Tra eremo e mondo
Se c'è probabilmente una parola che, accostata a Francesco d'Assisi, sembra addirittura stridere, questa è senz'altro: eremo. In effetti facciamo fatica a pensare a Francesco, il fratello universale, l'amico delle creature, il servo dei lebbrosi e di tutti i poveri, il «frate» per eccellenza, che prende su e se ne va a fare l'eremita, a viversene tutto da solo in qualche grotta.
E abbiamo perfettamente ragione.
Se però ci sono dei luoghi francescani che più di altri sembrano avere il potere di evocarci quasi la persona stessa del Poverello di Assisi, questi sembrano proprio essere quegli eremi che abbiamo appena criticati. Fino al punto di ritenere che è esattamente da queste parti che si deve ricercare lo spirito autentico di Francesco, altrove forse tradito.
Chi non si è commosso alle Carceri? Chi non è riuscito in qualche modo a sentirsi in francescana sintonia con tutto il creato allo Speco di Narni? Chi è potuto rimanere insensibile ai richiami dello Spirito a Montecasale? Quale luogo più della Verna per «assaggiare» l'incredibile rapporto di amicizia che ci fu tra Francesco e il suo Dio? E, d'altro canto, non ci sembra che di fronte a tanti grandi conventi e chiese francescane la radicalità e la povertà dei frati, e quindi la loro testimonianza, sia un po' ... annacquata?!
Anche in questo caso, mi sa che abbiamo perfettamente ragione.
Francesco, che orgoglioso mostra a madonna Povertà , dall'alto di un monte, il mondo intero e lo indica come «il chiostro» dove i suoi frati vivranno, pregheranno e opereranno, dove cioè saranno chiamati a incontrare Dio e i fratelli, è lo stesso che, calendario alla mano, trascorreva centinaia di giorni all'anno in preghiera in qualche luogo solitario.
I suoi biografi ce lo descrivono mentre lava le piaghe ai fratelli lebbrosi, eppure tra i suoi scritti ne è conservato uno apposta per quei frati che volessero andare a trascorrere un certo periodo di tempo in un eremo.
A un frate, probabilmente un superiore stanco, che gli chiede licenza per ritirarsi a vita eremitica, perché la vita fraterna certe volte è davvero diversa da come uno se la immaginerebbe (di solito meno comoda e ideale...), consiglia piuttosto di comportarsi così «Ama quelli che ti procurano fastidi, e non voler altro da loro, se non quanto il Signore ti darà , e in questo amali; e non pretendere che per te siano migliori cristiani. E ciò ti sia più che vivere in un eremo».
Potremmo citare, infine, anche sant'Antonio, diviso tra la contemplazione (la grotta di Montepaolo, il noce di Camposampiero) e l'azione (gli interventi a favore degli usurati a Padova, la predicazione, l'ambasceria dal tiranno Ezzelino), ma mi sembra che ormai a questo punto abbiamo colto il senso dell'eremitismo francescano.
È Dio che «costringe» Francesco alla solitudine. Ed è lo stesso Dio, quello conosciuto nel Vangelo attraverso Gesù, che gli «ordina» di farsi fratello e servo di tutti. Per Francesco non c'è contrapposizione o contraddizione tra questi due poli e soluzioni: l'equilibrio non era probabilmente da risolvere in un senso o nell'altro, ma eventualmente da vivere in tutta la sua tensione e drammaticità .
L'esigenza è la stessa: cercare lo Spirito di Dio, dovunque si annidi! Perché l'uomo, Francesco d'Assisi, ciascuno di noi, ha diritto di respirare con entrambi i polmoni: quello dell'azione e quello della contemplazione; ha diritto di sentirsi «unificato» in entrambi questi aspetti così essenziali della struttura di ogni uomo e donna credente. Di poter vivere con le mani di Marta e il cuore di Maria.
Francesco, ancora lui, direbbe: ciascuno, al di là della possibilità concreta di trascorrere o meno un periodo in qualche eremo, faccia un eremo in sé, sia «eremo», punto di incontro tra Dio e l'uomo. l