Il Gandhi nero

Combatté con tutte le armi della nonviolenza e dell’amore per far abolire nel suo paese, gli Usa, la discriminazione razziale. Nobel per la pace 1964, fu ucciso quattro anni dopo da un bianco fanatico.
04 Aprile 1998 | di
Chi più giovanissimo non è ricorderà  lo sgomento, la rabbia che ci prese tutti quando il 4 aprile di trent''anni fa agenzie, radio e televisioni di tutto il mondo lanciarono la notizia che a Memphis, nel Tennessee, un fanatico bianco degli stati del Sud, James Earl Ray, sicario di un complotto, aveva assassinato Martin Luther King, l'uomo di colore che si era battuto con tutte le armi della nonviolenza e della persuasione per porre fine a una discriminazione che privava la sua gente di alcuni fondamentali diritti civili.

Sgomento e rabbia, ma non sorpresa. Perché quella di Luther King fu una morte annunciata. Lui stesso alcuni giorni prima del tragico evento aveva confessato ai genitori: .

Quando lo aveva solo 39 anni. Contrariamente a tanti neri, aveva avuto la fortuna di studiare, di laurearsi, preparandosi un futuro che, nonostante la discriminazione razziale, avrebbe potuto essere brillante e tranquillo. Ma aveva frequentato troppo la Bibbia, per far finta di nulla. Discriminazione era questo: un nero non poteva frequentare le scuole dei bianchi, non poteva andare negli stessi bar, utilizzare lo stesso rubinetto dell'acqua potabile; sugli autobus si doveva accomodare in fondo, pronto a cedere il posto ai bianchi che, convinti della loro superiorità , sostenevano: you're white, you're right; if you're black, stay back: se sei bianco, hai sempre ragione, se sei nero, fatti da parte.

Ad una carriera brillante preferì allora il ruolo di pastore nella chiesa battista di Holt Street, a Montgomery, una cittadina del Sud, dove più violento era l'odio razziale, dove imperversava con feroci scorribande il Ku-Klux-Klan. Tra i suoi fedeli, tutti di colore, i più subivano in silenzio la discriminazione per paura delle rappresaglie. Solo pochi reagivano, ma cedendo alla tentazione della violenza: una scelta sbagliata e suicida per il reverendo King, che alla scuola del Vangelo aveva imparato la legge della nonviolenza e dell'amore, anche per i nemici. Però quel reagire era un buon segno, una potenzialità  che poteva essere trasformata in una travolgente e pacifica forza di liberazione. Come? I fatti gli diedero presto l'opportunità  di dimostrarlo dal vivo.

Una donna di colore, Rosa Parks, era stata arrestata perché, salita sull'autobus al termine di una dura giornata di lavoro come commessa di un grande magazzino, s'era rifiutata di cedere il posto a un giovane bianco. Il fatto, avvenuto il 1 dicembre 1955, aveva scatenato la rabbia dei neri in tutta la città . Per impedire che la rabbia degenerasse in violenza, il reverendo King, propose alla sua gente lo stile di Gandhi: boicottare pacificamente i mezzi pubblici: .

Gli diedero ascolto, e nessun nero per settimane prese i mezzi pubblici. Le minacce del Ku-Klux-Klan, le bombe lanciate nelle case e nelle chiese, le umiliazioni, gli arresti e il carcere non riuscirono a distogliere King e i suoi uomini dalla loro pacifica protesta, che scosse l'opinione pubblica non solo americana, tanto da indurre la Corte suprema degli Stati Uniti (novembre 1956) a dichiarare incostituzionale la discriminazione sui mezzi pubblici.

Fu questa la prima di tante lotte nonviolente di King, e del movimento che attorno a lui si coagulò: molte vinte, alcune perse; ma furono tante picconate che finirono con l'abbattere - sulla carta almeno - il muro di intolleranza razzista che negava nei fatti che gli uomini fossero tutti uguali. Dopo alcuni successi parziali (ad Atlanta, in Georgia, a Birminghan, in Alabama, dove la polizia si scatenò con ferocia inaudita contro i dimostranti provocando una strage...) venne finalmente la soluzione finale sancita dal presidente Johnson, il 2 luglio 1964, con una legge che concedeva al governo federale la facoltà  di eliminare la discriminazione razziale, e con una seconda legge dell'anno successivo che estendeva il diritto di voto a tutti i cittadini, nericompresi.

La lotta di Luther King negli ultimi anni s'era spostata negli stati del Nord e dell'Ovest, a Chicago, New Jork, Los Angeles, dove la discriminazione razziale era stata abolita da tempo, ma dove i neri - ma anche bianchi - erano confinati in ghetti di miseria e di abbandono. E a Memphis, era andato per sostenere una battaglia per i diritti di tutti i poveri a un'esistenza più dignitosa.

Nelle sue battaglie, pur molto decise, Luther King non fece mai ricorso alla violenza. Quando doveva subire quella della polizia - e succedeva spesso - era solito inginocchiarsi a terra con i suoi compagni e mettersi a pregare. E se succedeva che qualche dimostrante ricorresse alla violenza, lui abbandonava immediatamente il corteo, perché avevano tradito lo spirito che animava le sue azioni, e che in un celebre discorso del 1963 aveva così ribadito: 'Ai nostri fratelli bianchi, che si trovano ovunque negli stati del Sud e che vogliono continuare a dominarci, dobbiamo dire: 'Per quanto grande possa essere il dolore che ci infliggete, noi vi opporremo la nostra capacità  di sopportare qualsiasi sofferenza. Alla violenza delle vostre armi, opporremo la forza delle nostre anime. Non vi odieremo, la nostra coscienza ci impedisce però di obbedire alle vostre leggi malvage. Fate di noi ciò che volete. Minacciate anche i nostri figli, e noi continueremo ad amarvi. Disprezzateci pure, considerandoci privi di dignità , ma noi vi ameremo ancora. Se volete, gettate bombe sulle nostre case, fate saltare le nostre chiese: noi continueremo ad amarvi. Vinceremo solo con la capacità  di soffrire e con la nostra vittoria otterremo solo la nostra libertà ; vi toccheremo anche il cuore e scuoteremo le vostre coscienze in modo tale che riusciremo a guadagnarvi alla nostra stessa causa''.

Molti bianchi si schierarono dalla sua parte. E quando durante una manifestazione ad Atlanta, sua città  natale, venne incarcerato, si mosse lo stesso presidente John Kennedy, che incaricò il fratello Bob, ministro degli Interni, a trattare di persona la sua liberazione. Il premio Nobel che il re di Svezia, Olaf V, gli conferì nel 1964 fu ampiamente meritato.

Ricordo un amico italoamericano, che aveva aderito giovanissimo al movimento di King, memore delle angherie subite dai suoi, emigrati da un paese del Veneto. Aveva partecipato alla celebre manifestazione per i diritti civili svoltasi a Washington il 28 agosto 1963. Confuso tra i duecentocinquantamila dimostranti aveva ascoltato il toccante discorso di Luther King, quello che cominciava così: , ed era il sogno di un mondo nella libertà  e nell'uguaglianza di tutti gli uomini perché fratelli. Ne ricordava a memoria alcuni passaggi e me li recitava con il tono commosso e fiero di chi poteva dire: c'ero anch'io. Successe qualche anno fa, e nel nostro paese, dichiaratamente antirazzista, già  affioravano segni di insofferenza verso gli immigrati che cominciavano a popolare il nostro paese. .

E la lezione di King veniva direttamente dal Vangelo: una lezione di amore per tutti, di rispetto e di impegno perché a tutti siano concessi gli stessi diritti e le stesse opportunità , perché siamo tutti figli di uno stesso Padre. Luther King aveva portato alle estreme conseguenze la lezione, amando di un amore così grande da dare la vita...

Da Atlanta a Memphis

Martin Luther King nacque il 15 gennaio 1929 ad Atlanta, in Georgia. Nel 1955 si laureò in filosofia all'università  di Boston. Divenuto parroco di una comunità  battista a Montgomery, in Alabama, divenne il capo carismatico di un movimento che si batté pacificamente per i diritti civili negli Stati Uniti, ispirandosi ai principi cristiani di amore, libertà  e giustizia.

King risvegliò la coscienza dell'America con dimostrazioni di massa dalle quali era bandita ogni violenza, sullo stile di Gandhi. Ottenne così che nella legislazione federale americana venisse abolita la discriminazione razziale. Nobel per la pace nel 1964, fu assassinato a Memphis il 4 aprile l968.

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017