppo, noto per il tema della tossicodipendenza, ma che segue, di fatto, tante altre tematiche legate al disagio e all emarginazione?
E perché si chiama Gruppo Abele?
«Abele significa debole spiega Luigi Ciotti . Nella Bibbia, Abele è quello che per primo sperimenta la rottura di solidarietà : viene portato in campagna, oltre il confine, per essere ucciso da suo fratello Caino. Abele è debole e incapace di resistere a chi alza la mano contro di lui: Dio rivolge a Caino la domanda: 'Dov è tuo fratello?'. E come risposta ottiene un interrogativo 'Sono forse io il custode di mio fratello?'. Il gruppo sceglie di stare dentro questa domanda, per assumersi la responsabilità  di ogni altro, inteso come fratello».
I primi «compagni di viaggio» come li chiamano al Gruppo Abele furono i ragazzi rinchiusi nel carcere minorile di Torino (Ferrante Aporti) e le ragazze del «Buon Pastore», un istituto di rieducazione femminile dove confluivano molte donne provenienti dal mondo della prostituzione. E poi i «senza dimora», quelli che molti chiamano «barboni», che scelgono la strada e spesso la stazione come luogo di vita. Un barbone, appunto, segnò la vita di Luigi Ciotti e del Gruppo Abele: «Lo vedevo tutti i giorni racconta Ciotti silenzioso, seduto su una panchina, spesso intento a leggere libri di medicina. Mi sedetti vicino a lui per molto tempo. Prima in silenzio, poi cercando di instaurare un dialogo. Superò la diffidenza e mi raccontò la sua inquietudine, il perché della sua scelta... nella disperazione.
Era un medico. Una sera era uscito a cena e aveva bevuto. Quando andò in ospedale non era ancora lucido e operò una donna per una semplice appendicite. Era madre di tre bambini. Qualcosa non funzionò, la donna morì. Non lo perseguirono penalmente, ma quell uomo si trovò distrutto 'dentro'. Non trovò più pace, lasciò tutto.
Voleva sparire».
Ogni persona una storia a se stante. Il gruppo Abele ha scelto così di mettere, sempre, la persona al centro, con le sue fatiche, ma anche con le sue potenzialità .
Luigi Ciotti nei primi anni del suo operato non era ancora sacerdote. La sua fu una vocazione adulta. Studiava e «scappava» dal collegio per raggiungere la stazione o la sede del gruppo: due stanzette in via Po trasformate in sala da ballo, luogo di incontro per molti giovani che poi si fermavano a parlare, a discutere, esprimendo sogni, paure, richieste di aiuto. Un occasione per incontrarli.
Oggi come ieri. La storia, con sfumature diverse, si ripete. Attualmente il Gruppo Abele è impegnato, per fare prevenzione sulle vecchie e nuove droghe, nelle discoteche. Lavora con i dj, con le Forze dell ordine, con gli operatori dei servizi pubblici e privati, con le scuole. Modalità  nuove. Da reinventare giorno per giorno. I volti della solitudine cambiano. E bisogna saperli riconoscere.
Per un po di tempo Luigi Ciotti tenne nascosta la sua scelta di farsi prete. Temeva che ciò avrebbe provocato diffidenza e allontanamento. Ma una volta saldati i rapporti con le molte persone incontrate sulla strada fu più facile dirlo e farsi accettare. Nella chiesa, il giorno che il cardinale di Torino, Michele Pellegrino, lo ordinò sacerdote, c era un pubblico molto eterogeneo, appartenente a tanti strati sociali. E il vescovo di Torino, da sempre amico e sostenitore del Gruppo Abele, lo introdusse nel ministero dicendo: «La tua parrocchia sarà  la strada».

La «fatica di vivere» abita ovunque. Povertà  estreme, ma anche fatiche che si nascondono sotto un apparente benessere. Il Gruppo Abele ha imparato, negli anni, che la «fatica di vivere» abita in tutti i luoghi e bisogna saperla incontrare e accogliere.
La droga dimostrò, con forza, che non erano solo i ragazzi delle periferie degradate o i figli di famiglie «problematiche» ad avvicinarsi ad essa. La droga, le droghe (senza mai dimenticare l alcol) hanno dimostrato che c è una combinazione di fattori, personali e sociali, che concorrono a determinare certe scelte.
Il Gruppo Abele decide, quindi, di lavorare a tutto campo. Con le persone che fanno fatica, con le loro famiglie e con quello che viene definito «territorio». Vale a dire le parrocchie, i datori di lavoro, gli amici, la scuola, le Forze dell ordine e quelli che vengono chiamati «operatori grezzi»: il barista, il vigile, con i tanti punti, insomma, di una rete, che possono concorrere, se formati e supportati, a cambiare una situazione.
Il gruppo, nel suo cammino, si troverà  presto a fare due importanti scelte: il pluralismo e la ricerca delle cause che determinano l emarginazione.
Pluralismo significa accettare, sia come operatori sia come ospiti, persone che hanno fatto scelte anche molto diverse tra di loro, sia sul piano politico sia religioso. A tutti viene chiesto rispetto per l altro e condivisione sui fini dell associazione.
E i fini sono riassumibili in quello che Luigi Ciotti chiama «fame e sete di giustizia». Per il Gruppo Abele significa rispondere concretamente ai bisogni delle persone e, nel contempo, adoperarsi perché le situazioni, a monte, cambino. Prese di posizione politiche, anche dure, a volte. Ed è uno dei motivi per cui il Gruppo Abele ha tanti debiti. Le scelte di giustizia si pagano, spesso, con minor disponibilità  finanziaria e con molte porte che si chiudono perché voce «scomoda». Investire sulla formazione e sull informazione ha significato, nei fatti, la nascita dell «Università  della strada», per formare operatori e insegnanti; delle riviste («Animazione sociale», «Narcomafie», «Euronote»); di un «Centro di documentazione e ricerca» a disposizione di studenti, amministratori, associazioni e servizi pubblici; di un «Centro per la legalità » strettamente collegato alla biblioteca, disponibile anche su supporto telematico , che studia la connessione tra mafie e droga, mafie e povertà , mafie e poteri economici e politici. Sul versante editoriale, ha significato la nascita di una Casa editrice (Ega) e la pubblicazione, ogni anno, di un «Annuario sociale».
Le attività  culturali prendono linfa e sollecitazioni continue dal lavoro quotidiano di accoglienza alle persone. Tra le attività  oggi presenti, due comunità  per coppie di tossicodipendenti, eventualmente coi loro bambini. Il progetto è nato perché la tendenza è stata, per tanto tempo, quella di separare la coppia o l intero nucleo familiare. Il Gruppo Abele ha sperimentato la «presa in carico» di tutta la famiglia per provare a ricostruire un nuovo percorso che può essere di coppie (se ci sono le condizioni) o separati, ma accompagnati, se le condizioni sono diverse.
Un altra comunità , sulla collina torinese, accoglie persone in Aids. Coloro che riescono, per condizioni di salute o supporti esterni, vivono in piccoli alloggi comunitari o a casa propria. Per loro un apposito servizio di supporto e di assistenza domiciliare.
Le mamme tossicodipendenti, a volte sieropositive, coi loro bambini vengono accolte in un altra struttura del Gruppo Abele. In questa comunità  vivono anche, in attesa di progetti di affidamento o adozione, bimbi soli, abbandonati, a volte sieropositivi.
Oltre alle strutture comunitarie, però, il grande lavoro del Gruppo Abele è, da sempre, sulla strada. Una porta aperta 24 ore su 24, per accogliere e indirizzare qualsiasi tipo di domanda, sia che provenga dalle persone che vivono direttamente i problemi sia dai loro familiari. Un servizio di pronta accoglienza, una comunità  residenziale, una semiresidenziale e un dormitorio permettono, nella città , di offrire un luogo di «tregua» a coloro che sono stanchi di «sbattersi» e che magari non hanno ancora deciso se smettere di assumere droga. La scelta è quella di non abbandonare nessuno. I troppi «filtri», le troppe «regole» (pur necessarie all interno dei singoli progetti) a volte allontanano le persone.
Il Gruppo Abele propone, quindi, tanti livelli di «offerta». Tra questi, anche i laboratori artigianali e le attività  di lavoro. Una falegnameria, un laboratorio di pelletteria, raccolta e riciclaggio di rifiuti, confezione di abiti, ristrutturazione di immobili, sistemazione di giardini, allevamento di bestiame, florovivaismo. Sono solo alcune delle attività  proposte dalle cooperative di lavoro nate per essere un opportunità  in più per molte persone, italiane e straniere, che scelgono di uscire dal giro della droga, dell alcol, che sono uscite dal carcere o dal mondo della prostituzione. Il lavoro rappresenta una modalità  con cui i ragazzi si «misurano». Significa confrontarsi col rispetto degli orari, lavorare con gli altri, assumersi delle responsabilità . Oggi molte di queste cooperative diventano un trampolino di lancio tra un periodo di comunità  e il reinserimento nel mondo esterno.
Quel mondo esterno che spesso rifiuta il «diverso» e lo allontana. Il Gruppo Abele, invece, cerca di avvicinare le storie e creare dialogo. Per questo sono molti ormai i progetti chiamati «mediazione dei conflitti» in cui, qualsiasi sia il disagio espresso, viene accolto e poi «guidato». In parole povere, significa «accogliere» anche la protesta dell abitante del quartiere «difficile» verso lo straniero, significa ascoltare le rimostranze del comitato di quartiere che vuole allontanare le lucciole perché «disturbano». Mediare, accogliere e accompagnare non significa, però, rimanere inermi ascoltatori o spettatori, bensì fare in modo che le «parti in causa» si ascoltino e comprendano le difficoltà  altrui... atteggiamento che spesso rappresenta il primo passo verso un nuovo modo di vivere e impostare una convivenza, anche se difficile. Su questi aspetti sono molte le amministrazioni che chiedono aiuto

   
   
L E QUATTRO SEZIONI DEL PREMIO      

Il Premio internazionale sant' Antonio, a scadenza biennale, è stato promosso dal «Messaggero di sant' Antonio» nel 1998, nel primo centenario della sua nascita. La suggestione del Giubileo rende questa seconda edizione particolarmente significativa. Anch' essa si divide in quattro sezioni: Testimonianza, Solidarietà , Cinema, Televisione.

Il premio Testimonianza si assegna a una persona, religiosa o laica, impegnata concretamente nella difesa dei diritti dell' uomo sull' esempio di sant' Antonio. La giuria che lo assegna è formata dai religiosi del «Messaggero di sant' Antonio» e presieduta dal ministro provinciale dei frati minori conventuali.       

Il premio Solidarietà  viene dato a un gruppo o  a un' associazione che svolge il proprio lavoro nel volontariato. Ad assegnarlo sono i lettori stessi del «Messaggero», invitati a scegliere tra sei gruppi che, a partire da questo numero, saranno presentati, di seguito, nella rivista. L' internazionalità  del premio è data dal fatto che gruppi e associazioni rappresentano, oltre che l' Italia, anche Francia, Australia, Canada, Germania e Argentina. Al termine delle presentazioni, i lettori (compresi quelli delle edizioni straniere), secondo modalità  che verranno a suo tempo indicate, dovranno scegliere il gruppo o l'associazione che riterranno meritevole del premio.
A due dei lettori che avranno partecipato alla scelta, estratti a sorte, sarà  offerta la possibilità  di effettuare un viaggio: in Portogallo, se si tratterà  di lettori italiani, a Padova, se di altri paesi. Gli stessi saranno invitati a consegnare il premio al gruppo vincitore nel giorno della premiazione, il 4 dicembre 2000.

Il premio Cinema  si assegna a un personaggio che, attraverso un film, abbia contribuito a diffondere il messaggio cristiano adeguandolo al linguaggio e alla cultura di oggi. La giuria, presidente e membri, sarà  composta da esperti e critici cinematografici nominati dal direttore generale del «Messaggero di sant' Antonio».     

Il premio Televisione viene dato al realizzatore e all' interprete di un programma televisivo popolare che abbia saputo cogliere ed esprimere i problemi dell' uomo moderno proponendo modelli di vita ispirati ai valori umani e cristiani. La giuria, presidente e membri, è composta da esperti e critici radiotelevisivi scelti dal direttore generale del «Messaggero di sant' Antonio». Tra essi anche un frate del «Messaggero».

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017