La poverella di Calcutta
Ho incontrato la prima volta madre Teresa a metà degli anni Settanta, a San Gregorio al Celio, in Roma: aveva appena aperto la prima casa romana delle sue suore, e aveva scelto per loro il pollaio dei monaci camaldolesi.
Il priore di San Gregorio, don Giabbani, si vergognava di quella sistemazione e mi spiegava: 'Le abbiamo offerto delle stanze, ma lei ha detto che erano troppo comode; ha visto il gallinaio che non usiamo più e ha voluto quello'.
Era una costruzione bassa, in mattoni bucati e lamiere, col pavimento in cemento. Lì incontrai. 'Le mie sorelle sono povere e abituate a tutto, vengono dall'India. Il pollaio sarà più che sufficiente', questo è tutto ciò che mi disse.
L'ho poi seguita e ascoltata in decine di circostanze pubbliche: al Congresso eucaristico di Milano, nel 1982; nei vari sinodi in Vaticano; quando le fece visita il papa a Calcutta. Sempre l'ho udita dire parole semplici e vere, come quelle sul pollaio. Di un anno fa è questa parabola, che raccontò al principe Michele di Grecia e che tanto somiglia alla storia del pollaio: 'L'altra notte ho sognato che ero alle porte del paradiso. E san Pietro ha detto: 'Torna sulla terra, qui non ci sono bassifondi''.
Negli anni mi sono fatto l'idea che madre Teresa non la dovevo cercare nelle parole che diceva, ma nei gesti e nelle opere. Le sue parole hanno una nudità che stordisce: la sua opera dà senso a quello stordimento.
Grazie a quell'opera, madre Teresa resterà come l'incarnazione più convincente, nella nostra epoca, del genio della carità evangelica; tutti l'hanno capita, la piangono i cristiani delle varie confessioni, i laici d'ogni paese, da Clinton a Eltsin, indù e musulmani.
'Dove guarda, vede', scrisse di lei Pier Paolo Pasolini, in Odore dell'India, dopo che la incontrò a Calcutta nel 1961. Il dono dello sguardo era all'origine della sua genialità nell'amore: vedeva prima di altri il fratello che era nel bisogno e subito lo soccorreva, senza giudicare, senza lasciarsi bloccare dalle frontiere o dalla mancanza di mezzi. E se non lo poteva soccorrere, pativa con lui.
L'hanno criticata per questo. Hanno detto che nel suoi ospizi non c'erano abbastanza medici e medicine. Credo sia vero; ma la vedo come una lode, non come una critica! Che farai a Calcutta, o a Beirut sotto i bombardamenti, o a Cernobyll dopo l'esplosione della centrale, se aspetti di avere l'attrezzatura giusta per soccorrere qualcuno?
Perché questo è il punto: madre Teresa è andata in tutti questi luoghi impossibili e in tanti altri; è corsa per il mondo, piccola e storta, alla ricerca di ogni sofferente, come non le bastassero quelli dell'India, senza mai calcolare se le bastavano le forze, e senza fare preventivi. Ha portato le sue suore in novantacinque paesi, ed è morta con il rimpianto di non poter aprire delle case in Cina: due volte aveva chiesto il permesso, e due volte gliel'avevano negato.
Questa tendenza ad andare oltre ogni confine, alla ricerca dei fratelli, la caratterizza fin dall'inizio: quand'era una giovane missionaria a Calcutta, lasciò il convento per mettersi a servire i moribondi sulla strada. Da europea si è fatta indiana e ha portato le sue suore indiane a soccorrere i poveri del Nord del mondo. Ha lasciato il comando della sua congregazione a una compagna venuta dall'induismo: suor Nirmala.
Quando nelle metropoli dell'Occidente è esploso l'Aids, lei ha inventato le case di accoglienza iniziando da New York. E ha battuto sul tempo ogni altra istituzione: le bastò vedere che i malati di Aids erano i più poveri tra gli uomini. È corsa a Beirut nel momento peggiore della guerra accompagnata da due sole sorelle: non avevano ancora una casa e già cercavano i bambini tra le macerie dei bombardamenti. La sentii dire in televisione: 'Non ero stata mai, prima d'ora, nel mezzo di una guerra. Mi chiedo che cosa provino quando fanno questo. Non capisco. Sono tutti figli di Dio, perché lo fanno?'.
Lo stesso stupore evangelico le dettava queste parole scandalose sull'aborto: 'Se vi è un bambino che non desiderate, o non potete curare, o educare, date quel bimbo a me. Non voglio rifiutare nessun bambino'.
È stata la prima a inserire delle suore negli ospedali sovietici, dopo l'esplosione di Cernobyll. E la prima a entrare in Albania, quando il regime ateo della sua patria d'origine era ancora in piedi. Persino in Vaticano ha fatto qualcosa che prima non si faceva: una mensa per i poveri nella casa del papa.
Dove guardava vedeva e dove vedeva soccorreva. Ha pure detto questo: 'Vedo Dio in ogni essere umano. Quando lavo le piaghe dei lebbrosi sento che sto curando il Signore. Non è meraviglioso?'.
Ero a Calcutta nel febbraio del 1986, quando la vidi prendere per mano il papa e guidarlo a vedere i moribondi del suo dormitorio. Questa è madre Teresa: il genio femminile sposato alla carità evangelica, che guida la chiesa verso il mondo del poveri.
Fratello Francesco, sorella Teresa
Madre Teresa come Francesco? 'La poverella di Calcutta' come 'il poverello di Assisi'? Li accomunava un corpo minuto e fragile, sostenuto da una straordinaria forza d'animo. Ma soprattutto la scelta dei più poveri tra i poveri, che Francesco espresse baciando un lebbroso, allora segno del rifiuto estremo, e Teresa raccogliendo nelle strade di Calcutta una donna moribonda, rosicchiata dai topi e dalle formiche. Ambedue animati da un amore senza limiti per la vita e dalla convinzione di servire nei poveri Gesù stesso.
Comune è la loro scelta radicale del Vangelo come regola di vita, che ha proprio nell'amore a Dio e nella carità verso gli ultimi la sua espressione più alta. Scrive madre Teresa: 'Gesù è venuto al mondo... per darci la buona novella che Dio ci ama, che Dio è amore...'. E Francesco: 'Signore, sia fatta la tua volontà ... affinché amiamo il nostro prossimo come noi stessi, trascinando tutti con ogni nostro potere al tuo amore...'. Educati alla scuola del Vangelo, hanno dell amore una visione senza frontiere e senza condizioni restrittive, per ambedue l'atteggiamento di servizio fraterno è il contrassegno e la verifica della carità .
Francesco e Teresa, hanno avuto vivaci contestazioni per il modo austero e radicale di vivere la povertà . Comunque, le loro scelte hanno indicato alla chiesa il ritorno all'essenzialità e alla semplicità evangelica, e all'amore di Dio come dedizione e vicinanza a ogni essere umano considerato immagine viva di Dio. Scelte vissute con un'intensità tale da farli divenire immagine vivente di Gesù.P. L.
Con i moribondi di Calcutta
Nasce il 27 agosto 1910 a Skopje, in Macedonia. Nel 1928 inizia il noviziato nelle suore di Nostra Signora di Loreto in India. Insegna geografia per 15 anni, poi chiede di andare a vivere nei quartieri più poveri della città . È il 1946. Due anni dopo riceve il permesso di 'servire i più poveri tra i poveri' nelle strade di Calcutta, una città tra le più diseredate del mondo. Nel 1950 fonda la Congregazione delle suore della carità . Due anni dopo dà vita alla Casa per i moribondi (Nirmal Hriday, Casa del puro cuore) raccolti nelle strade della città . Inizia così la sua testimonianza di un amore fatto servizio concreto e incessante ai fratelli più deboli, che gli ha meritato il Nobel per la pace nel 1979, la Medaglia della Libertà da parte di Reagan nel 1985 e altri riconoscimenti.