Martire della giustizia
Bachelet, Borsellino, Galvaligi, Livatino, Mattarella, Moro, Puglisi, Ruffilli, Scopelliti, Taliercio, Tobagi: sono solo alcuni dei cristiani del nostro paese uccisi dalla mafia e dal terrorismo, che forse un giorno chiameremo 'martiri della giustizia', come ha proposto il papa. Tra essi, Paolo Borsellino è una delle figure più belle: uomo operoso e di poche parole, cristiano serio e di fede intera.
Se la nostra chiesa fosse meno clericale, se sapessimo guardare con occhio evangelico l'avventura dei battezzati nell'Italia di fine millennio, sarebbe a uomini come Borsellino che andrebbe spontaneamente il nostro pensiero ogni volta che ci chiediamo che cosa ne sia del cristianesimo nella nostra epoca. Ecco che cosa ne è: esso è testimoniato, nel vivo e nel pieno della storia, da donne e da uomini che vivono nel mondo e compiono opere legate al loro ufficio, senza nessuna particolare qualifica ecclesiale.
Insomma, sono innanzitutto i cristiani comuni a rendere presente oggi la chiesa nella storia. E Borsellino è così radicalmente un cristiano comune, che del suo cristianesimo ci si è accorti - si può dire - solo dopo la morte e a motivo delle circostanze straordinarie di essa. Allora acquistò rilievo la dichiarazione di fede - e quasi di accettazione del martirio - che aveva pronunciato un mese prima, in una chiesa di Palermo, commemorando da cristiano l'amico laico Falcone. E colpirono gli attestati sulla sua regolare pratica religiosa, le dichiarazioni di perdono agli uccisori pronunciate come in suo nome dai figli e dalla vedova.
Paolo Borsellino è notissimo per la sua opera di magistrato a fianco di Giovanni Falcone, e per la morte avvenuta nella strage di via D'Amelio, a Palermo, il 19 luglio del 1992, due mesi dopo quella di Capaci in cui era stato ucciso Falcone. Ma l'opinione pubblica conosce pochissimo della sua figura di cristiano, che dunque conviene richiamare.
Viene ucciso una domenica pomeriggio: il sabato era andato in chiesa a confessarsi, come faceva regolarmente. Lo attesta la figlia Fiammetta.
Così l'amico Antonio Caponnetto ha descritto il cristiano Borsellino: 'Poco si è scritto e parlato della pienezza e del fervore con cui Paolo ha vissuto il suo rapporto con la fede. Era un aspetto fondamentale della sua personalità e della sua vita: mai ostentato, noto soltanto ai familiari e ai più intimi amici. Una fede totale, fatta di amore per il prossimo, amore per la famiglia, serenità interiore e, negli ultimi tempi, vocazione consapevole al sacrificio, annunciato e atteso'.
Eccolo, dunque, un mese dopo la morte di Falcone e un mese prima della propria, ricordare l'amico in una chiesa di Palermo, alla presenza del cardinale Pappalardo: 'Se egli è morto nella carne, ma è vivo nello spirito, come la fede ci insegna, le nostre coscienze, se non si sono svegliate debbono svegliarsi! La speranza è stata vivificata dal suo sacrificio, dal sacrificio della sua donna, dal sacrificio della sua scorta. Sono morti tutti per noi, per gli ingiusti; abbiamo un grande debito verso di loro e dobbiamo pagarlo gioiosamente, continuando la loro opera, accettando in pieno questa gravosa e bellissima eredità di spirito!'.
'Paolo - scriverà la sposa Agnese al papa (e la bellissima lettera sarà pubblicata dall''Osservatore romano' in prima pagina, il 6 maggio 1993, alla vigilia di una visita di Giovanni Paolo II in Sicilia: quella in cui griderà il monito ai mafiosi: 'Verrà un giorno il giudizio di Dio!') - era un cristiano semplice e profondo'.
Quella sua fede la sentiamo echeggiare nelle parole del figlio Manfredi, che così ha motivato la dichiarazione di perdono agli uccisori del padre: 'In questo momento di dolore io vivo con una forza che è in gran parte quella di mio padre. In particolare la fede, la religiosità che papà aveva, l'ha trasmessa in blocco ai sui figli'.
Anche la sposa Agnese attribuisce a Paolo il segno cristiano della sua reazione all'assassinio: 'La giustizia e la verità per i fatti accaduti, l'amore e il perdono per l'uomo che sbaglia. Se c'è un insegnamento che mio marito mi ha dato è che nel cuore dell'uomo, anche di quello più cattivo, c'è sempre un angolo nascosto del buon Abele che, se opportunamente stimolato, può riaffiorare'.
Per tener fede a quell'insegnamento, Agnese ha creato a Palermo un 'Centro per il recupero degli adolescenti a rischio': quelli appunto che potrebbero essere arruolati dalla mafia. E le è stato dato, nel maggio del 1996, a Cascia (PG), il 'Riconoscimento internazionale Santa Rita' per la sua 'opera di riconciliazione e di pace svolta anche dopo l'uccisione del marito'.
In quell'occasione confermò la scelta del perdono: 'Ho vissuto il mio dramma con cristiana rassegnazione, senza nutrire sentimenti di odio nei confronti degli assassini di mio marito'. Ha detto di considerare 'tutti miei figli' i ragazzi difficili di cui si occupa, e ha motivato così quella decisione: 'Le sofferenze patite hanno rafforzato in me l'esigenza di diffondere il messaggio di pace, di amore e di solidarietà umana verso le persone più deboli'.