Paolo VI inedito
Quando si studia la personalità di qualsiasi uomo che sia diventato celebre nel bene o nel male, è indispensabile indagare sull'ambiente della sua prima formazione, quali impulsi egli abbia ricevuto per crescere in una determinata direzione morale; come si dice, bisogna riandare alle radici.
Dalla famiglia ci proviene non soltanto la vita fisica; se ne ricevono impulsi ereditari, esempi che influiscono sull'intero sviluppo della nostra personalità ; senza dimenticare, naturalmente, quanto di proprio c'è nell'indipendenza caratteriale di ogni individuo, l'energia determinante del libero arbitrio, per accogliere, subire, o reagire in positivo o negativo alle influenze esterne, anche se intime.
È il problema che giustifica e avvalora la funzione fondamentale della famiglia come fonte di vita fisica, ma anche come fonte di vita morale e psicologica per la crescita dell'uomo.
Senza nulla togliere al valore personale di un uomo come Giovan Battista Montini - Paolo VI - protagonista riconosciuto del nostro tempo, si potrebbe dire di lui, senza timore di smentita, che è il frutto di un albero vigoroso, la famiglia nella quale la provvidenza lo ha fatto nascere. Ne ha vissuto il benefico influsso e l'affettuoso rapporto per tutta la vita fino al grato ricordo nel momento della sua morte: 'Qui affiora la povera storia della mia vita, intessuta, per un verso, dall'ordito di singolari e innumerevoli benefici derivanti da un'ineffabile bontà ... Sento il dovere di ringraziare e di benedire chi a me fu tramite dei doni della vita di te, Signore, elargitimi; chi nella vita mi ha introdotto. Oh! siano benedetti i miei degnissimi genitori...' (Pensiero alla morte e Note per il mio testamento).
La famiglia Montini di Brescia, dalla quale Paolo VI è nato, è stata, per molti aspetti religiosi e umani, una famiglia eccezionale; famiglia di antica tradizione cristiana, con un'eredità di attaccamento concreto alla chiesa, raccolta con rinnovato fervore da Giorgio e Giuditta Montini, genitori di Paolo VI. L'amore alla chiesa che egli ha ingigantito durante il suo coerente servizio, gli fu acceso in cuore dall'insegnamento e dall'esempio di quei cristianissimi genitori. Famiglia affettuosamente compatta, armoniosamente unita negli ideali come una scuola.
Nel suo commiato testamentario Paolo VI pronuncia un grazie anche per i suoi 'fratelli di sangue e di spirito [Ludovico e Francesco] e per tutti i carissimi di casa che nulla a me avete chiesto, né da me avuto di terreno favore, che mi avete sempre dato esempio, che mi avete capito, con tanta discrezione e cordialità ...'.
Fu certamente merito di chi aveva fondato quella famiglia averle dato quella solidità di affetti e di ideali. A loro, al papà Giorgio e a mamma Giuditta, il figlio, anche lontano, rimase sempre sensibilmente attaccato attraverso il frequente rapporto epistolare; ne riconosceva il prezioso magistero che lo aveva formato alla vita e alla fede, all'amore per la cultura, come un carisma soprannaturale...
Confidava a Jean Guitton: 'A mio padre debbo gli esempi di coraggio, l'urgenza di non arrendersi supinamente al male, il giuramento di non preferire mai la vita alle ragioni della vita. Il suo insegnamento può riassumersi in una parola: esser testimone'.
Così ricordava sua madre: 'A mia madre debbo il senso di raccoglimento, della vita interiore, della meditazione che è preghiera e della preghiera che è meditazione. Tutta la sua vita è stata un dono. All'amore di mio padre e di mia madre, alla loro unione, debbo l'amore di Dio e degli uomini...' (Dialoghi con Paolo VI).
Giovan Battista Montini ha scritto migliaia di lettere, tutte personalizzate e bellissime: ai familiari, agli amici, ai suoi 'fucini', a persone che avevano avuto un rapporto solo transitorio con lui. Sensibilissimo com'era, e in possesso di uno stile flessibile a tutte le esigenze dell'affetto, trovava nella lettera il mezzo più congeniale del suo rapporto umano.
Scriveva anche quando il destinatario non era lontano. A nonna Francesca, per esempio, la mamma del suo papà : 'Tu sei come tutti noi insieme. Come mi sento più forte, nonna, quando tu mi fai coraggio! Mi sembra quasi che la tua persona sia per me uno stimolo a correre con tutta lena, con tutta la perfezione per la mia nuova vita...'.
Aveva intrapresa da poco la via del sacerdozio, ma il vescovo gli aveva permesso di soggiornare con i suoi, in casa. Quando si potrà pubblicare l'intero epistolario di Montini, sarà una delle più monumentali testimonianze di ricchissima umanità .
L'epistolario raccolto dall'Istituto Paolo VI di Brescia, diligentemente curato da Nello Vian, conta 1098 lettere, la maggior parte ai genitori, integralmente trascritte, più altre 85 degli anni puerili (circostanze festose) e adolescenziali, da varie località dove il giovane Giovan Battista si spostava per gite o vacanze, che il Vian ha annotato e sunteggiato.
C'è da rimanere stupiti dell'abbondante raccolta e diligente conservazione; segno dell'importanza che i genitori, fratelli e familiari attribuivano alla corrispondenza del loro congiunto. Il fratello maggiore Ludovico testimoniò una volta che il giudizio del giovane Montini era tenuto in molto conto in casa, anche dai suoi genitori, fin da quando era ragazzo.
La prima lettera è dell'1 settembre 1919 dall'abbazia di Montecassino dove si era recato per un convegno di universitari cattolici. 'Proviamo tutti la suggestione di questo luogo', scrisse tra l'altro. Di settimana in settimana, di mese in mese, di anno in anno si sviluppa questo prezioso epistolario, documento di pietà filiale, diario di una vita quanto mai ricca di interesse, giornale attendibile di avvenimenti ecclesiastici e civili, fino al 6 marzo 1943, poco dopo la morte del padre. L'intestazione, allora, non fu più 'Carissimi', ma 'Cara mamma' e se ne sente tutta la mestizia.
Battista fu ordinato sacerdote il 29 maggio 1920 e il 10 novembre dello stesso anno era a Roma nel Seminario Lombardo, per destinazione del suo vescovo monsignor Giacinto Gaggia.
Varie e sofferte furono le soste della sua carriera, che Montini, sempre interpretò come servizio alla chiesa: addetto alla nunziatura di Polonia, minutante in Segreteria di stato, assistente generale del Circolo studentesco romano e, subito dopo, della Fuci, dimissioni imposte da questo incarico, intensa attività di direzione spirituale, sostituto, prosegretario di stato, arcivescovo di Milano, sommo pontefice. Tutte queste soste, fino all'incarico di sostituto della Segreteria di stato, arricchiscono di un fitto scambio di lettere.
Fino a quando i suoi genitori vissero, cioè tra gennaio e maggio del 1943, egli fu come tessitore della sua storia in mezzo alle bufere del mondo, attraverso le sue puntuali lettere, che cominciavano sempre con l'affettuosa espressione: 'Carissimi'. Ora, quell'epistolario è la vera autobiografia di Paolo VI, fonte di notizie o verifica delle medesime, un testamento firmato giorno dopo giorno... Oltre la pubblicazione dei due grossi volumi dell'Istituto Paolo VI di Brescia, esiste un'edizione più maneggevole curata dalla Rusconi Libri.
Valgono le ultime lettere di questo commovente epistolario tutto da studiare, sintesi di edificante pietà filiale, esempio di rapporto tra la personalità di due genitori e un figlio che, pur nell'umiltà , ha assunto gravi responsabilità nella chiesa.
Giorgio Montini, il papà , morì a Brescia il 12 gennaio 1943. Il figlio, dagli avvenimenti bellici inchiodato al posto del suo servizio accanto al papa, fu impedito di confortare il suo transito. Nell'autunno precedente l'avvocato Montini era stato ricoverato in clinica per un grave intervento, e il 29 dicembre ebbe una breve visita del figlio, forte e angosciato. Scriveva, ora, separatamente al papà e alla mamma e ammetteva nelle lettere l'intensità del suo affetto.
'Caro papà , questo tuo lontano figliolo ha il rimorso di starsene silenzioso senza dar segno dell'affettuosa attenzione con cui segue le cose di casa... Ma l'animo ritorna più fedele al ricordo domestico... Dio voglia che tu stia bene e ci faccia tutti contenti...' (1 dicembre 1942). Precedentemente, l'11 ottobre, gli aveva scritto: 'Caro papà , busso alla tua porta e vengo a farti un minimo di compagnia. So che sei di nuovo costretto a startene a letto e a esercitare un po' di pazienza. Non ti dico quanto ne sia angustiato: mi sorprende il pensiero di te in mezzo all'affanno delle mie cose e mi rende triste...'.
Dopo la morte del padre si sfogava come un bambino con la diletta mamma: 'Carissima mamma, perché non riesco più a scrivere? Mi è così difficile, ora più che mai, dire ciò che ho nell'animo... Comprendo come sarebbe pericoloso e non degno di lui, del nostro Carissimo, abbandonarsi alla stanchezza spirituale di questo dolore... Dal vuoto che ho nel cuore misuro il posto che egli vi teneva, il papà maestro e amico mio. Ora sei tu, mamma, che umanamente mi sostieni e mi guidi, fortemente! Non per ripiegare su la casa terrena lo sguardo e l'affetto, ma per trarne ancora più stimolo e vigore a servire fedelmente il regno di Dio. Come sempre, insieme, mi avete insegnato... Ti ricordo a ogni ora, mamma! E ti prego sempre di benedire il tuo figliolo...' (7 febbraio 1943).
Mamma Giuditta seguì di poco il suo sposo, così inseparabilmente come si erano amati. Morì improvvisamente cogliendo nel giardino di casa le ultime rose che il suo Giorgio aveva coltivato, il 17 maggio 1943.
L'ultima lettera, ma non l'ultimo colloquio interiore, di un grande figlio ora solo in mezzo alla bufera, non orfano, pero!