Gentile signora,
Lei ha occupato a lungo le cronache dei giornali per una vicenda umana che prende l'avvio dalla sua, diciamo così, professione - la più antica del mondo - e dal panico che ha scatenato nel Ravennate il saperla affetta dall'Aids, quindi potenziale dispensatrice di malattia grave, se non anche di morte. Ma più ancora, paradossalmente, ha creato sconcerto e discussione la sua intervista televisiva.
Al centro della questione, in definitiva, è rimasto non tanto il problema del contagio da lei forse diffuso, e di conseguenza la sciagurata situazione sua e dei suoi clienti, quanto l'incapacità delle istituzioni di tutelare la comunità di cui lei si dà quasi per scontato non faccia più parte.
Il suo 'caso' ha provocato reazioni diverse. Chi propone il ritorno alle 'case chiuse' pensa che in tal modo si possa ridurre la diffusione del male - avendo in mente un severo e infallibile sistema di controlli sanitari - e che gli obbrobri della 'libertà ' giustifichino a iosa quelli della 'prigionia'; chi è contrario obietta che si può contrarre l'infezione, e trasmetterla, anche dopo il test più favorevole se non si osservano le ben note precauzioni; infine, qualcuno avverte che non è possibile imporre l'obbligo di un esame per accertare la presenza dell'Aids nemmeno a chi esercita il suo mestiere, signora, a meno che non si voglia ignorare quanto hanno stabilito, in proposito, l'Organizzazione Mondiale della Sanità , il programma mondiale delle Nazioni Unite contro l'Aids, e l'Unione europea.
Non basta: se le 'case' venissero riaperte - o sotto la forma di cooperative di professioniste, come qualcuno propone, o di 'Eros center', sul modello tedesco degli stabilimenti a luci rosse - e anche prevedendo che test di sieropositività , documenti e controlli fossero liberamente accettati, si tratterebbe pur sempre di isole, per dir così, sterilizzate, intorno alle quali continuerebbe il libero, incontrollabile, degradante mercato del sesso con tutto il suo campionario: passeggiatrici, squillo, trans, viados.
Peraltro, una stretta rete di esami - con la segregazione, diciamola tutta, per chi trasgredisce - non sarebbe realizzabile se non in uno stato di natura poliziesca. Eppure l'ipotesi ogni tanto ritorna, portata dalle ondate dei 'dagli all'untore' che il terrore dell'Aids, la peste del nostro tempo, scatena. Non importa se gli scienziati dicono che, a veder bene, in Occidente l'infezione è in calo, e i calcoli giornalistici sui possibili contagi risultano cervellotici: l'uso della paura, non di rado spettacolare e suggestivo, crea un clima di linciaggio. Prima di tutto in Tv, alla radio e sulla stampa, è vero, anche se non meno micidiale è il porta a porta, il salotto, il tram, il mercato.
Tempo fa - nel suo ambiente, signora, credo se ne sia molto discusso - le cronache hanno riferito di un tale che, infettato in un rapporto occasionale con una prostituta, aveva poi trasmesso l'Aids alla moglie e a un figlio di pochi mesi 'condannandoli a morte'. Allora, per vendicarsi, si era messo a violentare le 'lucciole' più giovani che incontrava, con il disperato e criminale proposito di 'restituire' loro, in qualche modo, la sua tragedia. E così è stato - parecchie volte, come forse ricorderà - finché una delle vittime non l'ha fatto arrestare.
L'incoscienza da una parte, e il rancore dall'altra, possono dunque generare mostri. E qui da noi, tutto sommato, siamo ancora indietro; negli Stati Uniti ci precedono di molte lunghezze. Prenda ad esempio il caso di Ann Blakenschip: ammalata di Aids, contratta attraverso una siringa infetta, Ann sorride, si muove e parla con la sicurezza di chi sbaglia per natura. 'Prima mi iniettavo cocaina liquida, adesso non mi buco più: sono passata al crack, ne fumo venti o trenta dosi al giorno, circa trecento dollari di spesa', racconta agli inquirenti la terribile diciannovenne di Miami.
Per racimolare tutto quel denaro, Ann - capelli biondi ossigenati, tacchi altissimi, forte somiglianza con Jodie Foster, la piccola prostituta di Taxi Driver - scende ogni sera nei bassifondi della metropoli e batte i marciapiedi in attesa del cliente che apra la portiera dell'auto. Ne trova sei o sette per notte.
Lei, signora, più esperta di me, può valutare se è una cifra credibile. Secondo i calcoli della Procura distrettuale la ragazza, da quando l'Aids l'ha infettata, ha avuto rapporti sessuali con più di settecento uomini. 'Naturalmente non dico mai che sono malata, mica sono matta! Mi ucciderebbero. Nella borsetta ho i profilattici, ma quasi nessuno me li chiede'. Per la dodicesima volta Ann Blakenschip è finita nel carcere femminile di Dade Country, naturalmente in isolamento. Ma dopo un mese ha diritto di tornare in libertà .
'Bisognerebbe - dice il giudice di Miami, Max Newman - che la legge cambiasse, permettendoci di segregare una prostituta ammalata di Aids per un tempo molto, molto più lungo. Oggi, invece, possiamo condannarla solo a un massimo di sessanta giorni. Per tenerla sempre dentro, ogni volta che esce di prigione dovremmo farla seguire da un poliziotto pronto ad arrestarla non appena contagia un cliente'.
E qui, a parte i garantisti che a priori rifiutano per Ann una specie di ergastolo, anche se pausato dalla legge, e il diffuso rancore della gente verso la ragazza, le istituzioni umanitarie si dividono con perfetta equità tra il raccapriccio per le vittime e la pena per Ann. Ma nessuno dice che questa ragazza andrebbe, intanto, affidata a uno psicologo, se non anche a uno psichiatra. È mai possibile, signora, che pur sapendo cos'è l'Aids, la ragazza non premunisca i suoi sprovveduti clienti, e non salvaguardi se stessa, rispetto alla legge, esigendo l'uso del profilattico? Capisco che, rivolta proprio a lei, la domanda è retorica, ma non posso fare a meno di annotare che il male di Ann, e per certi versi suo, sta proprio nella certezza del rischio e nella consapevolezza di farlo correre. E qui sorge una domanda: perché nei confronti di una congrega di maschi animalmente pronti anche a prendersi l'Aids non vengono promosse campagne non dico dissuasive, ma almeno ricche di informazioni e di specifici suggerimenti? È plausibile che nei confronti delle possibili 'untrici' non possano essere prese misure efficaci?
Gli è che una materia di così grande delicatezza, anche umana, finisce in mano a improvvisati, drastici, sommari censori. 'I comportamenti di Ann non sono paragonabili a quelli di una persona normale', afferma un giudice di Miami. 'Una donna che diventa prostituta - aggiunge - era già predisposta alla devianza'. Come dire che, trattandosi di una creatura biologicamente e psichicamente prostituta, la condotta di Ann è naturale! Un assurdo grave, persino razzista: Miami non può produrre prostitute perché prostitute si nasce! Con il risultato che al centro della questione non ci sono più, in ossequio al pregiudizio, la malattia sciaguratamente diffusa, lo stato dei 'clienti' e la situazione di chi ne è responsabile, ma una legge che avrebbe il difetto di non consentire, in casi come questo, un imprigionamento perenne! Che essa non preveda per l''untrice', prima di tutto, una visita 'specialistica', ripeto, è irrilevante: la legge ha torto comunque perché non tutela la comunità . Della quale chi ha trasgredito non fa più parte.
Non ho citato il caso di Ann, signora, per cogliervi analogie con il suo, ma per affrontare il tema del rapporto tra il lecito e l'inaccettabile, tra i doveri pubblici e i diritti privati, tra le colpe di chi agisce e di chi subisce, tra il portatore di Aids e la sua vittima. Personalmente, signora, pur mantenendo tutte le mie riserve, anche forti, su ciò che la riguarda, credo di dovervi aggiungere quelle per il comportamento di chi si è fatto sua possibile vittima, per giunta volontaria. Quei signori che portano nel letto magari coniugale la conseguenza dei loro inconfessabili commerci amorosi, mi paiono addirittura meno difendibili di lei, signora, che pure non è davvero esente da colpe gravi.
Quanto, poi, al lagnarsi per lo spettacolo di squallore e di indecenza che la prostituzione offre in forme sempre più plateali, agendo in ogni angolo di strada, il popolo della cosiddetta gente perbene - inflessibile con un'indecenza a occhio nudo e tollerante con altre meno indecenti o addirittura lecite se protette da buio o tenute, comunque, nascoste - dovremmo affrontare il fenomeno non limitandoci a vedere solo il volto che assume. 'Sette donne italiane su dieci - è scritto in un titolo di giornale - sono per le 'case chiuse''. Soltanto tre, dunque, si chiedono se dentro questa vita, che abbiamo ricevuto con viatici di partenza così diseguali, è possibile dividere il bene dal male, o viceversa, senza farsi carico di ciò che i più fortunati, o i più forti, sono in grado di rifiutare, mentre ai più sfortunati e ai più deboli non resta che accettare la vita così come si presenta; anche la più dissennata, anche la più turpe.
Con la sua vicenda lei ha dunque riproposto, signora, il problema di tornare alle 'case chiuse': per ragioni di decenza, di salute e infine per sottrarre le 'lucciole' allo sfruttamento.
Questa idea di relegarle lontano dai nostri occhi, invisibili nel cuore stesso della nostra città , la dice lunga sulla natura di un terrore pronto a farsi vivo solo quando s'impennano le conseguenze di un agire scriteriato, tra lunghi sonni dell'intelligenza e della morale. O più semplicemente della consapevolezza e del buonsenso.
Lei, in ogni caso, rappresenta un segnale che dovrebbe ammonire tutti. Si assuma le sue responsabilità , sapendo che è in compagnia di un gran numero di 'complici', diretti e indiretti. Non tutti migliori di lei, che pure è al centro di una desolante vicenda.