Le insidie alla pace
Il nuovo millennio che si avvicina porrà alla comunità internazionale le sue sfide fondamentali essenzialmente sull'aspetto della tutela dei diritti umani. Tale tutela, nell'opinione dei commentatori più attenti ai rapporti tra popoli e nazioni, costituisce la maggior garanzia di difesa e di ripristino, ove violata, della pace. Di questo argomento abbiamo parlato con il professor Antonio Papisca, direttore del Centro di studi e di formazione sui diritto dell'uomo e dei popoli dell'università di Padova, da sempre impegnato sul fronte dei diritti umani.
Msa. Professor Papisca, il presidente cinese, Jiang Zemin, durante la sua visita negli Stati Uniti ha detto che i diritti umani non sono un valore assoluto, ma relativo. Come giudica questa affermazione? Papisca. Da un punto di vista giuridico, filosofico e morale, dire che i diritti umani sono un fatto relativo non regge. I diritti umani sono bisogni vitali della persona: materiali e spirituali. Il legislatore - da circa cinquant'anni anche il legislatore internazionale - chiama questi bisogni vitali 'diritti fondamentali' della persona. Oggi la Cina deve fare i conti con i diritti umani internazionalmente riconosciuti. Ci sono alcune prese di posizione da parte di questo paese che sono contraddittorie rispetto a quanto detto dal premier. Prossimamente, infatti, la Cina ratificherà la convenzione giuridica internazionale sui diritti economici, sociali e culturali in vigore dal 1976. Di fatto sta accedendo al sistema internazionale dei diritti umani, ovviamente con tutte le cautele che un regime ancora fortemente autoritario non può non adottare.
Quali sono i diritti umani fondamentali? I diritti umani riconosciuti dalle carte giuridiche internazionali sono circa trenta. Si tratta di una lista aperta: si parte dal diritto alla vita, all'integrità fisica e psichica, al diritto al lavoro, all'educazione, alla libertà di associazione, fino ad arrivare ai diritti cosiddetti di garanzie processuali. I diritti umani sono sia civili e politici, sia economici, sociali e culturali, e vanno interpretati e applicati, quindi protetti e promossi, alla luce del principio di interdipendenza e indivisibilità dei diritti stessi. Per cui il diritto al lavoro, il diritto all'assistenza sociale in caso di necessità sono diritti fondamentali quanto il diritto alla libertà di associazione e il diritto alla libertà di espressione. Il principio di interdipendenza e di indivisibilità di tutti i diritti umani risponde al dato ontologico dell'integralità della persona umana: anima e corpo, spirito e materia.
Oggi la mancata tutela dei diritti umani viene riferita dalla stampa internazionale come un problema riguardante soprattutto i paesi comunisti: in particolare Cuba e Cina. È proprio così o ci sono altri stati che violano impunemente questi diritti? Se prendiamo i rapporti annuali di Amnesty International ci accorgiamo come si verifichino violazioni dei diritti umani anche in paesi cosiddetti 'democratici'; per esempio, per quanto riguarda le garanzie processuali e il trattamento nelle carceri. Certamente nei paesi dove vige un regime autoritario è facile trovare violazioni estese e flagranti, quelle che in termine anglosassone si chiamano le Gross Violation.
Professore, può esserci pace senza il rispetto dei diritti umani? La violazione dei diritti umani pone a rischio la pace. Questo dato è ancora più evidente oggi, nell'èra dell'interdipendenza mondiale e della globalizzazione dell'economia, èra in cui sempre più la pace sociale, cioè la pace interna nei vari paesi, è strettamente legata alla pace internazionale, a un ordine mondiale che faccia salvi i diritti fondamentali delle persone. C'è una definizione autorevole di pace nell'articolo 28 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo ove è stabilito che 'ogni essere umano ha diritto a un ordine sociale e internazionale nel quale tutti i diritti e le libertà riconosciute possano essere pienamente realizzate'.
Per quanto riguarda i diritti umani, qual è oggi la frontiera principale: l'Asia, dove c'è un difetto evidente di democrazia, o più ancora l'Africa, dove è in discussione il diritto stesso alla sopravvivenza? In questi continenti non esiste, in maniera diffusa, una vera cultura dei diritti umani. Mi riferisco in particolare all'Africa, un continente dove assistiamo a continui massacri. I diritti umani sono violati dove ci sono regimi autoritari, dove ci sono condizioni di vita degradata, laddove il rispetto per la dignità umana è basso o nullo. Per tutelare, promuovere, proteggere i diritti umani anche in questi continenti ci vuole un grande sforzo di cooperazione internazionale per lo sviluppo umano, in modo che anche i diritti economici, sociali e culturali di quelle popolazioni siano rispettati. I diritti umani si giocano sul terremo concreto, su una rinnovata cooperazione che per essere valida deve principalmente passare attraverso le organizzazioni e i gruppi della società civile. Perché questo avvenga, occorre che gli organismi internazionali, come l'Onu, siano messi nella condizione di essere veramente degli stimolatori, dei contenitori, dei legittimatori di questi programmi.
L'Onu è un'istituzione che ha come compito principale il mantenimento della pace nel mondo. Purtroppo questo organismo ha dimostrato in più occasioni di non essere in grado di far fronte a questo delicato incarico. Come dovrebbe essere riformata l'Onu secondo lei? L'Onu è necessaria, ma va riformata. Dovrebbe avere più potere e quindi capacità di incidere sulla risoluzione dei conflitti, ma allo stesso tempo dovrebbe democratizzarsi, cioè non lasciare il diritto di veto nelle decisioni solo ad alcuni paesi più potenti nello scacchiere internazionale, ma aprirsi agli altri stati che la compongono. Molti stati fanno pressione in questo senso: Canada, Olanda, Austria, Nuova Zelanda, Spagna, Repubblica Ceca e, di recente, anche l'Italia ha fatto sentire la sua voce. C'è in cantiere una riforma del Consiglio di sicurezza (cioè l'organo di governo delle Nazioni Unite) ma il mondo si aspetta una revisione che investa tutta l'organizzazione. Le Ong (Organizzazioni non governative), in particolare, guardano alle sorti delle Nazioni Unite con molto interesse. Esse spesso sono promotrici di proposte interessanti, come quella di istituire una seconda assemblea generale delle Nazioni Unite rappresentativa dei popoli e non degli stati.
Lei vede, quindi, le Ong come strumenti di giustizia e di pace? L'apporto delle Ong si sviluppa su un piano di etica universale. Esse svolgono un ruolo sempre più rilevante nel panorama internazionale con una strategia che possiamo definire come la via pacifica e giuridica alla pace. Gli stati dovranno sempre più confrontarsi con queste Ong. Purtroppo in questo momento gli stati sentono più il condizionamento delle multinazionali economiche, e quindi della globalizzazione dell'economia, che non quello delle Ong.
Lei è direttore del Centro di studi e di formazione sui diritti dell'uomo e dei popoli dell'università di Padova. Quali sono i programmi e le finalità di questa scuola?
Il Centro promuove studi e ricerche in materia di diritti umani, organizza dei corsi annuali di perfezionamento sui diritti della persona e dei popoli, promuove pubblicazioni e fa anche attività di animazione in seno al mondo degli enti locali e al mondo dell'associazionismo. Accanto a questo Centro, opera la Scuola di specializzazione in istituzioni e tecniche di tutela dei diritti umani. È una scuola triennale dalla quale escono specialisti in diritti umani con un titolo legalmente riconosciuto. Attualmente questi specialisti sono impiegati per le missioni internazionali di monitoraggio e di osservazione elettorale; altri sono eletti difensori civici (soprattutto le donne), e altri ancora entrano nel mondo dell'università . Da quest'anno Padova coordina il Master europeo in Diritti umani e democratizzazione, voluto dall'Unione europea. Lo scopo è di formare professionisti di alto livello. Il programma è gestito insieme ad altre nove università europee: da Coimbra, in Portogallo, fino a Abo-Turku in Finlandia. I corsi si svolgono a Venezia, dove abbiamo trovato molta ricettività da parte del comune e della regione. I laureati partecipanti sono cinquantacinque, e quest'anno - cinquantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo - a conclusione degli studi, nell'Aula Magna dell'università di Padova, riceveranno il Master europeo in Diritti umani e democratizzazione.
Quale ruolo svolge la chiesa cattolica e, in particolare la Santa Sede, nella tutela dei diritti umani? Giovanni Paolo II è un grande sostenitore del diritto internazionale dei diritti umani. Lo considero il più grande esegeta scientifico della codificazione internazionale dei diritti umani. Già Giovanni XXIII, nella Pacem in terris, vedeva nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo un segno dei tempi. Altro segno dei tempi, sottolinea la Pacem in terris, è costituito dall'Onu. Da Giovanni XXIII in poi, i papi hanno dato grande rilievo ai diritti umani, e la Santa Sede è presente nei vari organismi internazionali che operano per la tutela di tali diritti. C'è, dunque, un interesse a livello di magistero pontificio. Un'attenzione particolare ai diritti umani viene rivolta da tutta la diplomazia vaticana. Noto ancora dei ritardi nella interiorizzazione di questo messaggio a livello di strutture diocesane. Insomma, il linguaggio di alcuni vescovi e parroci sui diritti umani non è ancora in sintonia con quello della Santa Sede. Eppure trovo ci possa essere una grossissima ispirazione evangelica nell'affrontare questo argomento. Le beatitudini, le opere di misericordia elencate nel Vangelo di Matteo, sono la sostanza e l'ispirazione di quelli che ora noi chiamiamo 'diritti umani'. Come i pontefici hanno compreso la provvidenzialità del diritto internazionale dei diritti umani, così le altre strutture ecclesiali devono capire questa stessa provvidenzialità per una presenza più incisiva nella vita quotidiana.
Qual è il compito di ciascuno di noi per coinvolgerci realmente in questo problema dei diritti umani? Innanzitutto, c'è un dovere di educarsi all'interno di programmi di formazione permanente. I diritti umani costituiscono la sostanza di qualsiasi processo educativo, perché essi sono strettamente legati all'etica individuale e sociale. Sono lo strumento 'laico' che ci consente di poter passare dalla multiculturalità all'interculturalità , da una visione individualistica della vita a una socialità veramente condivisa. Certamente, i diritti umani da soli non bastano; ci vuole una forte motivazione e ispirazione religiosa, una forte motivazione valoriale.