Scuola. La madre di tutte le riforme. L’autonomia
Che la scuola italiana non sia la migliore delle scuole possibili sono in tanti a esserne convinti. Obsoleta, disorganizzata, condotta da personale a volte demotivato anche perché scarsamente retribuito, distaccata dalla realtà . Spesso scioccamente severa e frustrante, pronta a mortificare gli alunni in nome dell'oggetività delle prove (senza il sospetto che dietro tali prove c'è qualcuno che ci prova e si mette alla prova) o in nome di un presunto sapere «oggettivo». Incapace di educare globalmente i ragazzi tenendo conto della complessità del momento che stanno vivendo e sollecitando l'autostima, l'accettazione di sé, primo motore della formazione culturale, indispensabile per superare le difficoltà della vita e dare un senso alle fatiche della scuola. Tant'è vero che molti, troppi, frustrati e avviliti, lasciano la scuola anzitempo, prendono altre vie, a volte drammatiche, come quelle della droga e del suicidio. Afferma questo e altro ancora Umberto Galimberti in un bell'articolo su «la Repubblica» del 23 giugno scorso, nel quale tra l'altro scrive: «Tutti sappiamo che non si dà apprendimento senza gratificazione emotiva e l'incuria dell'emotività , o la sua cura a livelli così sbrigativi da essere controproducenti, è il massimo rischio che oggi uno studente andando a scuola corre».
Che in una scuola così ci sia molto da fare, sono tutti d'accordo e da tempo immemorabile. Ma ogni volta che qualcuno ha provato a metterci le mani per cambiare, se le è bruciate; troppi gli interessi toccati: ideologici, corporativi o di bottega. Si è preferito allora rattoppare, magari con sperimentazioni anche significative ma scoordinate.
Ora, dopo tanti progetti abortiti, uno sembra destinato a materializzarsi (sempre che non incappi in un'ennesima crisi di governo), ed è la riforma proposta dal ministro della Pubblica istruzione Luigi Berlinguer: una positiva «rivoluzione copernicana», per alcuni; una iattura da evitare a tutti i costi, per altri. La scuola è un segmento vitale per un paese e investire bene su di essa vuol dire ipotecare positivamente il futuro, per questo è giusto che ci sia dibattito, anche feroce, purché non si impantani ancora nelle discussioni e nelle diatribe dietro le quali mascherare interessi e privilegi di casta o di partito, in barba agli alunni, il cui solo interesse dovrebbe invece prevalere.
La riforma Berlinguer, dunque. I cambiamenti che essa propone sono notevoli. Uno, il nuovo esame di stato (ex esame di maturità ), ha già affrontato la prova dei fatti e, sembra, con esiti meno infausti di quanto previsto anche se alcuni aggiustamenti saranno inevitabili. Un altro, l'innalzamento progressivo dell'obbligo scolastico fino ai 18 anni, come avviene in tutti i paesi europei, prende il via da questo settembre, aggiungendo per ora un solo anno. L'autonomia scolastica, sulla quale diremo più diffusamente, viene già sperimentata in alcune regioni del Nord (Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Piemonte) e diventerà obbligatoria a partire dall'anno 2000. C'è, infine, il riordino dei cicli scolastici, che costituisce ancora materia incandescente di un vivace contendere, tant'è vero che qui i giochi non sono ancora fatti. Riforma buona, riforma cattiva? Di certo vasta e complessa. Ve ne proponiamo alcuni momenti; a voi, se vi interessa, il compito di approfondirla e di giudicarla.
L'autonomia, dunque, definita la madre di tutte le riforme, e giunta ormai alla prova dei fatti, dopo una lunga e complessa elaborazione avviata nel gennaio 1998 con la stesura di un primo testo da parte dell'ufficio legislativo del ministero (sulla scorta dell'articolo 21 della legge 15 marzo 1977, n. 59 della legge Bassanini), poi inviato alle scuole per una consultazione generale conclusasi il 30 giugno scorso. Le singole scuole (8.984, il 68 per cento del totale) hanno inviato le loro osservazioni ai provveditorati agli studi, i quali, attraverso i Nuclei di supporto all'autonomia, hanno ordinato tutto il materiale (19.203 documenti) e poi trasmesso le relazioni finali al gruppo di lavoro del ministero, che ha rivisto il testo tenendo conto delle osservazioni e suggerimenti apparsi più fondati e più ripetuti.
Ma che significa autonomia? Ne abbiamo parlato con il professor Giovanni Chioetto, preside del «Marconi», l'istituto tecnico che in Padova ha il maggior numero di allievi (1.300, 155 docenti, 63 ausiliari, 57 classi), corsi diurni e serali, laboratori ben attrezzati; sforna periti in meccanica, termotecnica, elettronica ed automazione. «Tecnici molto ricercati - ci dice - , se ne avessimo il doppio non faremmo fatica a collocarli nel mondo del lavoro». Il preside Chioetto fa parte dei Nuclei di supporto che assistono le scuole padovane che stanno sperimentando l'autonomia. Per farci capire l'importanza di quel che sta avvenendo, parte da lontano. Oggi - dice - il sistema scolastico ha una struttura piramidale: al vertice c'è il ministero, più sotto i provveditorati, alla base le scuole. Il ministero è diviso in tante direzioni generali, una per ogni ordine e grado di scuola. Il ministro Berlinguer intende smantellare questa struttura per crearne una più agile, e mutare il tipo di rapporto. Sinora tutto quello riguarda la scuola viene dal ministero passando per i provveditorati; il ministro intende demandare gran parte di tutto questo alle singole scuole, riservandosi la definizione degli obiettavi nazionali del sistema di istruzione con l'indicazione del 70 per cento dei curricoli scolastici, lasciando la scelta del restante 30 alle scuole stesse, i cui punti di riferimento saranno gli enti locali, regione, comune e provincia, in collaborazione con le università e altri soggetti pubblici e privati. Gli stessi provveditorati, che ora gestiscono le scuole a livello provinciale, diventeranno centri di consulenza e di servizi.
L'autonomia - ci informa il professor Chioetto - coinvolge principalmente tre settori: la didattica, l'organizzazione e la ricerca. Ciò consente alla scuola di organizzare in base alle proprie esigenze gli orari delle lezioni, la composizione delle classi, superando i vincoli in materia di unità oraria della lezione e dell'unitarietà del gruppo di classe; di introdurre la «settimana corta» purché non inferiore a cinque giorni, e una più libera utilizzazione del calendario scolastico nel rispetto del monte ore annuale previsto per le singole discipline...
A ogni scuola spetta, poi, la scelta di quel 30 per cento di materie che il ministero le riserva, tenendo presenti le esigenze dei ragazzi e del territorio. Ma soprattutto deve elaborare il Piano dell'offerta formativa (Pof), indicando le finalità e gli obiettivi da raggiungere, i modi e i tempi, gli strumenti e le risorse di cui si avvale, tenendo conto degli standard nazionali. Deve dire chiaramente che cosa offre agli allievi e alle famiglie, la cui collaborazione è espressamente richiesta, in modo che questi possano scegliere l'istituto che risponde meglio alle loro aspettative e a quelle dei figli.
Insomma, all'interno di un quadro generale, ogni scuola ha ampie opportunità di rinnovarsi, di diventare, se lo vuole e se tutti si applicano con intelligenza, coscienza e impegno, quell'agenzia di istruzione e formazione che ora non è, senza più tanti alibi. Le scuole, inoltre, potranno collaborare, attraverso accordi e convenzioni, tra loro, «in rete», con le università e altri soggetti pubblici e privati per una gestione più oculata ed efficiente delle risorse umane, finanziarie e tecnologiche, anche per restare entro il budget annuale che le sarà riservato e che dovrà gestirsi in proprio.
Il dimensionamento - prosegue il preside - è un primo passaggio verso l'autonomia da compiersi entro il settembre del 2000 e prevede che ogni scuola abbia non meno di 500 alunni e non più di 900. Quattro regioni del Nord (Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Piemonte) hanno già provveduto, secondo i canoni dell'autonomia. Infatti un tempo a decidere se aprire una scuola, chiuderla o accorparla ad altre erano il ministero e il provveditorato. Adesso spetta alla regione in accordo con le conferenze provinciali, formate dal presidente della provincia e da tutti i sindaci. Negli accorpamenti ci sono state sorprese. Si pensava che essi sarebbero avvenuti orizzontalmente, cioè tra scuole dello stesso grado. Ovviamente qualche istituto, in difetto di numeri, avrebbe dovuto unirsi ad altri di paesi vicini e perdere la sede locale: per impedirlo si sono effettuati accorpamenti in verticale, tra scuola elementare e media, ad esempio, salvando però la capra, ma non il cavolo: cioè qualche preside o direttore didattico ha dovuto far fagotto.
Di questa scuola-azienda il preside conclude il professor Chioetto - diventa il manager (stanno tutti frequentando corsi per entrare nel nuovo ruolo), che deve anzitutto rispondere della qualità e dei risultati. Compito non agevole perché non può scegliersi le persone che ritiene più preparate per raggiungere questi risultati. Gli insegnanti vengono assunti tramite graduatorie nazionali, non legate alla professionalità , ma all'anzianità di servizio e ad altri parametri estranei al merito. C'è un tentativo, inserito anche nel contratto di lavoro, di riconoscere la professionalità , tenendo conto anche dei titoli acquisiti. Il preside attualmente ha quattro collaboratori scelti dal collegio dei docenti, tra i quattro può scegliersi quello che lo sostituisce. Si vorrebbe cambiare il meccanismo, ma ci sono delle resistenze dei sindacati.
Maggiore fantasia. La scuola dell'autonomia richiede, dunque, molto più impegno, più fantasia, maggiore coinvolgimento e partecipazione delle famiglie e degli studenti.
Studenti e genitori guardano con interesse a questa prospettiva, al coinvolgimento diretto che si prospetta per loro nel modello di una scuola più viva, pronta a ricevere linfa dal tessuto locale. Dentro la scuola statale resta, però, un timore: che questo caricare di responsabilità i diretti interessati sia un modo per alleggerire lo stato di oneri e competenze, che ad avvantaggiarsi del nuovo corso siano le realtà già forti e si accentui il divario tra scuole che funzionano e scuole che arrancano, tra aree diverse del nostro paese.
La scuola italiana si è impegnata ad allinearsi agli standard europei proprio nel momento in cui si limavano le spese per contenere il deficit e sanare il bilancio pubblico. Anche questa tendenza al risparmio ha la sua parte nello scetticismo di alcuni.
Oggi la scuola perde per strada un gran numero di ragazzi: alcuni se ne vanno prima di concludere le medie, la maggior parte degli abbandoni e degli insuccessi si concentra nei primi due anni della scuola superiore. Per chi arriva alla fine, le prospettive sono spesso incerte. Il lavoro resta una realtà lontana dal mondo scolastico, l'approdo all'università in troppi casi si traduce in inutile dispendio di tempo e denaro. Su questi terreni soprattutto si dovrà valutare l'esito della riforma; sulla capacità della scuola di orientare i giovani, motivarli - come sostiene Galimberti - , e prepararli ad affrontare la società complessa che li attende.
LE ALTRE RIFORME
Il nuovo esame di stato. Pluridisciplinare, ha per oggetto le materie curriculari dell'ultimo anno; prevede tre prove scritte e un colloquio. Il punteggio viene attribuito in centesimi, si supera l'esame con un minimo di 60/100. La commissione esaminatrice è composta per metà da docenti della classe e per metà da docenti esterni. Sparisce il giudizio di ammissione, compaiono i crediti scolastici e formativi. I metodi di valutazione e i criteri di giudizio in teoria sono più oggettivi. |
PRO E CONTRO
Su l'autonomia abbiamo sentito il parere di alcuni dei protagonisti nei quali emergono anche critiche e perplessità . I genitori vogliono contare. L'autonomia è un modo nuovo di esser presenti nella scuola - afferma il presidente dell'Age (Associazione genitori), di ispirazione cattolica, Giuseppe Richiedi - Autonomia significa responsabilizzare la scuola non solo verso l'alto (ministero e provveditorato), ma anche verso i ragazzi, le famiglie, l'ambiente, il mondo del lavoro. Vuol dire dover rendere conto non solo ai burocrati, ma anche alle famiglie e agli studenti, che hanno diritto a prestazioni qualificate. Genitori e studenti sono anche cittadini, hanno la loro parte da giocare per arrivare ai risultati. I ragazzi sono i primi titolari della formazione. Il centralismo non produce qualità , perché sposta l'attenzione sulla forma più che sui risultati. Gli studenti approvano perplessi. Le novità in cantiere sono apprezzabili e anche discutibili - dice Claudia Coppola, presidente della Consulta studentesca di Brescia e coordinatrice dell'Uds (Unione degli studenti). L'autonomia è la più grande innovazione, ma ancora non si capisce come si dovrà gestire. Resta il rischio di ritrovarsi con un preside manager e con scuole che assomigliano a delle industrie. Per noi l'autonomia significa un forte protagonismo degli studenti. Il docente ha già la possibilità di far valere la propria opinione: c'è il rischio che trovi una certa difficoltà ad adeguarsi a una normativa che prevede l'incontro delle due componenti. Occorre un lavoro di sensibilizzazione. I dubbi del personale della scuola. Anche il personale della scuola, gli insegnanti, è interessato ai cambiamenti e per inserirsi in modo utile sta cercando dì cambiare mentalità . Lo afferma Achille Massenti, vicepresidente del Consiglio nazionale della Pubblica istruzione, per il quale l'autonomia è una grande scommessa, per la rivalutazione della scuola pubblica. Molte cose cambiano per gli insegnanti abituati a seguire le direttive nazionali. Interessanti le prospettive dell'autonomia, ma ci sono le condizioni perché vengano realizzate? L'autonomia prevede l'offerta di opzioni, ma i laboratori scarseggiano e le strutture in certe zone sono quel che sono, si fanno ancora i doppi turni. C'è il rischio che l'autonomia parta in condizioni inadeguate. |
RIFORME
DOVE INFORMARSI
A colloquio con il professor Luciano Corradini, ordinario di pedagogia all'università di Roma e presidente dell'Ucim, l'Unione cattolica degli insegnanti medi. MSA. In redazione arrivano molte lettere di ragazzi che chiedono consigli, preoccupati del loro futuro e già avviliti nella difficile ricerca di una realizzazione nel mondo del lavoro. Com'è possibile aiutarli a sperimentare concretamente le loro attitudini negli anni della formazione, e insieme garantire quel buon livello culturale che la complessa realtà di oggi richiede? La scuola buona la fanno, sostanzialmente, i docenti bravi. Riuscirà il megaconcorso lanciato dal ministero a innalzare la qualità dell'insegnamento? Il protagonismo degli studenti: uno slogan da riempire di contenuti o una risorsa su cui già si può contare? Fabrizio Condò |