Una vita da cristiano
«Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà perché, senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri».
Questa la preghiera di Giovanni Bachelet, nella chiesa di san Roberto Bellarmino di Roma, ai funerali del padre, assassinato due giorni prima (12 febbraio 1980) dalle Brigate Rosse. Fece il giro del mondo. Commosse perfino i carnefici. Quattro anni dopo, dal carcere, i brigatisti inviarono una lettera a padre Adolfo Bachelet, gesuita, fratello di Vittorio: «Ricordiamo bene le parole di suo nipote Giovanni, durante i funerali del padre. Quelle parole ritornano a noi e ci riportano là a quella cerimonia, dove la vita ha trionfato sulla morte, e dove noi siamo stati, davvero, sconfitti nel modo più fermo e irrevocabile».
In un'altra lettera, citata da padre Paolo Bachelet, anch'egli gesuita e fratello di Vittorio, i brigatisti spiegano che il problema del rispetto della vita degli altri veniva dalle BR «superato in forza del credo e della linea politica che ci ha spinto fino a calpestare la vita umana, a considerarla non come valore assoluto, ma come variabile politica».
«A distanza di vent'anni - ci scrive Rosy Bindi, ministro della Sanità - l'emozione di quel momento è ancora forte. Bachelet era il mio professore, con lui condividevo non soltanto la quotidianità del lavoro, ma anche la comune militanza nell'Azione Cattolica e un progetto di politica cristianamente ispirata. La sua morte ha segnato profondamente la mia vita non solamente perché ero accanto a lui quel giorno, ma perché veniva colpito proprio a causa del suo impegno e della sua coerenza nel servire lo Stato».
Chi era Vittorio Bachelet. Non era un politico. Al momento dell'assassinio, al termine di una lezione all'università «La Sapienza» di Roma, copriva la carica di vicepresidente del Csm (Consiglio superiore della magistratura). Le cronache del giorno dopo concordarono nel dire che con la sua eliminazione si voleva colpire tutta la magistratura e, quindi, le istituzioni dello Stato. «Aveva nella fede la forza delle certezze» («Il Tempo» di Roma). «Bachelet: sereno equilibrio di un cattolico impegnato» («La Stampa»). «Un cattolico alla Moro, nemico dell'integralismo» («La Repubblica»). «Un esempio da seguire nella libertà e nella giustizia» (Giuseppe Lazzati, «Avvenire»). «Hanno ucciso uno dei migliori. Forse, per questo l'hanno ucciso» («L'Unità »). Leopoldo Elia, compagno di tante battaglie nell'area cattolica, scrisse su «Il Popolo» (organo d'informazione della Democrazia cristiana): «Il terrorismo spegne le persone di vita più pura, quelle sul cui passato non può sollevarsi un'ombra di sospetto né un sussurro di calunnia». Raniero La Valle su «Paese Sera»: «C'è un'intuizione popolare, rivelatasi in mille segni, secondo cui l'ultima vittima delle BR era un uomo buono e pacifico, mite e umile di cuore; un uomo giusto, nel senso pregnante in cui questo termine è usato nella Bibbia. La gente ha capito che, questa volta, c'era una perfetta corrispondenza tra giustizia personale dell'uomo e la funzione pubblica di testimone ed emblema di giustizia che egli era chiamato a svolgere, al vertice della magistratura; anzi ha capito che, nella piena conformità alle istituzioni e alle leggi, la sua giustizia superava quella di una pura attuazione della legge».
Giovanni Paolo II - che aveva conosciuto Bachelet nel 1967 quand'era ancora vescovo e collaborava al «Pontificio Consiglio per i laici» - all'udienza generale di mercoledì 13 febbraio, il giorno dopo l'assassinio, affermò di conoscere «di quale statura era quest'uomo che ora è caduto sotto la violenza di mani assassine». Nel medesimo giorno, un giovane, all'assemblea studentesca, disse: «È stato ucciso perché era uno che credeva nella possibilità di discutere con tutti».
Le radici. Vittorio Bachelet era l'ultimo di nove figli. Percorse le tappe della formazione cristiana sull esempio della madre catechista e via via con la guida spirituale di sacerdoti illuminati, sin dal Liceo classico e poi nelle file della Fuci (Federazione universitaria cattolici italiani) e nel Movimento dei laureati cattolici (oggi Meic: Movimento ecclesiale impegno culturale). Giovanni XXIII lo nominò vicepresidente dell'Aci (Azione cattolica italiana) e Paolo VI presidente (1964-1973), affiancandogli monsignor Franco Costa, un' anima gemella con il compito di dare un volto conciliare e avviare la «scelta religiosa» nell' Aci. Erano gli anni della contestazione, dei nuovi fermenti sociali e politici, della discussione sul collateralismo dell'Azione cattolica con la Dc (Democrazia cristiana). L'impegno politico era ritenuto lo scopo terminale delle organizzazioni cattoliche e quindi anche dell'Aci, la più numerosa e conosciuta associazione cattolica. Bachelet rinnovò la struttura interna: non più quattro settori, ma un unico riferimento nazionale con il potenziamento del decentramento diocesano e parrocchiale. «Riprendiamo a pregare, a meditare, a riflettere sulla missione della Chiesa, che l'Aci deve condividere nelle gioie e nelle sofferenze, a formare le coscienze. Imitiamo Gesù mite e umile di cuore». Invitava, soprattutto i giovani, a non dimenticare le grandi figure moderne, campioni di vittoria sul male, fino a donare la vita, come padre Massimiliano Kolbe e il cardinal Fauhlaber, arcivescovo di Monaco, durante la lotta contro il nazismo. «Non si vince l'egoismo mostruoso che stronca la vita - disse in una delle indimenticabili assemblee formative dell'Aci - se non con un supplemento d'amore. Citava fratel Carlo Carretto come esempio di «scelta religiosa» costruttiva.
Il segreto. Il segreto della vita di Vittorio Bachelet, dei successi nell'educazione dei suoi due figli, nell'accordare i doveri coniugali con quelli accademici, professionali ed ecclesiali, fu una intensa comunione con Dio, alimentata dall'esercizio di una fede intrepida, da una speranza senza limiti e da una carità divenuta nel tempo virtù esemplare di povertà condivisa, scelta di sobrietà e di grande attenzione al prossimo. L'eucaristia, tutti i giorni, fece di lui l'uomo dell'ascolto, della pace, il compagno, l'amico lieto di donarsi, il «contemplativo itinerante». Pregava in treno, all'università , in famiglia con il rosario.
Viaggiava in utilitaria, spiegando ai famigliari che l'essere cristiani costa sacrificio e scelte non omologate dal costume consumistico. Disponibile a seguire gli studenti oltre il dovuto professionale. Chiedeva scusa molto spesso se gli sembrava di aver trascurato qualcuno. Si accostava al sacramento della penitenza convinto che il perdono di Dio e della Chiesa fosse un esercizio di verità e di umiltà , per ottenere la grazia di proseguire senza compromessi nella sua vocazione: «Il carattere prevalente non è di essere laico, ma cristiano». Semplicità e povertà , dono di sé, potrebbero dirsi i caratteri della sua personalità . Mario Agnes, successore alla presidenza dell'Aci scriveva: «Noi lo consegniamo così alle nuove generazioni. Lo poniamo accanto a Mario Fani e a Giovanni Acquaderni («preghiera, azione e sacrificio»), tra i nostri cofondatori, gridando a tutti e a ciascuno - anche ai suoi uccisori - che il primo presidente del 2° centenario dell'Aci è morto seminando speranza». Bachelet fu un uomo ottimista, «cristiano ecclesiale, mai clericale, mai contrapposto» (don Pino Scabini): «Cerchiamo di non essere profeti di sciagura e di guardare alle cose con realismo e serenità : di vedere rischi e pericoli e anche le possibilità di bene». La sera prima di essere assassinato confidò a un giornalista: «Per conto mio vivo nella fiducia che piccoli segnali possano diventare una grande luce».
«Di Bachelet porto nel cuore soprattutto la testimonianza di un laico cristiano capace di incarnare con chiarezza e coerenza i valori in cui credeva, di vivere con carità la passione per la politica e per l'impegno civile, inteso soprattutto come servizio all'uomo, alla comunità , come ricerca costante del bene comune ed esercizio coerente delle proprie responsabilità . Credo che questa sia stata la sua più grande lezione. Una lezione che è diventata per me una specie di consegna, il riferimento a cui tendere per vivere oggi la mia vocazione politica» (Rosy Bindi).
VITTORIO BACHELET (1926-1980)
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