DOSSETTI, LA FEDE NUDA E PURA
Don Giuseppe Dossetti, l'austero monaco di Monteveglio sui colli bolognesi, scomparso a 83 anni lo scorso dicembre, ha voluto che sulla sua lapide tombale fosse ricordata la data del battesimo, ricevuto nella festa dell'Annunciazione del Signore, per indicare entro quale dimensione si era svolta la sua vita: la dimensione della fede, dell'ascolto della Parola, della ricerca dell'essenziale, del servizio alla chiesa e ai fratelli... Scelte che hanno fatto di lui un testimone autentico della radicalità evangelica, della fede 'nuda e pura', un padre spirituale che ha indicato a molti i sentieri della verità e della giustizia. Il Signore ha completato il quadro della sua vita chiamandolo a sé la terza domenica di Avvento nella quale la liturgia eucaristica si apre con le parole di Paolo: 'Rallegratevi sempre nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino' (Fil 4,4.5), uno dei testi chiave della sua spiritualità dell'attesa.
Dossetti aveva anche coltivato la passione per 'la città degli uomini', impegnandosi per qualche tempo, in modo illuminato e profetico, nel tentativo di renderla più umana e vivibile. Se ne era poi allontanato per dedicarsi al silenzio e alla contemplazione in un monastero. Pareva che così dovesse concludersi la sua intensissima esperienza. Invece nel 1994, sorprendendo tutti, aveva interrotto un lunghissimo silenzio per inserirsi nel dibattito politico, 'come gli antichi padri - sono parole sue - che in occasione di invasioni e di epidemie abbandonavano il deserto e tornavano in città per avvertire del pericolo'.
Il pericolo era che il dibattito sulla riforma della Costituzione, giunto in una fase decisiva, si trasformasse in un riformismo frettoloso e radicale, andando a toccare non solo punti che le mutate condizioni avevano reso rivedibili, ma gli stessi grandi principi generali, alla cui enunciazione aveva lui stesso contribuito come membro dell'Assemblea costituente, alla quale era stato eletto dopo l'esperienza della guerra e della lotta partigiana combattuta nel reggiano. È suo il famoso ordine del giorno del 9 settembre 1946 che contiene il nucleo fondamentale del nuovo ordinamento, l''ideologia' della Costituzione con i diritti e i doveri del cittadino, i rapporti tra cittadini e stato e quell'accentuazione sul valore insopprimibile e inviolabile della persona umana e, quindi, della pari dignità sociale e l'uguaglianza di tutti davanti alla legge, senza nessuna distinzione di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica, di posizioni personali e sociali.
In quel porre la persona al centro dell'attenzione e dell'attività politica, sociale e religiosa, Dossetti (laureato in giurisprudenza e già docente all'Università Cattolica) concentra le istanze del 'personalismo', un movimento francese, animato da intellettuali di grande valore come Jacques Maritain (1882-1973) ed Emmanuel Mounier (1905-1950), che intendeva rilanciare i valori cristiani come propulsori della vita politica e sociale, e che in Italia aveva ispirato l'azione di esponenti del mondo cattolico come La Pira, Moro, Fanfani, Lazzati... Alle idee d'Oltralpe Dossetti aggiunse un modo radicale, quasi ascetico, di impegnarsi nella vita pubblica, chiamato 'dossettismo', che significava: intransigenza sui valori, preminenza della cultura e della morale nella vita politica, obbedienza alla dottrina sociale della chiesa, dialogo con i laici, stato sociale in difesa della classi più umili, intervento pubblico in economia per controbilanciare una economia che ha nel profitto e nel mercato le uniche leggi...
Qualcuno classificò quelle posizioni, che saranno della sinistra democristiana, come 'cattocomunismo'. In realtà l'umanesimo di Dossetti ha sempre visto nel marxismo e nel comunismo una ideologia anticristiana, una sfida implacabile da sconfiggere, in quanto essi esauriscono nella politica la domanda di liberazione dell'uomo. I dossettiani, che militavano nelle file della Democrazia cristiana, hanno sempre coltivato l'idea di praticare una rivalità senza quartiere rispetto ai comunisti, e propugnavano una via alternativa sia al marxismo che al capitalismo: la via della socialità e della solidarietà in difesa della povera gente...
Tutto questo richiedeva slanci, aperture, progetti nuovi, rivoluzionari, che alla fine risultarono in contrasto con la visione più moderata (bocciata dai dossettiani come restaurazione dell'ordine prefascista) di De Gasperi, presidente del consiglio e segretario del partito dei cattolici, di cui Dossetti era vice.
Lo scontro fu inevitabile, e così l'uscita di Dossetti dal partito; e dopo la sconfitta alle elezioni amministrative del 1956, nelle quali era stato candidato sindaco contro il comunista Giuseppe Dozza, venne anche l'uscita dalla politica.
Dopodiché Dossetti prese altre strade. Convinto che la debolezza della presenza politica dei cattolici dipendesse dalla debolezza religiosa del cattolicesimo italiano, ritenne che per cambiare le cose sarebbe stato necessario un sostenuto rinnovamento della chiesa stessa. E allora, rispondendo a una vocazione che aveva dovuto per vari motivi accantonare, nel 1958 si fece prete, e a fianco del cardinale Giacomo Lercaro, divenne uno degli artefici del concilio Vaticano II e l'animatore convinto della sua applicazione nella diocesi di Bologna.
La Bibbia, la parola di Dio, era diventata da tempo, l'altro suo 'libro', accanto alla Costituzione. Per poterla leggere, pregare e vivere nella forma più assoluta, dopo la delusione per la rimozione del cardinale Lercaro da Bologna, si ritirò in un minuscolo convento a Monteveglio: fu l'inizio di una fecondissima vita spirituale, di preghiera e di meditazione, lontano dal mondo e dai clamori della politica, in compagnia dei confratelli della Piccola famiglia dell'Annunziata cui aveva dato vita, esprimendo una visione monastica moderna che il cardinale Silvestrini ha defininito 'una delle più alte e avanzate nella chiesa d'oggi'.
Nel 1972 il monaco Dossetti si trasferì in Terrasanta, e vi rimase fino al 1994, quando fece ritorno in Italia per intraprendere l'avventura di cui si è detto sopra, conclusasi il 15 dicembre scorso.
Molti lo hanno rimpianto. 'L'Osservatore romano' in un lungo ricordo l'ha definito 'personalità straordinaria per ricchezza umana, per ingegno, cultura, sapienza evangelica'. Qualche altro ha sottolineato la sua testimonianza di radicalismo cristiano e profetico, contro un cristianesimo senza nerbo, senza spina dorsale, senza spessore e profondità , come sono spesso i cristiani italiani. Altri ancora hanno elogiato il suo essere stato un combattente dalla parte della parola di Dio, dei poveri, degli uomini che amano la pace, umile amoroso servitore della chiesa, la sentinella che nell'attesa delle venuta del Signore invocava il ritorno all'essenziale, alla formazione e alla responsabilità delle coscienze, alla meditazione della Parola, alla fede 'nuda e pura'.
Diceva che si deve vivere 'la fede pura, senza puntelli e senza presìdi di sorta', che i cristiani si devono ricompattare 'sulla parola di Dio e sull'Evangelo. Di fronte alle difficoltà , sempre più dovremo, in questa nuova stagione che si apre nel nostro paese, contare esclusivamente sulla parola del Signore, sull'Evangelo riflettuto, meditato, assimiliato. Siamo destinati a vivere in un mondo che richiede la fede nuda e pura. E la chiesa stessa, se non si fa più spirituale, non riuscirà ad adempiere alla sua missione e a collegare veramente i figli del Vangelo'.